sabato 19 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 101 ter Lukács 1885

György Lukács 1885

György Lukács nacque a Budapest nel 1885, in un’Ungheria che stava vivendo i fermenti e le contraddizioni della modernità. Figlio della borghesia colta, crebbe in un ambiente dove la cultura era considerata parte integrante della vita quotidiana. Fin da giovane, la sua curiosità intellettuale lo spinse ben oltre i confini della filosofia scolastica, portandolo a interrogarsi su come arte, letteratura, storia e società si intrecciassero in un unico disegno.

Nel 1906 si laureò a Budapest, ma il desiderio di ampliare i propri orizzonti lo condusse, appena tre anni dopo, in Germania. Qui, tra Berlino e Heidelberg, trascorse anni decisivi: non solo approfondì gli studi di filosofia, ma entrò in contatto diretto con alcune delle menti più brillanti dell’epoca, come Georg Simmel, Max Weber, Heinrich Rickert e Emil Lask. Fu anche il tempo della Hegel-Renaissance guidata da Wilhelm Dilthey, che avrebbe lasciato in lui un segno indelebile.

Da questo crogiolo culturale nacquero le sue prime opere fondamentali: L’anima e le forme (1911) e Teoria del romanzo (1915), testi in cui si intrecciano l’analisi filosofica e la riflessione estetica, il rigore concettuale e la passione per la letteratura. In queste pagine già si intravede il filo conduttore del suo pensiero: la convinzione che l’arte e la filosofia possano e debbano interpretare la complessità dell’esperienza umana.

Il 1923 segnò una svolta. Con Storia e coscienza di classe, Lukács si immerge pienamente nell’universo marxista, proponendo una lettura originale e profonda di Marx. Qui, unisce la teoria della reificazione e del feticismo con la critica hegeliana all’intelletto astratto e al materialismo riduttivo, opponendosi ai metodi puramente analitici e quantitativi delle scienze naturali. Al centro del suo approccio c’è la categoria della totalità concreta: solo comprendendo i fenomeni nel loro insieme, nel loro intreccio di relazioni e contraddizioni, è possibile coglierne il senso autentico.

Ma questo libro, che influenzò una parte importante della cultura europea, fu anche la causa di forti tensioni politiche. Le sue critiche alla “dialettica della natura” di Engels gli valsero l’ostilità della Terza Internazionale. Legato ormai al movimento comunista – nel 1919 aveva partecipato come commissario del popolo all’istruzione alla breve Repubblica sovietica ungherese di Béla Kun – Lukács finì per prendere le distanze dall’opera, inaugurando così la seconda fase del suo percorso: l’elaborazione di una estetica marxista.

In testi come Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica (1948), Lukács difese la continuità metodologica tra Hegel e Marx-Engels, mentre in La distruzione della ragione (1954) tracciò una storia del pensiero tedesco nell’età imperialistica, individuando un filone irrazionalistico che, a suo dire, conduceva da Schelling fino all’ideologia nazista.

Come teorico dell’arte, Lukács elaborò una visione fondata sulla concezione leniniana del rispecchiamento e sulla centralità del particolare: l’arte più alta è per lui il realismo, capace di rappresentare personaggi “tipici” in situazioni “tipiche” che rivelano le strutture profonde della società. I suoi studi sul realismo – da Balzac ai grandi romanzieri russi, fino a Thomas Mann – hanno lasciato un’impronta duratura nella critica letteraria.

Nel 1956, durante il disgelo politico in Ungheria, Lukács entrò nel secondo governo di Imre Nagy come ministro della Pubblica istruzione. Fu un momento breve ma intenso: dopo la repressione sovietica, venne deportato in Romania e poté rientrare a Budapest solo nel 1957. Da allora si ritirò dalla vita pubblica, dedicandosi esclusivamente alla ricerca e alla scrittura, fino alla morte, avvenuta nella sua città natale nel 1971.

Il lascito di Lukács è quello di un pensatore che ha saputo unire filosofia, storia, politica e letteratura in un unico discorso coerente e militante. Un intellettuale capace di attraversare il Novecento con lo sguardo critico di chi crede che la cultura non sia un lusso, ma una forza capace di trasformare la realtà.



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