Hans-Georg Gadamer 1900
martedì 29 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 91 bis Gadamer 1900
giovedì 24 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 108 Marcuse 1898
Herbert Marcuse 1898
Herbert Marcuse (1898 – 1979) è stato un filosofo e scrittore. Nel 1922 consegue il dottorato a Berlino con una tesi sul romanzo d'artista tedesco ed inizia a lavorare alla sua abilitazione sotto Martin Heidegger a Friburgo, ma a causa del regime nazista emigra negli Stati Uniti nel 1934. La cosiddetta Scuola di Francoforte, formata da lui Max Horkheimer e Theodor Adorno, nasce negli anni seguenti a New York, dove Marcuse viene assunto dall'Istituto per la Ricerca Sociale, che pure si era trasferito a New York. Accetta nel 1942 di lavorare a Washington presso l' Office of Strategic Services (OSS, precursore della CIA) analizzando le informazioni riguardo alla Germania. Successivamente lavora agli Russian Institutes della Columbia University (New York) e di Harvard, quindi alla Brandeis University ed alla University of San Diego in California. Le sue critiche al capitalismo (espresse in Eros e civiltà del 1955 in cui formula l’idea di una società liberata, non repressiva, e L’uomo ad una dimensione del 1967 dove emerge il pessimismo secondo cui nella società cosiddetta democratica emerge un totalitarismo mascherato che riduce la vita dell'individuo al solo bisogno di produrre e consumare), con l'inizio del movimento studentesco, lo fanno divenire uno dei suoi principali interpreti.
mercoledì 23 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 107 Horkheimer 1895
Max Horkheimer 1895
Corso di storia della filosofia: 101 quater Gramsci 1891
Antonio Gramsci 1891
Antonio Gramsci: il prigioniero delle idee
Nato ad Ales, un piccolo paese dell’entroterra sardo, il 22 gennaio 1891, Antonio Gramsci vide la luce in una terra aspra, segnata dalla povertà e dalla fatica quotidiana dei contadini. Fin da bambino dovette affrontare le difficoltà della vita: una malformazione alla colonna vertebrale lo rese fragile fisicamente, ma non riuscì mai a piegare la sua volontà di comprendere e cambiare il mondo.
In gioventù si avvicinò alle idee autonomiste sarde, ma fu l’università di Torino, che iniziò a frequentare nel 1911, a trasformare per sempre il suo orizzonte intellettuale. Nella capitale industriale d’Italia, Gramsci entrò in contatto con le lotte operaie, respirò l’aria densa di dibattiti politici e scoprì nel socialismo rivoluzionario una chiave per interpretare le ingiustizie che vedeva intorno a sé.
Si iscrisse al Partito Socialista Italiano nel 1913 e cominciò a collaborare con giornali come Il Grido del Popolo e l’Avanti!, distinguendosi per la lucidità e la profondità delle sue analisi. Nel maggio 1919 fondò insieme ad altri militanti L’Ordine Nuovo, un settimanale che divenne il punto di riferimento per il movimento dei consigli di fabbrica, organismi autogestiti dagli operai. Le sue posizioni, in sintonia con quelle di Lenin, spingevano il socialismo italiano verso un legame diretto con l’Internazionale comunista.
Quando nel 1921 nacque il Partito Comunista d’Italia, Gramsci fu tra i protagonisti della scissione dal PSI. Entrò nel comitato centrale e, dopo un periodo a Mosca tra il 1922 e il 1923, divenne una figura di primo piano nell’Internazionale comunista. Tornato in Italia nel 1924, in un contesto di crescente repressione fascista, fondò il quotidiano l’Unità e venne eletto deputato. Da segretario del PCd’I, impostò una strategia innovativa: unire gli operai del Nord e le masse contadine del Mezzogiorno, affrontando la cosiddetta "questione meridionale" e cercando un’alleanza con i socialisti massimalisti.
La sua attività non passò inosservata al regime. Nel novembre 1926 fu arrestato e, nel 1928, condannato a 20 anni di carcere dal Tribunale speciale fascista. Il pubblico ministero pronunciò una frase rimasta nella memoria: "Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per vent’anni".
Ma il carcere, invece di spegnere la sua intelligenza, la trasformò in un laboratorio di pensiero. Nonostante la salute sempre più fragile, Gramsci riempì pagine e pagine dei suoi Quaderni del carcere, riflettendo su storia, politica, filosofia, letteratura. È qui che elaborò i suoi concetti più celebri:
- Egemonia, il potere non solo come dominio coercitivo, ma come capacità di conquistare il consenso culturale e morale.
- Rivoluzione passiva, i cambiamenti politici e sociali che avvengono senza una reale partecipazione popolare.
- Il passaggio dalla guerra di movimento (l’assalto diretto al potere) alla guerra di posizione (lento radicamento culturale e sociale prima della conquista politica).
Gramsci criticò apertamente lo stalinismo, opponendosi a ogni forma di potere repressivo e immaginando una società in cui l’educazione e la cultura fossero strumenti di emancipazione collettiva. Le sue riflessioni sul Risorgimento italiano, sulla figura di Machiavelli, sugli intellettuali e sull’"americanismo" mostrano una capacità rara di intrecciare storia e politica con una visione globale.
Le sue condizioni di salute peggiorarono a tal punto che, nel 1934, fu trasferito in una clinica di Formia. Morì a Roma il 27 aprile 1937, pochi giorni dopo aver ottenuto la libertà condizionata.
Oggi, le Lettere dal carcere e i Quaderni del carcere restano tra le opere più influenti della cultura politica del Novecento. Antonio Gramsci, prigioniero del corpo ma libero nello spirito, continua a parlarci di un’idea di politica come responsabilità culturale, di rivoluzione come costruzione di coscienza collettiva, di libertà come conquista quotidiana.
martedì 22 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 101 Carnap 1891
Rudolf Carnap 1891
Immagina di voler capire come funziona il mondo, ma senza perderti in parole complicate o idee confuse. Questo era l’obiettivo di Rudolf Carnap (1891–1970), un filosofo tedesco che amava la logica e la scienza, e che poi visse negli Stati Uniti.
