Ludwig Joseph Wittgenstein 1889

Ludwig Joseph Wittgenstein (1889-1951)
Ludwig Joseph Wittgenstein, nato a Vienna nel 1889 e morto a Cambridge nel 1951, rappresenta una delle figure più affascinanti e influenti della filosofia del Novecento. La sua opera rivoluzionò in due momenti distinti il modo di concepire il linguaggio, facendo di lui un pensatore cruciale non solo per la filosofia analitica, ma per la riflessione sulla mente, la scienza e l’etica.
Dalla tecnica alla filosofia
Inizialmente impegnato negli studi di ingegneria a Manchester, Wittgenstein abbandonò la carriera tecnica per seguire la sua vera passione: i fondamenti della logica e della matematica. Nel 1912 approdò a Cambridge, dove divenne allievo di Bertrand Russell, figura centrale della logica matematica e della filosofia analitica. La sua vita fu segnata anche dagli eventi storici: partecipò come ufficiale dell’esercito austriaco alla Prima guerra mondiale, sperimentando in prima persona la complessità della realtà e della responsabilità morale. Tra il 1920 e il 1926 insegnò nelle scuole elementari, esperienza che consolidò la sua attenzione al linguaggio quotidiano e alla chiarezza dell’espressione. Ritornato a Cambridge nel 1929, assunse la cattedra di filosofia dal 1939 fino alla sua dimissione nel 1947, dedicandosi interamente alla ricerca. Dal 1938 era cittadino britannico, consolidando il suo legame con l’ambiente accademico inglese.
La prima fase: il Tractatus logico-philosophicus
La prima fase del pensiero wittgensteiniano è racchiusa nel Tractatus logico-philosophicus (1922), opera in cui il filosofo indaga la natura del linguaggio come specchio della realtà. L’idea centrale è quella di un linguaggio perfetto, costituito da proposizioni elementari corrispondenti a fatti semplici, immediatamente percepibili nell’esperienza. In questo quadro, la scienza rappresenta l’insieme di tutte le proposizioni empiriche, mentre logica e matematica pura assumono il ruolo di tautologie, cioè proposizioni prive di contenuto empirico ma strutturalmente necessarie. Le affermazioni filosofiche tradizionali, non riconducibili a fatti o tautologie, vengono considerate insensate. La filosofia, secondo Wittgenstein, non è un corpo di dottrine, bensì un’attività critica: il suo compito è chiarire la struttura logica del linguaggio fino ai limiti oltre i quali non si può parlare. Da questa prospettiva deriva la celebre conclusione del Tractatus: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Questa fase influenzò profondamente il Circolo di Vienna e Moritz Schlick, ponendo le basi per la filosofia analitica del linguaggio.
La seconda fase: il linguaggio quotidiano e i giochi linguistici
Il ritorno di Wittgenstein a Cambridge segnò l’inizio della sua seconda fase, culminata nelle Ricerche filosofiche (pubblicate postume nel 1953). Qui abbandona l’idea di un linguaggio unico e perfetto, rivolgendosi invece al linguaggio quotidiano. Introduce il concetto di giochi linguistici, secondo cui il linguaggio è composto da una molteplicità di pratiche comunicative, ciascuna con le proprie regole interne. Non esiste un’essenza unica del linguaggio; il significato di una parola emerge dall’uso concreto che ne fa chi parla, contestualizzato nella vita sociale. Il filosofo diventa così un “terapeuta concettuale”, impegnato a dissolvere le confusioni generate da un uso impreciso del linguaggio, in particolare nei dibattiti sulla mente, la psicologia e il rapporto tra linguaggio e realtà.
Influenza e riletture critiche
Il Tractatus ebbe un impatto immediato sulla filosofia analitica del primo Novecento, mentre le Ricerche filosofiche segnarono profondamente la filosofia anglosassone, ispirando approcci innovativi allo studio del linguaggio, della mente e della comunicazione. Le interpretazioni più recenti invitano a leggere Wittgenstein nella sua interezza, evidenziando non solo il suo legame con la logica e l’analisi concettuale, ma anche con la tradizione culturale mitteleuropea e viennese, dove dimensioni etiche e estetiche sono strettamente intrecciate alla riflessione filosofica. Il linguaggio, per Wittgenstein, non è un mero strumento di descrizione: è la nostra finestra sulla realtà, la modalità attraverso cui comprendiamo noi stessi e gli altri.
Conclusione
Ludwig Wittgenstein emerge come un pensatore complesso e radicale, capace di coniugare rigore logico e attenzione alla vita reale. Le due fasi della sua filosofia offrono strumenti concettuali differenti: da un lato, un linguaggio ideale e rigoroso, dall’altro, una pluralità di pratiche quotidiane che definiscono il senso delle parole. Comprendere il linguaggio, secondo Wittgenstein, significa comprendere la vita, la mente e la società: la filosofia diventa così una guida per chiarire i confini del pensiero e per migliorare la nostra comprensione del mondo.
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