lunedì 31 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 91 ter Ricoeur 1913

Paul Ricoeur 1913

Paul Ricoeur Filosofo, nato a Valence (Drôme) il 25 febbraio 1913 da famiglia protestante. Laureato in filosofia nel 1935, insegnò in vari licei. Mobilitato nel 1939, fu catturato dai tedeschi e rimase prigioniero fino al 1945. Durante la prigionia studiò con Dufrenne la filosofia di Jaspers e lesse le Ideen di Husserl. Dopo la guerra, ottenuto il dottorato in lettere, è stato professore all'università di Strasburgo (dal 1952), alla Sorbona (dal 1956) e attualmente è professore di filosofia nella facoltà di lettere di Parigi-Nanterre e all'università di Chicago, dove occupa la cattedra che fu di P. Tillich. Dopo aver dato alle stampe i frutti delle esperienze esistenzialistiche e fenomenologiche fatte durante il periodo di prigionia (Karl Jaspers et la philosophie de l'existence [con M. Dufrenne], Parigi 1947; Gabriel Marcel et Karl Jaspers. Philosophie du mystère et philosophie du paradoxe, ivi 1948; trad. fr. delle Ideen di Husserl, ivi 1950), R. si è dedicato all'elaborazione di una Philosophie de la volonté, di cui sono sinora apparse le prime due parti: Le volontaire et l'involontaire, Parigi 1950, e Finitude et culpabilité (a sua volta bipartito: I. L'homme faillible; II. La symbolique du mal), ivi 1960, trad. it., Bologna 1970. Mentre la prima parte vuole presentare una fenomenologia dal cogito integrale, la quale tiene conto della corporeità e della sfasatura fra volontario e involontario, la seconda abbandona il terreno fenomenologico, fornendo, anziché un' "eidetica", un' "empirica" della volontà; la riflessione interpretativa sui simboli e sui miti consente di cogliere quella colpa che è all'origine della fallibilità umana e che l'approccio fenomenologico poneva fra parentesi. Nei lavori successivi R., anziché affrontare il tema della trascendenza, che avrebbe dovuto rappresentare l'oggetto della terza parte della sua filosofia della volontà (anch'esso infatti era posto fra parentesi dall'approccio fenomenologico), si è indirizzato, almeno per ora, a un approfondimento dei temi ermeneutici comportati dalla riflessione sul simbolo (De l'interprétation. Essai sur Freud, Parigi 1965, trad. it., Milano 1967; Le conflit des interprétations, ivi 1969; La métaphore vive, ivi 1975; Interpretation theory. Discourse and the Surplus of Meaning, Fort Worth 1976), sempre attento però al luogo linguistico in cui il sacro si annuncia e si rende presente (o, meglio, perennemente alla ricerca di tale luogo)

Corso di storia della filosofia: 91 bis Gadamer 1900

Hans-Georg Gadamer 1900

filosofo


Hans-Georg Gadamer (Marburgo, 11 febbraio 1900 – Heidelberg, 13 marzo 2002) è stato un filosofo tedesco, considerato uno dei maggiori esponenti dell'ermeneutica filosofica grazie alla sua opera più significativa, Verità e metodo (Wahrheit und Methode, 1960). È stato allievo di Paul Natorp e Martin Heidegger.
Il nucleo fondamentale della ricerca filosofica di Gadamer si muove sul terreno dell'ermeneutica. La parola "ermeneutica" è di etimo greco e rinvia alla hermeneutiké téchne [ρμηνευτική τέχνη], termine che allude a una costellazione di significati legati all'attività del tradurre, dell'interpretare, e che a sua volta deriva da hermeneúo [ρμηνεύω], verbo che riecheggia Hermes – il nunzio degli dèi.
In passato l'ermeneutica era una dottrina tecnica che si occupava dell'interpretazione dei testi sacri o delle leggi. Intesa nel senso disciplinare del termine, l'ermeneutica è un prodotto essenzialmente moderno. È in quest'epoca che Friedrich Schleiermacher apre la strada a quella che stava per diventare una disciplina filosofica vera e propria. Il problema posto dall'autore era di vedere quali fossero le condizioni preliminari del comprendere, per mezzo delle quali gli interpreti avrebbero potuto evitare ogni fraintendimento durante la ricostruzione (Hineinversetzung, letteralmente: trasferimento interno) dell'opera.
In questo senso, il compito dell'interprete consisteva non solo nel catturare le intenzioni esplicite dell'autore originario, ma di esplicitare la traccia del "non-detto" sotteso a ogni intento consapevole. Ma se per Schleiermacher il circolo ermeneutico era concluso grazie a un trasferimento empatico, per Wilhelm Dilthey, epistemologo delle scienze dello spirito, rimane un compito mai concluso né mai pacificato. Tuttavia, Dilthey riteneva ancora che la comprensione dovesse raggiungere la medesima oggettività propria delle scienze della natura.
In evidente opposizione alla pretesa di monopolio rivendicata dalla metodologia delle scienze empiriche, Martin Heidegger rappresenta un punto di svolta per la storia dell'ermeneutica. Egli prese a occuparsi del problema dell'ermeneutica per sviluppare, con intenti non più epistemologici ma ontologici, la struttura della precomprensione. Secondo Heidegger, infatti, il comprendere rappresenta un modo di essere dell'Esserci (Dasein), la cui esistenza è influenzata da una comprensione preliminare del mondo.
A partire da questo assunto, Gadamer giunge a interrogarsi sulle modalità del comprendere ermeneutico. Per Gadamer, non è possibile tornare indietro rivivendo il passato in modo oggettivo, poiché l'esistenza presente è influenzata da una serie di conoscenze stratificate che anch'egli chiama "pre-comprensioni" (Vorverständnisse) o, più semplicemente, "pregiudizi". Ora, sostiene Gadamer, quando ciascuno emette un giudizio è influenzato dalla propria visione del mondo (Weltansicht), che tuttavia non costituisce un inconveniente, bensì una condizione fondamentale del processo cognitivo.
È per questa ragione che egli può affermare che: "Di per sé, pregiudizio significa solo un giudizio che viene pronunciato prima di un esame completo e definitivo di tutti gli elementi obiettivamente rilevanti". Secondo questo punto di vista, il pregiudizio non va eliminato, ma abitato con una certa phrónesis ("saggezza", o meglio ancora "prudenza", termine che richiama il latino pro-videre ovvero la capacità di "guardarsi [se videre] intorno [pro]"), concetto che Gadamer recupera esplicitamente da Aristotele: "L'interprete", prosegue Gadamer, "non può proporsi di prescindere da sé stesso e dalla concreta situazione ermeneutica nella quale si trova". È così che si viene a configurare il "circolo ermeneutico". Ogni interpretazione è infatti influenzata dai nostri pregiudizi storici, nel senso che le nostre conoscenze che caratterizzano la comprensione del presente sono determinate da una continua stratificazione di nozioni che si formano grazie al costante dialogo tra l'opera e i suoi interpreti. Tale circostanza trova un'illustrazione nell'importante, e talvolta frainteso, concetto di "fusione degli orizzonti" (Horizontverschmelzung), il processo che porta il fruitore del testo all'interno del circolo ermeneutico, in cui si fondono due orizzonti: quello dell'interprete, formatosi entro la tradizione e la precomprensione del presente, e quello del testo, che porta con sé l'insieme di tutte le interpretazioni e tradizioni che ha vissuto.