Carnap faceva parte di un gruppo di studiosi molto speciali chiamato Circolo di Vienna: una squadra di amici che cercava di spiegare tutto con il linguaggio più chiaro e preciso possibile, usando la matematica e la scienza.
Fin da giovane, Rudolf studiò con grandi maestri: imparò filosofia, la scienza della logica con chi per primo l’aveva inventata, e persino fisica da uno dei più grandi scienziati di sempre, Albert Einstein! E fece amicizia con filosofi famosi come Bertrand Russell e Edmund Husserl.
Nel 1928 scrisse un libro molto importante, La costituzione logica del mondo, dove provava a spiegare che tutte le nostre idee e la scienza possono partire dalle cose che vediamo o sentiamo dentro di noi, cioè dalla nostra esperienza.
Qualche anno dopo, nel 1934, scrisse un altro libro, Sintassi logica del linguaggio, in cui diceva una cosa rivoluzionaria: non esiste un modo “giusto” o “sbagliato” per parlare o usare la logica, ognuno può scegliere il linguaggio che preferisce, purché sia utile per i suoi scopi.
Quando si trasferì negli Stati Uniti, iniziò a insegnare in grandi università e si dedicò a studiare come funzionano il significato delle parole (la semantica) e come possiamo pensare a tutte le possibilità diverse che potrebbero accadere (la logica modale, che parla di “mondi possibili”).
Inoltre, lavorò a come possiamo capire e prevedere il futuro basandoci su indizi e probabilità, cercando di distinguere tra affermazioni vere per definizione (analitiche) e quelle che si scoprono solo sperimentando (sintetiche).
In poche parole, Carnap voleva che la filosofia fosse chiara, vicina alla scienza e utile a capire davvero come gira il mondo, senza perdere tempo in chiacchiere inutili.
lunedì 21 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 89 Heidegger 1889
Martin Heidegger 1889

domenica 20 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 100 Wittgenstein 1889
Ludwig Joseph Wittgenstein 1889
Ludwig Joseph Wittgenstein (Vienna, 1889 – Cambridge, 1951) è una delle figure più affascinanti e influenti della filosofia del Novecento, un pensatore capace di rivoluzionare per ben due volte il nostro modo di concepire il linguaggio.
Abbandonati gli studi di ingegneria a Manchester per seguire la sua vera passione – la logica e i fondamenti della matematica – nel 1912 approda a Cambridge, dove diventa allievo di Bertrand Russell. La Prima guerra mondiale lo vede ufficiale nell’esercito austriaco; poi, tra il 1920 e il 1926, insegna nelle scuole elementari. Nel 1929 torna a Cambridge e, dal 1939, ricopre la cattedra di filosofia, prima di dimettersi nel 1947 per dedicarsi interamente alla ricerca. Dal 1938 è cittadino britannico.
Il suo pensiero attraversa due grandi fasi.
La prima, racchiusa nel capolavoro Tractatus logico-philosophicus (1922), indaga la natura del linguaggio come specchio della realtà. Wittgenstein immagina un “linguaggio perfetto”, in cui ogni proposizione elementare corrisponde a un fatto semplice, un dato immediato dell’esperienza. La scienza, così, sarebbe l’insieme di tutte queste proposizioni empiriche; la logica e la matematica pura, prive di contenuto empirico, sarebbero tautologie, cioè “pseudo-proposizioni”. Le affermazioni filosofiche tradizionali, non riconducibili a nessuna di queste categorie, sarebbero invece “senza senso” o “insensate”. La filosofia, per Wittgenstein, non è una dottrina ma un’attività: mostrare la struttura logica di ciò che si dice, fino a spingersi là dove il linguaggio non può più arrivare. Da qui la celebre conclusione: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere».
La seconda fase, sviluppata durante il suo insegnamento a Cambridge e raccolta nelle opere postume come Ricerche filosofiche (1953), abbandona l’idea di un linguaggio unico e perfetto per rivolgersi al linguaggio quotidiano. Wittgenstein introduce il concetto di giochi linguistici: così come esistono giochi diversi, ciascuno con regole proprie, anche il linguaggio si articola in una molteplicità di usi, ciascuno con la sua logica interna. Non ha senso cercare un’essenza unica del linguaggio; il significato delle parole nasce dall’uso concreto che ne fa chi parla. Il filosofo diventa così una sorta di “terapeuta” concettuale, impegnato a sciogliere le confusioni che nascono da un uso impreciso del linguaggio, specialmente in campi come la psicologia e il dibattito mente-corpo.
Il Tractatus influenzò profondamente il Circolo di Vienna e, in particolare, Moritz Schlick; la seconda fase, invece, segnò in profondità la filosofia anglosassone e diede impulso a nuovi sviluppi nel pensiero del linguaggio. Le interpretazioni più recenti, però, invitano a leggere Wittgenstein nella sua interezza, riconoscendo non solo la sua appartenenza alla filosofia analitica, ma anche il legame con la ricca tradizione culturale mitteleuropea e viennese, dove la dimensione etica occupa un ruolo centrale, accanto a quella logica e linguistica.
Un pensatore complesso, radicale, eppure sorprendentemente vicino alla vita reale di chi parla e ascolta: per Wittgenstein, capire il linguaggio significa capire noi stessi.
Corso di storia della filosofia: 111 Lacan 1901
Jacques Lacan 1901
Lacan è stato criticato per la mancanza di chiarezza dei suoi scritti (fra gli altri da Martin Heidegger, che li riteneva incomprensibili e che commentò sul suo conto: "questo psichiatra ha bisogno di uno psichiatra") e per l'utilizzo, ritenuto ingiustificato, di concetti provenienti dalle scienze pure. Nel loro libro Imposture intellettuali, i fisici Alan Sokal e Jean Bricmont citano fra l'altro come Lacan paragoni il fallo alla radice quadrata di -1.
sabato 19 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 101 ter Lukács 1885

György Lukács nacque a Budapest nel 1885, in un’Ungheria che stava vivendo i fermenti e le contraddizioni della modernità. Figlio della borghesia colta, crebbe in un ambiente dove la cultura era considerata parte integrante della vita quotidiana. Fin da giovane, la sua curiosità intellettuale lo spinse ben oltre i confini della filosofia scolastica, portandolo a interrogarsi su come arte, letteratura, storia e società si intrecciassero in un unico disegno.
