La Disputa sugli Universali nella Filosofia Medievale: Realtà, Linguaggio e Conoscenza
1. Introduzione: il problema degli universali
La disputa sugli universali fu una delle questioni più rilevanti della filosofia scolastica medievale, radicata nella riflessione aristotelica e platonica e ripresa nel quadro teologico cristiano.
Essa riguardava la natura e l’esistenza degli universali, cioè di quei concetti generali (come “uomo”, “giustizia”, “bontà”) che sembrano esistere al di là delle singole realtà particolari. La domanda fondamentale era: gli universali esistono realmente o sono soltanto nomi e concetti mentali?[^1^].
2. Antecedenti classici: Platone e Aristotele
Le origini della disputa risalgono all’antichità.
Platone sosteneva l’esistenza reale delle Idee universali, entità immutabili e perfette di cui i singoli oggetti sensibili sono mere copie imperfette[^2^].
Aristotele, al contrario, collocava gli universali nelle cose, come forme immanenti che si manifestano nei particolari. Questa distinzione tra un realismo trascendente (platonico) e un realismo immanente (aristotelico) sarà la base delle interpretazioni medievali successive[^3^].
3. Realismo medievale: gli universali come realtà oggettive
Nel Medioevo, il realismo divenne la posizione dominante tra gli scolastici dei primi secoli. I realisti — tra cui Guglielmo di Champeaux e, in parte, Tommaso d’Aquino — sostenevano che gli universali esistessero realmente, indipendentemente dagli individui, come realtà oggettive e immutabili.
Per essi, gli universali avevano un’esistenza ante rem, cioè “prima delle cose”, nella mente divina, dove costituivano i modelli eterni del creato[^4^].
Questa interpretazione si integrava facilmente con la teologia cristiana, poiché gli universali venivano assimilati ai pensieri divini, garanzia dell’ordine razionale del mondo.
4. Nominalismo: gli universali come nomi
In opposizione al realismo, il nominalismo negava ogni esistenza autonoma agli universali. Secondo i nominalisti, gli universali non sono entità reali, ma nomi (nomina) o segni linguistici che gli uomini utilizzano per classificare le cose simili.
Roscellino di Compiègne e, più tardi, Guglielmo di Ockham, sostennero che solo gli individui esistono realmente, mentre i concetti generali sono mere costruzioni del linguaggio o della mente[^5^].
Ockham, in particolare, formulò il celebre “rasoio di Ockham”, principio di economia ontologica secondo cui non bisogna moltiplicare gli enti oltre il necessario (entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem).
Il nominalismo segnò una svolta verso una filosofia più empirica e linguistica, riducendo il ruolo delle entità astratte e aprendo la via al pensiero moderno[^6^].
5. Concettualismo: una via intermedia
Tra realismo e nominalismo, alcuni filosofi proposero una posizione intermedia, il concettualismo.
Pietro Abelardo sostenne che gli universali esistono post rem, cioè dopo le cose, come concetti mentali derivati dall’esperienza e dalle somiglianze percepite tra gli oggetti particolari[^7^].
Gli universali, quindi, non hanno esistenza propria, ma sussistono nella mente come strumenti cognitivi e linguistici. Abelardo inaugurò una prospettiva proto-empirista, in cui il linguaggio e la logica diventano strumenti essenziali per l’analisi del reale.
6. Implicazioni teologiche e istituzionali
La disputa sugli universali non fu solo un problema filosofico, ma anche teologico.
Il modo in cui si concepivano gli universali influiva sulla dottrina della Trinità (un solo Dio in tre persone) e sull’idea di creazione come partecipazione alle forme divine.
Le università medievali, in particolare Parigi e Oxford, furono il teatro privilegiato di questi dibattiti, dove maestri e scolari discutevano attraverso quaestiones e disputationes.
Persino i concili ecumenici, come quello di Costanza (1414–1418), affrontarono indirettamente le conseguenze dottrinali delle diverse posizioni filosofiche[^8^].
7. Eredità e sviluppi
La disputa sugli universali ebbe un impatto duraturo sulla filosofia occidentale.
Nel pensiero tardo-medievale e rinascimentale, il nominalismo contribuì allo sviluppo della scienza empirica, poiché incoraggiava l’osservazione dei singoli fenomeni invece della ricerca di essenze astratte.
Parallelamente, il realismo e il concettualismo influenzarono la metafisica scolastica e la filosofia moderna, da Cartesio a Kant, fino al dibattito contemporaneo sul linguaggio e i tipi logici[^9^].
Note
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Gilson, Étienne, La filosofia nel Medioevo, Milano, Jaca Book, 1982.
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Platone, Repubblica, a cura di G. Reale, Milano, Bompiani, 2007.
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Aristotele, Metafisica, a cura di G. Movia, Milano, BUR, 2004.
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Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, ed. Leonina, Roma, 1888–1906.
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Roscellino di Compiègne, frammenti in Logica “Ingredientibus”, Parigi, CNRS, 1973.
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Ockham, Guglielmo di, Summa Logicae, Oxford, Oxford University Press, 1974.
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Abelardo, Pietro, Sic et Non, a cura di B. Smalley, Londra, British Academy, 1951.
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Leff, Gordon, Medieval Thought: St. Augustine to Ockham, Harmondsworth, Penguin, 1958.
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Copleston, Frederick, Storia della filosofia medievale, Brescia, Queriniana, 1999.
Bibliografia essenziale
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Abelardo, Pietro, Sic et Non, Londra, British Academy, 1951.
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Aristotele, Metafisica, Milano, BUR, 2004.
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Gilson, Étienne, La filosofia nel Medioevo, Milano, Jaca Book, 1982.
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Ockham, Guglielmo di, Summa Logicae, Oxford, 1974.
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Platone, Repubblica, Milano, Bompiani, 2007.
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Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, ed. Leonina, Roma, 1888–1906.
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Leff, Gordon, Medieval Thought: St. Augustine to Ockham, Harmondsworth, Penguin, 1958.
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Copleston, Frederick, Storia della filosofia medievale, Brescia, Queriniana, 1999.