Corso di storia della filosofia: 91 Scheler 1874

Max Scheler 1874


Max Scheler, Filosofo (Monaco di Baviera 1874 - Francoforte sul Meno 1928). Professore nelle univ. di Jena, di Monaco, di Colonia e di Francoforte. Dopo un saggio ispirato ancora alle prospettive del suo maestro R. Eucken (Die transzendentale und die psychologische Methode, 1900), S. si avvicinò alla fenomenologia husserliana, sviluppandola anzitutto in direzione dell'etica con una serie di scritti tra cui il più celebre e importante è Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik (1916). Il metodo fenomenologico consente infatti, secondo S., d'individuare degli oggetti completamente inaccessibili all'intelletto e disposti tra loro in un ordine eterno e gerarchico: i valori. L'accertamento del loro ordine, mediante un'intuizione "sentimentale", porta alla scoperta di leggi altrettanto precise ed evidenti di quelle della logica e della matematica e tali da rendere possibile la fondazione dei fenomeni morali, in contrasto con l'etica puramente formale di Kant. I valori devono poi essere accuratamente distinti nei loro diversi piani (o modalità), che vanno da quello dei valori connessi alla sensibilità (come il gradevole e lo sgradevole), a quelli vitali (come il benessere, il malessere, la salute, ecc.), a quelli spirituali (il bello, il giusto, il vero, i valori culturali in generale) e infine a quelli religiosi (il sacro). All'approfondimento di quest'ultimo tipo di valori tende la filosofia della religione, sviluppata soprattutto in Vom Ewigen im Menschen (1921), dove S. si avvicinò al cattolicesimo mettendo al centro della sua filosofia la concezione dell'amore come rapporto essenziale della persona umana con il Dio-persona. Su questa centralità della persona e dell'amore è pure fondata la sociologia di S., trattata soprattutto nel volume Die Wissensformen und die Gesellschaft (1926) e rivolta a una critica serrata della civiltà moderna, accusata di aver rovesciato in modo utilitaristico e pragmatistico quei valori di corresponsabilità e solidarietà sui quali soltanto si può sviluppare una "comunità personale" autentica. Negli ultimi anni della sua vita S. lavorò alla costruzione di un'antropologia filosofica, di cui pubblicò i primi risultati nel volume Die Stellung des Menschen im Kosmos (1928) e che rimase interrotta per la sua morte. In quest'ultima fase del suo pensiero S. si allontanò dalla concezione cristiana di Dio come pura trascendenza, attribuendo anche alla divinità quella dualità e quell'opposizione tra lo spirito, come razionalità, e l'istinto, come impulso, che sono costitutive dell'uomo, e considerando la storia come sviluppo del loro conflitto in vista della piena realizzazione del divino attraverso l'uomo e nell'uomo. Tra le altre opere di S. vanno ricordate: Vom Umsturz der Werte (1915), Wesen und Formen der Sympathie (1923), Schriften zur Soziologie und Weltanschauungslehre (1923-24), Philosophische Weltanschauung (post., 1929).

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