Nel 1906 si laureò a Budapest, ma il desiderio di ampliare i propri orizzonti lo condusse, appena tre anni dopo, in Germania. Qui, tra Berlino e Heidelberg, trascorse anni decisivi: non solo approfondì gli studi di filosofia, ma entrò in contatto diretto con alcune delle menti più brillanti dell’epoca, come Georg Simmel, Max Weber, Heinrich Rickert e Emil Lask. Fu anche il tempo della Hegel-Renaissance guidata da Wilhelm Dilthey, che avrebbe lasciato in lui un segno indelebile.
Da questo crogiolo culturale nacquero le sue prime opere fondamentali: L’anima e le forme (1911) e Teoria del romanzo (1915), testi in cui si intrecciano l’analisi filosofica e la riflessione estetica, il rigore concettuale e la passione per la letteratura. In queste pagine già si intravede il filo conduttore del suo pensiero: la convinzione che l’arte e la filosofia possano e debbano interpretare la complessità dell’esperienza umana.
Il 1923 segnò una svolta. Con Storia e coscienza di classe, Lukács si immerge pienamente nell’universo marxista, proponendo una lettura originale e profonda di Marx. Qui, unisce la teoria della reificazione e del feticismo con la critica hegeliana all’intelletto astratto e al materialismo riduttivo, opponendosi ai metodi puramente analitici e quantitativi delle scienze naturali. Al centro del suo approccio c’è la categoria della totalità concreta: solo comprendendo i fenomeni nel loro insieme, nel loro intreccio di relazioni e contraddizioni, è possibile coglierne il senso autentico.
Ma questo libro, che influenzò una parte importante della cultura europea, fu anche la causa di forti tensioni politiche. Le sue critiche alla “dialettica della natura” di Engels gli valsero l’ostilità della Terza Internazionale. Legato ormai al movimento comunista – nel 1919 aveva partecipato come commissario del popolo all’istruzione alla breve Repubblica sovietica ungherese di Béla Kun – Lukács finì per prendere le distanze dall’opera, inaugurando così la seconda fase del suo percorso: l’elaborazione di una estetica marxista.
In testi come Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica (1948), Lukács difese la continuità metodologica tra Hegel e Marx-Engels, mentre in La distruzione della ragione (1954) tracciò una storia del pensiero tedesco nell’età imperialistica, individuando un filone irrazionalistico che, a suo dire, conduceva da Schelling fino all’ideologia nazista.
Come teorico dell’arte, Lukács elaborò una visione fondata sulla concezione leniniana del rispecchiamento e sulla centralità del particolare: l’arte più alta è per lui il realismo, capace di rappresentare personaggi “tipici” in situazioni “tipiche” che rivelano le strutture profonde della società. I suoi studi sul realismo – da Balzac ai grandi romanzieri russi, fino a Thomas Mann – hanno lasciato un’impronta duratura nella critica letteraria.
Nel 1956, durante il disgelo politico in Ungheria, Lukács entrò nel secondo governo di Imre Nagy come ministro della Pubblica istruzione. Fu un momento breve ma intenso: dopo la repressione sovietica, venne deportato in Romania e poté rientrare a Budapest solo nel 1957. Da allora si ritirò dalla vita pubblica, dedicandosi esclusivamente alla ricerca e alla scrittura, fino alla morte, avvenuta nella sua città natale nel 1971.
Il lascito di Lukács è quello di un pensatore che ha saputo unire filosofia, storia, politica e letteratura in un unico discorso coerente e militante. Un intellettuale capace di attraversare il Novecento con lo sguardo critico di chi crede che la cultura non sia un lusso, ma una forza capace di trasformare la realtà.
venerdì 18 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 117 Bachelard 1884
Gaston Bachelard 1884
Gaston Bachelard (1884 – 1962) è stato un filosofo della scienza e della poesia francese.Epistemologo illustre, è autore di numerose riflessioni legate alla conoscenza e alla ricerca.Gaston Bachelard ha avuto una carriera fuori dal comune. All'inizio impiegato alle poste, prende la laurea e diventa professore di fisica e chimica a Bar-sur-Aube. Riesce nel 1922 a laurearsi anche in filosofia e insegna questa materia alla Facoltà di Dijon prima di diventare professore alla Sorbona fino al 1954. Nella sua opera fondamentale: Il nuovo spirito scientifico (1934), Gaston Bachelard compie un superamento del dibattito tra empirismo e razionalismo, così come Karl Popper, autore a cui viene spesso contrapposto. Per Bachelard, il materialismo razionale si trova al centro di uno spettro epistemologico le cui due estremità sono costituite dall'idealismo e dal materialismo. Bachelard si impegna per una critica severa dell’induttivismo e dell'empirismo. Il fatto scientifico si trova sempre costruito alla luce di una problematica teorica. La scienza si sviluppa in opposizione all'evidenza, contro le illusioni della conoscenza immediata. È in questo senso che Bachelard parla di una «filosofia del non». L'accesso alla conoscenza come la storia delle scienze è dunque segnata da un «taglio epistemologico» che opera una separazione con il pensiero prescientifico. Produrre conoscenze nuove significa dunque superare "ostacoli epistemologici", secondo l'espressione di Bachelard che parla anche di rottura epistemologica.Per Bachelard, ogni conoscenza è una conoscenza avvicinata: «Scientificamente, si pensa il vero come correzione storica di un lungo errore, si pensa l'esperienza come correzione della comune e prima illusione».Bachelard si impegna per un'epistemologia concordataria. Ritiene sia indispensabile superare l'opposizione tra empirismo e razionalismo: «Né razionalità vuota, né materialismo sconnesso». «L'attività scientifica richiede la messa in opera di un razionalismo applicato» o di «un materialismo razionale».Avendo le sue idee numerose affinità con quelle di Ferdinand Gonseth, contribuì con lui alla creazione e alla vita della rivista Dialectica.Nella seconda parte della sua impresa filosofica, Bachelard si consacra a uno studio approfondito dell'immaginario poetico. In un testo divenuto celebre, Le dormeur éveillé, dichiara: "La nostra appartenenza al mondo delle immagini è più forte, più costitutiva del nostro essere che non l'appartenenza al mondo delle idee". Incoraggia allora le dolcezze del fantasticare (della "rêverie") e si lascia andare alle evocazioni ispirate dalla "fiamma di una candela".
