lunedì 5 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Lévinas 1906

Emmanuel Lévinas 1906

 

Emmanuel Lévinas: etica come filosofia prima

1. Una vita segnata dall’esilio e dalla Storia

Emmanuel Lévinas nasce a Kaunas nel 1906, in una famiglia ebraica lituana. La sua formazione si svolge tra la cultura talmudica e lo studio dei grandi filosofi europei, in particolare Husserl e Heidegger. Trasferitosi a Parigi negli anni ’30, entra in contatto con l’ambiente fenomenologico e con pensatori come Merleau-Ponty, Lacan e Aron.
L’esperienza della Seconda guerra mondiale segna un punto di svolta: fatto prigioniero dai nazisti e internato in un campo di concentramento, Lévinas vive sulla propria pelle l’orrore della disumanizzazione. Quell’esperienza diverrà matrice di una filosofia che rifiuta ogni sistema totalizzante e ogni riduzione dell’uomo a funzione o ingranaggio della storia.


2. Lévinas e la critica ai totalitarismi del pensiero

La sua opera non si colloca nei grandi movimenti coevi – esistenzialismo, marxismo, strutturalismo – ma rappresenta piuttosto un cammino alternativo. Lévinas diffida degli -ismi, considerandoli rischiosi per la libertà di giudizio: sia lo storicismo idealista che il marxismo riducono l’uomo a parte di un disegno più ampio, annullandone l’alterità.
Critico verso lo strutturalismo di Lévi-Strauss e distante dalle derive postmoderne (dalla decostruzione al nichilismo nietzschiano), Lévinas cerca una via capace di salvare la possibilità di senso senza cadere nei sistemi chiusi. La sua è dunque una filosofia contro la totalità, ma non per dissolvere il significato: piuttosto per trovarne le radici nell’incontro etico.


3. Totalità e Infinito: l’incontro con l’Altro

Pubblicato nel 1961, Totalità e Infinito rappresenta il capolavoro di Lévinas e la sua “filosofia prima”. L’idea di fondo è radicale: la vera trascendenza non si trova in Dio come oggetto di pensiero né nella struttura della coscienza, ma nell’incontro con il volto dell’Altro.

  • Il volto non è una semplice immagine, ma un’epifania: manifesta la nudità e la fragilità dell’essere umano, imponendo un comando etico originario – “non uccidere”.

  • L’infinito è la trascendenza che si apre nell’Altro, ciò che eccede ogni concettualizzazione e impedisce alla totalità (storica, politica, filosofica) di chiudersi su se stessa.

  • L’io non è sovrano, ma chiamato a responsabilità: il “me riguarda” è inevitabile, indipendente dalla volontà. Come dirà Lévinas: la parola “io” significa eccomi.

In questo senso, la filosofia di Lévinas è un ribaltamento della centralità ontologica: non l’essere al centro, ma l’etica. L’ontologia heideggeriana viene superata da una “etica come filosofia prima”.


4. Atene e Gerusalemme: le due radici del pensiero europeo

Uno degli aspetti più originali del pensiero lévinasiano è il costante dialogo tra logos filosofico e logos biblico. Lévinas non riduce la filosofia a teologia, né la religione a morale; piuttosto cerca una tensione feconda tra Atene e Gerusalemme.

La filosofia occidentale, da Platone a Heidegger, ha privilegiato l’essere, la totalità, la comprensione del mondo come oggetto. La tradizione biblica, al contrario, pone al centro la responsabilità e la risposta all’appello dell’Altro.
Per Lévinas, solo integrando questi due poli il pensiero europeo può sfuggire alla crisi: contro la tentazione totalizzante dei sistemi, la santità dell’Altro diventa il punto di partenza per ripensare la comunità, la giustizia, la convivenza.


5. Distanza dal ’68 e impegno nella modernità

All’indomani delle contestazioni studentesche del 1968, Lévinas prende le distanze da un movimento che, nel nome della liberazione, finiva per dissolvere ogni valore in quanto “borghese”. La sua posizione rimane critica ma coerente: egli non accetta né il dogmatismo dei sistemi chiusi né il relativismo assoluto che annulla ogni senso.
Il Premio Balzan per la Filosofia (1989) riconoscerà questa originalità: Lévinas rappresenta “un’alternativa geniale e affascinante” sia alla rigidità dei totalitarismi ideologici che alle derive nichiliste del postmoderno.


