mercoledì 23 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 107 Horkheimer 1895

Max Horkheimer 1895 

Max Horkheimer (1895 – 1973) di origine ebrea è stato un filosofo tedesco, tra i più importanti esponenti della Scuola di Francoforte. Studia all'università di Monaco, e di Francoforte dove incontra Theodor Adorno con il quale instaurerà una lunga e produttiva amicizia. Si laurea con una tesi su La Critica del Giudizio di Kant come mediazione tra filosofia pratica e teoretica, e comincia ad insegnare nello stesso ateneo nella cattedra di filosofia sociale. Assume la direzione dell'Istituto per la Ricerca Sociale ed è a capo della redazione che sarà organo ufficiale della cosiddetta Scuola di Francoforte. Nel 1933, con l'inasprirsi delle politiche censorie, fugge negli Stati Uniti, dove ottiene la cittadinanza americana ed insegna alla Columbia University,. Dopo la guerra ritorna in Germania e diviene Rettore dell'Università di Francoforte. Insegna infine nell'Università di Chicago.
 Sviluppa il suo pensiero nei saggi Dialettica dell'illuminismo (scritto insieme ad Adorno) e Eclisse della ragione (entrambi 1947), una critica globale della moderna civiltà occidentale e della logica del dominio che egli identifica come base di ogni sua manifestazione sociale, economica e culturale. Inizialmente questa analisi critica porta Horkheimer ad aderire al marxismo, ma subito se ne allontana riconoscendo nell'ideale rivoluzionario del padroneggiamento della natura e della società solo un'altra espressione della logica alla base della civiltà industriale.

Corso di storia della filosofia: 101 quater Gramsci 1891

Antonio Gramsci 1891

Antonio Gramsci: il prigioniero delle idee

Nato ad Ales, un piccolo paese dell’entroterra sardo, il 22 gennaio 1891, Antonio Gramsci vide la luce in una terra aspra, segnata dalla povertà e dalla fatica quotidiana dei contadini. Fin da bambino dovette affrontare le difficoltà della vita: una malformazione alla colonna vertebrale lo rese fragile fisicamente, ma non riuscì mai a piegare la sua volontà di comprendere e cambiare il mondo.

In gioventù si avvicinò alle idee autonomiste sarde, ma fu l’università di Torino, che iniziò a frequentare nel 1911, a trasformare per sempre il suo orizzonte intellettuale. Nella capitale industriale d’Italia, Gramsci entrò in contatto con le lotte operaie, respirò l’aria densa di dibattiti politici e scoprì nel socialismo rivoluzionario una chiave per interpretare le ingiustizie che vedeva intorno a sé.

Si iscrisse al Partito Socialista Italiano nel 1913 e cominciò a collaborare con giornali come Il Grido del Popolo e l’Avanti!, distinguendosi per la lucidità e la profondità delle sue analisi. Nel maggio 1919 fondò insieme ad altri militanti L’Ordine Nuovo, un settimanale che divenne il punto di riferimento per il movimento dei consigli di fabbrica, organismi autogestiti dagli operai. Le sue posizioni, in sintonia con quelle di Lenin, spingevano il socialismo italiano verso un legame diretto con l’Internazionale comunista.

Quando nel 1921 nacque il Partito Comunista d’Italia, Gramsci fu tra i protagonisti della scissione dal PSI. Entrò nel comitato centrale e, dopo un periodo a Mosca tra il 1922 e il 1923, divenne una figura di primo piano nell’Internazionale comunista. Tornato in Italia nel 1924, in un contesto di crescente repressione fascista, fondò il quotidiano l’Unità e venne eletto deputato. Da segretario del PCd’I, impostò una strategia innovativa: unire gli operai del Nord e le masse contadine del Mezzogiorno, affrontando la cosiddetta "questione meridionale" e cercando un’alleanza con i socialisti massimalisti.

La sua attività non passò inosservata al regime. Nel novembre 1926 fu arrestato e, nel 1928, condannato a 20 anni di carcere dal Tribunale speciale fascista. Il pubblico ministero pronunciò una frase rimasta nella memoria: "Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per vent’anni".

Ma il carcere, invece di spegnere la sua intelligenza, la trasformò in un laboratorio di pensiero. Nonostante la salute sempre più fragile, Gramsci riempì pagine e pagine dei suoi Quaderni del carcere, riflettendo su storia, politica, filosofia, letteratura. È qui che elaborò i suoi concetti più celebri:

  • Egemonia, il potere non solo come dominio coercitivo, ma come capacità di conquistare il consenso culturale e morale.
  • Rivoluzione passiva, i cambiamenti politici e sociali che avvengono senza una reale partecipazione popolare.
  • Il passaggio dalla guerra di movimento (l’assalto diretto al potere) alla guerra di posizione (lento radicamento culturale e sociale prima della conquista politica).

Gramsci criticò apertamente lo stalinismo, opponendosi a ogni forma di potere repressivo e immaginando una società in cui l’educazione e la cultura fossero strumenti di emancipazione collettiva. Le sue riflessioni sul Risorgimento italiano, sulla figura di Machiavelli, sugli intellettuali e sull’"americanismo" mostrano una capacità rara di intrecciare storia e politica con una visione globale.

Le sue condizioni di salute peggiorarono a tal punto che, nel 1934, fu trasferito in una clinica di Formia. Morì a Roma il 27 aprile 1937, pochi giorni dopo aver ottenuto la libertà condizionata.

Oggi, le Lettere dal carcere e i Quaderni del carcere restano tra le opere più influenti della cultura politica del Novecento. Antonio Gramsci, prigioniero del corpo ma libero nello spirito, continua a parlarci di un’idea di politica come responsabilità culturale, di rivoluzione come costruzione di coscienza collettiva, di libertà come conquista quotidiana.



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