giovedì 17 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 103 Malinowski 1884
Bronislaw Malinowski 1884



Bronislaw Malinowski (1884 – 1942) è stato un antropologo polacco, naturalizzato britannico e considerato universalmente come uno dei più importanti studiosi del XX secolo. È celebre per la sua attività pionieristica nel campo della ricerca etnografica, per gli studi sulla reciprocità e per le acute analisi sugli usi e costumi delle popolazioni della Melanesia. Conseguì il dottorato all'Università Jagellonica nel 1908. Successivamente frequentò l'Università di Lipsia, dove subì l'influenza di Wilhelm Wundt e delle sue teorie sulla psicologia popolare: interessi che lo spinsero ad occuparsi di antropologia. Nel 1910 si trasferì a Londra, per studiare alla London School of Economics and Political Science. Nel 1914, in occasione del suo primo viaggio in Papua Nuova Guinea svolse lavori di ricerca etnografica a Maliu. Rimasto bloccato lì per lo scoppio della Prima guerra mondiale, ne approfittò per recarsi nelle isole Trobriand, dove realizzò il suo più celebre studio, quello sul Kula. Esso è una forma di scambio cerimoniale che consiste in periodiche spedizioni su canoe che ogni gruppo organizza per andare a fare visita alle comunità delle altre isole, con cui vengono scambiati doni. Lo scambio simbolico si basava su due tipi di doni: collane di conchiglie rosse, dette soulava, venivano scambiate con braccialetti di conchiglie bianche, dette mwali. A questo si aggiungeva un baratto informale detto gimwali con cui venivano scambiati oggetti d'uso di ogni tipologia. Egli giunse alla conclusione che il kula serviva come meccanismo di attivazione di determinate forme di solidarietà sociale: grazie al kula si contribuiva a fare legare le persone attraverso una serie di obblighi e sulla base di un principio di collaborazione.
mercoledì 16 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 94 Jaspers 1883
Karl Jaspers 1883

Tra i suoi concetti più influenti ci sono:
- Le “situazioni-limite”: esperienze come la morte, la sofferenza, il fallimento, che spingono l’individuo a confrontarsi con la propria esistenza autentica.
- La “comunicazione esistenziale”: il rapporto profondo tra persone che cercano la verità oltre le apparenze.
- Il concetto di “trascendenza”: la ricerca di un significato che va oltre la realtà empirica.
Jaspers fu anche uno dei primi filosofi a parlare della responsabilità collettiva dopo la Seconda Guerra Mondiale, affrontando il problema della colpa in Germania.
La sua opera principale è “Filosofia” (1932), un'opera monumentale in tre volumi.
Vuoi un approfondimento su un’opera o concetto in particolare?
martedì 15 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 90 Hartmann 1882

lunedì 14 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 99 Schlick 1882
Moritz Schlick 1882

domenica 13 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 104 bis Aron 1905
Aron 1905
Raymond Aron – Il liberale controcorrente del Novecento

Nato nel cuore della Terza Repubblica francese, nel 1905, Raymond Aron attraversò il XX secolo con lo sguardo lucido del testimone critico. Filosofo, sociologo, politologo, giornalista, Aron fu una figura poliedrica e difficilmente incasellabile, ma sempre fedele a una missione: difendere la ragione, la libertà e il pluralismo in un’epoca segnata da ideologie totalizzanti.
Contro il fascino delle ideologie
Aron si formò alla prestigiosa École Normale Supérieure, accanto a compagni illustri come Jean-Paul Sartre. Ma se Sartre si sarebbe immerso nelle acque agitate dell’esistenzialismo e poi del marxismo, Aron prese una strada diversa: scelse la sobrietà del pensiero critico e il rigore della riflessione politica liberale.
Fin da giovane, fu affascinato dalla filosofia tedesca e dalla sociologia di Max Weber, che lo influenzò profondamente. Weber lo aiutò a costruire una visione della politica come ambito tragico, dominato da dilemmi, non da soluzioni perfette.
Durante la Seconda Guerra Mondiale si rifugiò a Londra e collaborò con il governo della Francia Libera. Tornato in patria, divenne un acuto osservatore della Guerra Fredda, delle trasformazioni sociali e del mondo intellettuale francese. Non accettò mai compromessi con i totalitarismi: fu critico del comunismo sovietico quanto del fascismo, e non esitò a denunciare le ambiguità dei suoi colleghi filosofi che chiudevano un occhio davanti ai crimini dei regimi "di sinistra".
Il disincanto del politico
Uno dei suoi libri più celebri, "L’oppio degli intellettuali" (1955), è un attacco tagliente alla fascinazione che molti intellettuali francesi avevano per il marxismo. Aron accusa i suoi contemporanei di usare ideologie come surrogati religiosi, accecati dalla fede nella storia e incapaci di vedere i fatti. Scriveva con chiarezza, senza giri di parole, ma con tono mai violento: era un liberale disincantato, non un ideologo.
Nelle sue opere affrontò temi fondamentali: il rapporto tra potere e verità, tra libertà e responsabilità, tra storia e scelte individuali. Il suo approccio era sempre concreto, attento ai dati, ai fatti, alle istituzioni reali. Fu uno dei primi a studiare il ruolo della tecnologia, della burocrazia e dei media nella società moderna.
Un maestro poco ascoltato (ma sempre attuale)
Aron visse spesso in ombra rispetto ai filosofi più “di moda” del suo tempo, come Sartre o Foucault. Eppure oggi molti lo riscoprono come una delle voci più lucide e lungimiranti del secolo scorso. In un mondo in cui l’informazione è veloce, i giudizi si polarizzano, e le ideologie tornano a sedurre, Aron ci ricorda l’importanza del dubbio, dell’analisi razionale, della democrazia come pratica imperfetta ma insostituibile.