6. L’eredità filosofica

Lévinas lascia una lezione fondamentale: la filosofia non deve ridursi né a metafisica astratta né a analisi linguistica, ma deve tornare a misurarsi con l’esperienza concreta della responsabilità.
La sua riflessione ha avuto grande impatto su pensatori come Derrida, Ricoeur e Marion, e ha contribuito a ripensare categorie etiche, politiche e persino giuridiche.
Oggi, in un’epoca segnata da crisi globali e nuove forme di esclusione, la centralità del volto dell’Altro appare come un invito radicale a ripensare la convivenza: non come coesistenza tra individui sovrani, ma come responsabilità reciproca.


Conclusione

Emmanuel Lévinas rappresenta una delle voci più originali e necessarie del pensiero del Novecento. La sua opera non è facilmente classificabile, perché attraversa filosofia, teologia, etica e politica.
Ma la sua tesi resta dirompente: prima dell’ontologia, prima della politica, prima della scienza, vi è l’etica, intesa come responsabilità incondizionata verso l’Altro. In questa inversione di prospettiva risiede la sua forza critica, capace di offrire ancora oggi una risposta alla crisi del senso e al rischio di riduzione dell’uomo a oggetto.

In un tempo che oscilla tra fondamentalismi e nichilismi, Lévinas ci ricorda che il senso nasce nello sguardo dell’altro che ci interpella. L’io esiste solo come risposta: Eccomi.

Corso di storia della filosofia: Aron 1905

Aron 1905

Raymond Aron – Il liberale controcorrente del Novecento

Nato nel cuore della Terza Repubblica francese, nel 1905, Raymond Aron attraversò il XX secolo con lo sguardo lucido del testimone critico. Filosofo, sociologo, politologo, giornalista, Aron fu una figura poliedrica e difficilmente incasellabile, ma sempre fedele a una missione: difendere la ragione, la libertà e il pluralismo in un’epoca segnata da ideologie totalizzanti.

Contro il fascino delle ideologie

Aron si formò alla prestigiosa École Normale Supérieure, accanto a compagni illustri come Jean-Paul Sartre. Ma se Sartre si sarebbe immerso nelle acque agitate dell’esistenzialismo e poi del marxismo, Aron prese una strada diversa: scelse la sobrietà del pensiero critico e il rigore della riflessione politica liberale.

Fin da giovane, fu affascinato dalla filosofia tedesca e dalla sociologia di Max Weber, che lo influenzò profondamente. Weber lo aiutò a costruire una visione della politica come ambito tragico, dominato da dilemmi, non da soluzioni perfette.

Durante la Seconda Guerra Mondiale si rifugiò a Londra e collaborò con il governo della Francia Libera. Tornato in patria, divenne un acuto osservatore della Guerra Fredda, delle trasformazioni sociali e del mondo intellettuale francese. Non accettò mai compromessi con i totalitarismi: fu critico del comunismo sovietico quanto del fascismo, e non esitò a denunciare le ambiguità dei suoi colleghi filosofi che chiudevano un occhio davanti ai crimini dei regimi "di sinistra".

Il disincanto del politico

Uno dei suoi libri più celebri, "L’oppio degli intellettuali" (1955), è un attacco tagliente alla fascinazione che molti intellettuali francesi avevano per il marxismo. Aron accusa i suoi contemporanei di usare ideologie come surrogati religiosi, accecati dalla fede nella storia e incapaci di vedere i fatti. Scriveva con chiarezza, senza giri di parole, ma con tono mai violento: era un liberale disincantato, non un ideologo.

Nelle sue opere affrontò temi fondamentali: il rapporto tra potere e verità, tra libertà e responsabilità, tra storia e scelte individuali. Il suo approccio era sempre concreto, attento ai dati, ai fatti, alle istituzioni reali. Fu uno dei primi a studiare il ruolo della tecnologia, della burocrazia e dei media nella società moderna.

Un maestro poco ascoltato (ma sempre attuale)

Aron visse spesso in ombra rispetto ai filosofi più “di moda” del suo tempo, come Sartre o Foucault. Eppure oggi molti lo riscoprono come una delle voci più lucide e lungimiranti del secolo scorso. In un mondo in cui l’informazione è veloce, i giudizi si polarizzano, e le ideologie tornano a sedurre, Aron ci ricorda l’importanza del dubbio, dell’analisi razionale, della democrazia come pratica imperfetta ma insostituibile.

Morì nel 1983, poco dopo un acceso dibattito televisivo: aveva parlato di politica fino all’ultimo, con la sua consueta lucidità. Raymond Aron non ci ha lasciato verità assolute, ma uno stile di pensiero: libero, critico, sempre in ascolto della realtà.

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