Morì nel 1983, poco dopo un acceso dibattito televisivo: aveva parlato di politica fino all’ultimo, con la sua consueta lucidità. Raymond Aron non ci ha lasciato verità assolute, ma uno stile di pensiero: libero, critico, sempre in ascolto della realtà.
Corso di storia della filosofia: 83 Spengler 1880
Oswald Spengler 1880
sabato 12 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 85 Gentile 1875
Giovanni Gentile 1875
Filosofo e storico della filosofia (Castelvetrano 1875 - Firenze 1944). Discepolo alla Scuola normale superiore di Pisa di D. Jaja (che lo avvicinò al pensiero di B. Spaventa), di A. D'Ancona e di A. Crivellucci; professore nelle università di Palermo (1906-13), Pisa (1914-16), Roma (dal 1917); direttore (1929-43) della Scuola normale superiore di Pisa, di cui promosse l'ampliamento e lo sviluppo; collaboratore con B. Croce per un ventennio nella redazione della Critica e nell'opera di rinnovamento della cultura italiana; fondatore (1920) e direttore del Giornale critico della filosofia italiana; ministro della Pubblica Istruzione (ott. 1922 - luglio 1924); senatore del Regno (dal nov. 1922); socio nazionale dei Lincei (1932); presidente dell'Accademia d'Italia (dal nov. 1943). Considerò il fascismo come il continuatore della destra storica nell'opera del Risorgimento, e ad esso aderì; ma si tenne lontano, soprattutto nella collaborazione intellettuale, da ogni intransigenza verso persone di opposti convincimenti. Dopo essere stato ministro della Pubblica Istruzione, abbandonò la politica attiva, dedicandosi, oltre che agli studî, alla promozione e organizzazione d'imprese culturali (tra cui l'Enciclopedia Italiana, di cui fu anche il direttore scientifico). Il 24 giugno 1943 riapparve alla ribalta politica con un discorso sul Campidoglio, in cui auspicava, come italiano e "non gregario di un partito che divide", l'unione di tutte le forze per la salvezza del paese, che era sull'orlo della sconfitta. Nella seconda metà di novembre fu nominato da B. Mussolini presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita in quei frangenti a Firenze. E a Firenze fu ucciso da un gruppo di giovani aderenti ai GAP (gli scritti suoi di quel tragico periodo furono poi raccolti dal figlio Benedetto nel volume: G. Gentile: dal discorso agli Italiani alla morte, 1950). La filosofia di G. (La riforma della dialettica hegeliana, 1913; Teoria generale dello spirito come atto puro, 1916; I fondamenti della filosofia del diritto, 1916; Sistema di logica, 2 voll., 1917-23; Discorsi di religione, 1920; Filosofia dell'arte, 1931; Introduzione alla filosofia, 1933; Genesi e struttura della società, post., 1946) s'incentra sul concetto del pensiero come "atto puro"; donde la denominazione di "attualismo" o "idealismo attuale" da essa assunta. Tale concetto è inteso non, come in Aristotele, quale realtà priva di potenza e quindi perfettamente realizzata, bensì come realtà che è lo stesso processo di realizzazione, ossia come pensiero pensante o pensiero in prima persona o Io (risolvente in sé tutto il reale naturale o storico), il quale "è" tale in quanto "non è" già o di fatto, ma "diviene", si fa. Pertanto l'Io - in cui G. ritrova l'io trascendentale di I. Kant liberato dal noumeno e da ogni dualismo di attività teoretica e pratica - si pone come sintesi "attuosa" di coscienza di sé e coscienza di altro da sé, o come autodeterminazione dell'"autoconcetto" nel "concetto", il quale è il "risultato in cui termina un processo dinamico vivo". In questa conciliazione della fermezza del pensato e della dinamicità del pensare (in cui il primo è contenuto e risolto), G. trova l'inveramento della logica aristotelica, o dell'identità, e della logica hegeliana, o dialettica. Con la critica e la negazione di ogni presupposto dell'attività dell'Io, e quindi di ogni dualismo (di natura e spirito, finito e infinito, ecc.), si afferma l'assoluto spiritualismo o immanentismo. Tale concezione, che risolve tutta la realtà e ogni forma della vita spirituale nell'atto del pensiero, identifica questo ultimo con la filosofia o autocoscienza, quale mediazione dialettica dell'arte e della religione, concepita l'una come momento della pura soggettività o sentimento e l'altra come momento della pura oggettività; e conduce parimenti all'identificazione di storia e filosofia, come risoluzione del passato nel presente eterno dell'atto. Dalla concezione attualistica G. ricavò, rispetto al problema educativo (Sommario di pedagogia, 2 voll., 1913-14; La riforma dell'educazione, 1920; Educazione e scuola laica, 1921; Preliminari allo studio del fanciullo, 1924), due principali conseguenze: l'identità di pedagogia e filosofia e il concetto dell'autonomia dell'educando, onde l'educazione, quale processo unificatore di educando ed educatore, è propriamente autoeducazione. Queste idee presiedettero alla riforma della scuola del 1923, attuata da G. ministro della Pubblica Istruzione (i cui scritti e discorsi furono poi raccolti nel volume La riforma della scuola in Italia, 1932). Tale riforma (la più organica dall'unificazione d'Italia in poi) concepiva la scuola come funzione essenziale dello stato; tuttavia consentì, in omaggio al principio della libertà d'insegnamento, l'istituzione di scuole private, a fianco di quelle pubbliche, ma con il controllo dello stato sulle une e le altre mediante l'"esame di stato", che doveva altresì accertare la maturità del candidato; intese sostituire all'istruzione manualistica e informativa quella formativa che si basa sul contatto diretto con gli autori classici; riconobbe, in antitesi all'indirizzo strettamente intellettualistico della scuola tradizionale, il valore dell'educazione estetica e di quella religiosa; promosse l'educazione fisica e sportiva; rinnovò le scuole di tipo moderno e professionale. Notevole anche il suo impegno nel campo dell'estetica e della critica letteraria (Frammenti di estetica e letteratura, 1921; Manzoni e Leopardi, 1928; Filosofia dell'arte, 1931; Studi su Dante, post., 1965). Teorizzando l'arte come il momento dialettico dell'immediato sentimento, che si media esprimendosi e incarnandosi nel pensiero o filosofia, di cui è l'"anima ascosa e presente", egli assegnò alla critica (in ciò intendendo riallacciarsi fedelmente a F. De Sanctis) il compito di ricercare nell'artista l'uomo, ossia di considerare la forma come la concretezza di un contenuto reale (la concezione morale, la fede religiosa, il credo politico, ecc., di un artista). Pertanto un'opera di poesia non viene spezzata in poesia e non poesia, poesia e struttura, ma valutata nella sua unità e organicità, come opera di poesia e insieme di pensiero. G. ha svolto opera vastissima anche come storico della filosofia, attento soprattutto allo svolgimento della filosofia italiana: dallo studio Rosmini e Gioberti (1898, in cui riprendeva la sua tesi di laurea) ai volumi Dal Genovesi al Galluppi (1903), La Filosofia (nella Storia dei generi letterari it., 1904-15, poi ripubblicato col titolo Storia della filosofia italiana fino a L. Valla), I problemi della scolastica e il pensiero italiano (1913), Le origini della filosofia contemporanea in Italia (4 voll., 1917-23), G. Capponi e la cultura toscana del sec. XIX (1922). La sua opera storiografica, in cui si avverte l'influenza della prospettiva hegeliano-spaventiana (per cui la storia della filosofia è l'attuarsi progressivo dello spirito), è ricca di contributi puntuali (come gli Studi vichiani, 1915, e i due volumi sul Rinascimento: Studi sul Rinascimento, 1923; Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, 1920; poi ripubblicato in 3ª ed., 1939, col titolo Il pensiero italiano del Rinascimento), nonché di ricerche erudite e di edizioni di testi soprattutto di filosofi italiani (da ricordare la collaborazione all'ed. di G. Vico e l'ed. dei Dialoghi metafisici e dei Dialoghi morali di G. Bruno). Da tale opera la storiografia filosofica ha ricevuto grande impulso, e molta influenza hanno esercitato certi suoi schemi interpretativi. G., che alla scuola aveva dato il meglio di sé, ebbe una folta schiera di discepoli e seguaci che, per un certo periodo, fecero dell'attualismo il sistema filosofico caratteristico della vita culturale italiana; negli ultimi anni di vita del filosofo, tuttavia, ebbe luogo un processo che doveva portare allo sfaldamento dell'unità del movimento attualistico, il quale si divise in due opposti indirizzi: l'uno teso a svilupparne i principî in forme di estremo storicismo e problematicismo, l'altro centrato sul tentativo di conciliarlo con la trascendenza e il teismo tradizionali.
venerdì 11 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 86 Cassirer 1874
Ernst Cassirer 1874

giovedì 10 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 91 Scheler 1874

Max Scheler, Filosofo (Monaco di Baviera 1874 - Francoforte sul Meno 1928). Professore nelle univ. di Jena, di Monaco, di Colonia e di Francoforte. Dopo un saggio ispirato ancora alle prospettive del suo maestro R. Eucken (Die transzendentale und die psychologische Methode, 1900), S. si avvicinò alla fenomenologia husserliana, sviluppandola anzitutto in direzione dell'etica con una serie di scritti tra cui il più celebre e importante è Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik (1916). Il metodo fenomenologico consente infatti, secondo S., d'individuare degli oggetti completamente inaccessibili all'intelletto e disposti tra loro in un ordine eterno e gerarchico: i valori. L'accertamento del loro ordine, mediante un'intuizione "sentimentale", porta alla scoperta di leggi altrettanto precise ed evidenti di quelle della logica e della matematica e tali da rendere possibile la fondazione dei fenomeni morali, in contrasto con l'etica puramente formale di Kant. I valori devono poi essere accuratamente distinti nei loro diversi piani (o modalità), che vanno da quello dei valori connessi alla sensibilità (come il gradevole e lo sgradevole), a quelli vitali (come il benessere, il malessere, la salute, ecc.), a quelli spirituali (il bello, il giusto, il vero, i valori culturali in generale) e infine a quelli religiosi (il sacro). All'approfondimento di quest'ultimo tipo di valori tende la filosofia della religione, sviluppata soprattutto in Vom Ewigen im Menschen (1921), dove S. si avvicinò al cattolicesimo mettendo al centro della sua filosofia la concezione dell'amore come rapporto essenziale della persona umana con il Dio-persona. Su questa centralità della persona e dell'amore è pure fondata la sociologia di S., trattata soprattutto nel volume Die Wissensformen und die Gesellschaft (1926) e rivolta a una critica serrata della civiltà moderna, accusata di aver rovesciato in modo utilitaristico e pragmatistico quei valori di corresponsabilità e solidarietà sui quali soltanto si può sviluppare una "comunità personale" autentica. Negli ultimi anni della sua vita S. lavorò alla costruzione di un'antropologia filosofica, di cui pubblicò i primi risultati nel volume Die Stellung des Menschen im Kosmos (1928) e che rimase interrotta per la sua morte. In quest'ultima fase del suo pensiero S. si allontanò dalla concezione cristiana di Dio come pura trascendenza, attribuendo anche alla divinità quella dualità e quell'opposizione tra lo spirito, come razionalità, e l'istinto, come impulso, che sono costitutive dell'uomo, e considerando la storia come sviluppo del loro conflitto in vista della piena realizzazione del divino attraverso l'uomo e nell'uomo. Tra le altre opere di S. vanno ricordate: Vom Umsturz der Werte (1915), Wesen und Formen der Sympathie (1923), Schriften zur Soziologie und Weltanschauungslehre (1923-24), Philosophische Weltanschauung (post., 1929).
mercoledì 9 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 98 Russell 1872
Bertrand Russell 1872

martedì 8 aprile 2025
Corso di storia della filosofia: 84 Croce 1866
Benedetto Croce 1866
Filosofo e storico (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 - Napoli, 20 novembre 1952). Studiò a Napoli, che divenne presto la sua dimora abituale. Scampato dal terremoto di Casamicciola (1883) in cui perdette i genitori, fu accolto a Roma in casa dello zio Silvio Spaventa, e vi rimase sino al 1886; ivi intraprese gli studî di giurisprudenza che non continuò, preferendo dedicarsi ai corsi universitarî di etica di Antonio Labriola. Tornato a Napoli, si diede a indagini erudite, ma presto l'erudizione - che pure coltivò poi sempre con geniale dottrina - gli si palesò insoddisfacente, e sentì il bisogno, tipico/">tipico in lui, di trasferire i suoi interessi mentali su un piano di riflessione critica. Primo segno d'una revisione radicale in senso filosofico del suo atteggiamento è la memoria su La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte (1893). Ha inizio così una fervida opera da cui la cultura italiana uscì rinnovata, opera in cui il C. ebbe lungamente compagno Giovanni Gentile, finché ragioni speculative prima e poi politiche non ruppero l'accordo dei due filosofi, e che ha come documento, oltre che le opere dell'uno e dell'altro, le annate de La Critica, fondata nel 1903, la quale rappresentò l'insigne organo del rinnovamento. Senatore dal 1910, ministro dell'Istruzione con Giolitti (da lui sempre ammirato) nel 1920-21, assunse nel 1925, dopo che il fascismo si fu dichiarato nella sua essenza totalitaria, deciso atteggiamento di opposizione, redigendo il Manifesto degli intellettuali antifascisti, i quali guardarono poi sempre a lui come a un esempio. Caduto il fascismo, tornò per breve tempo alla vita politica attiva, come ministro senza portafoglio nel gabinetto Badoglio (aprile-giugno 1944) al quale parteciparono i sei partiti antifascisti del CLN, e nel primo gabinetto Bonomi (costituito il 18 giugno, ma il C. si dimise il 27 luglio); tenne sino al 1947 la presidenza effettiva del Partito liberale e sino al 1948 quella onoraria, fu consultore, deputato alla Costituente e dal 1948 senatore di diritto. Nel 1947 fu nominato socio onorario dell'Accademia dei Lincei, della quale era stato in passato (1923-35, 1945) socio nazionale; nello stesso anno fondò a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici, a disposizione del quale aveva posto la sua biblioteca, forse la più importante biblioteca privata d'Italia. Cardine fondamentale del sistema crociano è il nesso o dialettica dei "distinti", come integrazione della hegeliana dialettica degli "opposti". Con esso il C. intese rivendicare la distinzione e autonomia delle forme dello spirito. Carattere peculiare dell'attività del C. è il costante parallelismo tra la sua opera di filosofo e quella di indagatore di specifici problemi storici, letterarî, politici, ecc.: la sua filosofia, da lui appunto concepita come "metodologia della storia", s'invera assiduamente nel concreto. ▭ Il giovane C. parte nella sua battaglia contro il positivismo dalle posizioni spiritualistiche del De Sanctis e dallo storicismo del Vico, e "storicismo assoluto" è appunto la definizione ultima, da lui stesso offerta, del suo pensiero. Insufficiente, sin dall'inizio, gli apparve il positivismo a chiarire le ragioni della poesia e della storia, ambedue per il C. conoscenza dell'individuale e pertanto non riducibili a classi di fenomeni naturalisticamente intese, e non spiegabili meccanicisticamente. La storiografia si distingue, senza negarla, dalla scienza, essa - affermò il C. all'inizio - può esser ridotta al concetto generale dell'arte, ma l'ulteriore sviluppo della sua indagine è volto a distinguere tra arte e storia: la prima è una forma di conoscenza che si distingue dalla storica e dalla scientifica, in quanto è "intuizione", indipendente dalla conoscenza razionale, dall'utilità e dalla morale, e s'identifica con la sua espressione. Ma certamente l'estetica crociana presenta anche, in nuce, una teoria dello spirito, in cui, accanto all'attività teoretica, è formulata una teoria dell'attività pratica. Il Croce aveva maturato questa parte del suo pensiero attraverso le suggestioni che prima dell'elaborazione dei suoi pensieri sull'arte gli erano venute dallo studio della filosofia del Marx e dall'amicizia con il Labriola. Già da questo il materialismo di Marx veniva opposto, come metodo e teoria storiografica, al filologismo indifferente e sterile. Il C. chiarisce l'essenza di questa nuova problematica del materialismo marxista nella necessità di determinare il posto che nella vita dello spirito spetta all'attività economica. E mentre il marxismo aveva concepito la realtà economica come condizione o struttura, C. fa dell'economicità una delle forme della spiritualità, ponendo, accanto alle categorie tradizionali del Bello (estetica), del Buono (morale), del Vero (logica), la quarta categoria dell'Utile (economica). Ma con questa accettazione del momento economico, che è anche limitazione di esso, C. si sottrae alla suggestione del marxismo, che gli appare ormai errore filosofico; esso però permette al C. di riprendere e sistemare la teoria romantica della politica come pura economicità non tiranneggiata da esigenze etiche, e di ricongiungersi, ancora più indietro, al Machiaveili. ▭ Per dare una compiuta teoria del giudizio estetico e di quello logico, il C. doveva peraltro indagare la sfera specifica nella quale lo spirito, fattosi autocosciente, elabora i predicati del giudizio. Questo compito è affrontato nella Logica, e il problema è avviato a soluzione con la distinzione, che il C. introduce in questa opera, tra concetti puri e pseudoconcetti, cioè tra ragione e intelletto. L'intelletto astratto viene rigettato fuori dei confini dell'attività conoscitiva, in quelli dell'attività pratica, conformemente alle indicazioni e alle conclusioni cui per altre vie e con altri intenti era giunta la gnoseologia e metodologia delle scienze, partendo dal seno stesso del positivismo. Liberatosi dagli impacci degli pseudoconcetti, il C. elabora la teoria del concetto puro, che vive nel giudizio. E infine, con l'identificazione di giudizio esistenziale, o individuale, e giudizio definitorio, compie il passo decisivo, rivelando l'insopprimibile storicità di ogni giudizio, che è il coronamento dell'edificio filosofico di C. e il delicato punto in cui storia e filosofia operano una reciproca integrazione. Tuttavia, una simile ampia sistemazione non sarebbe del tutto intelligibile se non se ne chiarisse ancora un presupposto, che è quello dell'incontro diretto del pensiero del C. con quello di Hegel (Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, 1906), del quale, attraverso lo studio del marxismo e "mercé l'amicizia e la collaborazione col Gentile", aveva già avuto a risentire. Al C. si era venuta rivelando una visione della realtà la quale, per la concezione dei distinti, si ordina e circolarmente trapassa in forme diverse e ritornanti, in una guisa che può apparire del tutto pacifica. Il C. accordò tale concezione con la dialettica propria dell'hegelismo, la quale sottolinea il momento della lotta e del contrasto tra gli elementi che danno struttura alla realtà, mostrando invece che il momento negativo in una forma distinta non è altro che la positività di un altro distinto che al primo si surroga, per cui alla realtà non viene a mancare l'anelito dialettico e la spinta al divenire, ma non manca nemmeno la capacità di presentarsi positiva ed equilibrata in ogni suo momento. In tal modo una teoria della storiografia era orma i compiuta. Essa imponeva al filosofo-storico di adeguare il suo pensiero e di cogliere i suoi problemi in una realtà che continuamente si rinnova.
Gli eventi pubblici seguiti alla prima guerra mondiale lo indussero poi a trasformare i suoi concetti interpretativi della realtà in precetti e norme di vita: nacque così il suo liberalismo; come prima aveva rivendicato l'autonomia della politica, così ora, di fronte a violente ideologie politiche che danno sanzione etica allo stato, è indotto a rivendicare, nel quadro della distinzione, l'autonomia e l'alterità della vita morale rispetto all'attività politica. Il ripensamento e la colorazione etica dei concetti fondamentali del sistema diventano nota caratteristica di questa seconda fase della vita del filosofo, e da essa sgorga gran parte della produzione del C. storico, che è tutta rivolta alla contemplazione e all'esaltazione delle forze morali che operano nella storia. C. teorizza questa esperienza nella distinzione di storiografia puramente economica e di storiografia etico-politica, nell'idea della storia come storia della libertà e della libertà come ultima religione dell'umanità.
La metodologia degli studî letterarî e storici è uscita profondamente rinnovata dall'insegnamento del Croce. Lo studio della poesia, come d'ogni altra arte, deve tendere - egli insegnò - all'individuazione della personalità dell'artista; tutto ciò che è esterno a lui può concorrere a spiegarlo ma non lo condiziona ai fini dell'accertamento della sua poesia; è assolutamente inefficiente, anzi dannoso, un raggruppamento storico degli artisti; storia dell'arte non è possibile fare, e tanto meno storia di singoli generi letterarî che sono astrazioni di critici, non realtà. Le ricerche care al vecchio "metodo storico" sono bensì legittime, ma solo al servizio della ricostruzione storica d'una determinata cultura o civiltà, non mai per la vera comprensione d'un poeta o artista. La storia, a sua volta, è sempre contemporanea, nel senso che essa è legata al presente, nella persona e nell'ambiente dello storico, che muove sempre nell'opera sua da proprî interessi attuali. La storiografia non è cronaca grezza di avvenimenti, ma ricostruzione e giudizio dei fatti, sintesi di intuizione e concetto; è sempre "etico-politica", cioè storia della vita morale e civile dell'uomo. Il linguaggio è creazione individuale, e quindi atto spirituale, espressione di fantasia e non di logica, è dunque sinonimo di poesia; la linguistica, com'è tradizionalmente intesa, cioè come studio di suoni, di forme, di significati, ecc., ha la sua legittimità, ma come studio di fatti sociali. E si tacciono qui gli insegnamenti del C. in molti altri campi di studio, anche lontani da quelli da lui coltivati (per es., nella filologia testuale); ma non può essere taciuto che nella storia della prosa italiana moderna, la prosa del C., così limpida e precisa, senza sbavature di sorta, sostenuta ma senza pedanterie e leziosaggini, rappresenta un momento di notevole importanza. Pertanto il C., anche se non gli mancarono critici e avversarî talvolta violenti, appare come la figura di maggior rilievo della vita culturale italiana della prima metà del Novecento.
Tra le opere di critica e storia letterarie: Saggi sulla letteratura italiana del Seicento (1911); La letteratura della nuova Italia (6 voll., 1914-40); Goethe (1919); Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920); La poesia di Dante (1921); Poesia e non poesia (1923); Storia dell'età barocca in Italia (1929); Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento (1931); Poesia popolare e poesia d'arte (1933); Nuovi saggi sul Goethe (1934); Poesia antica e moderna (1941); Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento (3 voll., 1945-52); La letteratura italiana del Settecento (1949); Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia (1950). Tra le sue opere filosofiche, fondamentale è la Filosofia dello spirito in tre volumi (Estetica come scienza della espressione e linguistica generale, 1902; Logica come scienza del concetto puro, 1909; Filosofia della pratica, 1909), a cui poi si aggiunse la Teoria e storia della storiografia, 1917 (uscita però già nel 1915 in lingua tedesca a Tubinga: Zur Theorie und Geschichte der Historiographie). Altri scritti filosofici: Materialismo storico ed economia marxista (1900), Problemi di estetica (1910); La filosofia di G. B. Vico (1911); Cultura e vita morale (1914); Nuovi saggi di estetica (1920), in cui è compreso il Breviario di estetica (1913); Etica e politica (1931); Ultimi saggi (1935); La poesia (1936); La storia come pensiero e come azione (1939); Il carattere della filosofia moderna (1941); Discorsi di varia filosofia (2 voll., 1945); Filosofia e storiografia (1949); Storiografia e idealità morale (1950); Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici (1952). Tra gli scritti di storia etico-politica: La rivoluzione napoletana del 1799 (1912); Storia del Regno di Napoli (1925); Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928); Storia d'Europa nel secolo decimonono (1932). Scritti varî: Contributo alla critica di me stesso (1918); Conversazioni critiche (5 voll., 1918-1939); Storia della storiografia italiana nel secolo XIX (2 voll., 1921). Nel 1951 fu pubblicata nei "classici Ricciardi", a cura dello stesso C., un'antologia delle sue opere (Filosofia, poesia, storia), con una compiuta cronologia.
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