mercoledì 30 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: Lacan 1901

Jacques Lacan 1901

Jacques Lacan (1901–1981): un profilo critico

Jacques Lacan è una figura complessa e controcorrente della cultura francese del Novecento: psichiatra, psicoanalista e teorico, la cui opera ha influenzato la clinica psicoanalitica, la filosofia, la letteratura e le scienze umane. Il suo lascito è insieme fecondo e controverso: molti lo considerano un riformatore radicale del pensiero freudiano, altri lo accusano di oscurità concettuale e di un uso improprio di termini e strumenti presi dalle scienze “dure”. Qui offro una ricostruzione ordinata e una valutazione critica delle sue idee principali, della pratica clinica e della ricezione.


1. Linee biografiche e contesto intellettuale

Nato nel 1901, Lacan studiò medicina e si specializzò in psichiatria. La sua tesi del 1932 sulla “psicosi paranoica” e i primi contatti con il mondo psichiatrico e filosofico (Kojève, la cerchia strutturalista) segnarono una formazione interdisciplinare. Dagli anni ’30 in poi Lacan si confrontò profondamente con Freud, ma anche con la linguistica (Saussure), la strutturalismo antropologico (Lévi-Strauss) e la linguistica della comunicazione (Jakobson). Le lezioni e i seminari — tenuti dal 1953 al 1980 — costituirono il luogo principale in cui espose la sua teoria; la raccolta più nota dei suoi scritti è Écrits (1966), ma la sua opera è soprattutto orale e seminariale.

Instituzionalmente Lacan fu spesso in conflitto con le istituzioni psicoanalitiche ortodosse; questi conflitti lo portarono a fondare (nel 1964) l’École Freudienne de Paris. Le polemiche e le scissioni ne accentuarono la fama e la controversia.


2. Il programma teorico: “ritorno a Freud” e la lingua come struttura

Lacan rivendicò sempre un «ritorno a Freud»: non intese recuperare un Freud ingenuo, ma rileggerlo con strumenti nuovi. La tesi centrale che sintetizza il suo programma è nota e spesso citata: «l’inconscio è strutturato come un linguaggio». Con ciò Lacan non intendeva che l’inconscio sia soltanto linguaggio, ma che le forme con cui emerge (metafora, metonimia, soggettivazione attraverso il discorso dell’Altro) obbediscano a leggi strutturali analoghe a quelle che la linguistica mostra per il segno linguistico.

Due conseguenze cruciali:

  • il primato del significante: il soggetto è più impigliato nella catena dei significanti (la catena discorsiva che lo precede) che non nelle intenzioni coscienti che può esprimere;

  • l’attenzione alla struttura (non alla mera descrizione clinica): sintomi, lapsus, sogni vanno interpretati come effetti di una rete di significanti.

Questo approccio spostò l’asse della psicoanalisi dalla psicologia dell’Io (ego psychology) verso una teoria del linguaggio e della soggettività.


3. I registri: Immaginario, Simbolico, Reale

Una delle più famose articolazioni lacaniane è la tripartizione dello spazio psichico in tre registri, che funzionano come livelli analitici e concettuali:

  • L’Immaginario: campo delle immagini e delle identificazioni (qui si colloca il stade du miroir). È il registro in cui l’io si costituisce attraverso l’identificazione; è il regno delle illusioni di coerenza e delle relazioni speculari.

  • Il Simbolico: ordine del linguaggio, della legge e dei significanti. È il luogo delle leggi sociali, del Nome-del-Padre, delle proibizioni; qui il soggetto si soggettivizza perché viene nominato dalla catena dei significanti.

  • Il Reale: ciò che resiste alla simbolizzazione, l’impossibile da dire; non è “realtà” in senso comune ma ciò che non entra nella rete simbolica (traumi, lacune, pulsioni che non trovano rappresentazione).

Questa triplice mappa non è una classificazione statica ma uno strumento per leggere i fenomeni clinici: la nevrosi, la psicosi e la perversione si articolano come differenti rapporti a questi registri (la psicosi, ad esempio, è spesso letta come una forclusione simbolica).


4. Concetti cardine (spiegati con esempi)

4.1 Lo stadio dello specchio (stade du miroir)

Descrive l’identificazione primaria dell’infante con la propria immagine riflessa: riconoscendo la propria figura, il bambino costruisce un Io unitario che è in realtà una méconnaissance (falsa riconoscenza). Questo momento è decisivo per la formazione dell’io e per la nascita della tensione tra l’immagine coerente e la frammentarietà delle esperienze sensoriali.

Esempio semplice: il bimbo che si vede nello specchio e sorride alla persona che vede: sta stabilendo il proprio “io” immaginario, non la conoscenza reale di sé.

4.2 Il Nome-del-Padre (Nom-du-Père) e la funzione paterna

È un significante istituzionale che introduce la legge simbolica (divieto dell’incesto) e la mediazione culturale. Lacan lo usa per spiegare l’entrata del soggetto nell’ordine simbolico: la funzione paterna non è solo genealogica ma simbolica.

4.3 Oggetto piccolo-a (objet petit a)

Oggetto causa del desiderio: non è un oggetto reale da raggiungere, ma ciò che, come mancanza, mantiene il desiderio in movimento. È la traccia di ciò che manca al soggetto per sentirsi intero.

Esempio: nei rapporti amorosi, spesso si desidera non la persona come tale ma qualcosa che quella persona sembra incarnare — la ricerca di quella “cosa” irriducibile è l’oggetto-a.

4.4 Il concetto di jouissance

Termine difficile da rendere in italiano: indica una forma di godimento che può oltrepassare il principio di piacere e condurre a una sofferenza paradoxale (godimento oltre il limite). È collegato alla dimensione pulsionale che sfugge alla semplice regolazione simbolica.

4.5 Il soggetto parlante e la catena dei significanti

Lacan riprende Saussure ma rovescia l’attenzione verso la catena del significante: il soggetto non è “soggetto di coscienza” ma soggetto dell’inconscio, prodotto della lingua.


5. Metodo clinico e tecnica: cosa cambia nella terapia?

Lacan criticò pratiche tecnicistiche e diluite: propose un ritorno a una tecnica rigorosa centrata sull’ascolto del linguaggio del paziente, sull’interpretazione come evidenziazione dei significanti e su interventi che mirano a produrre un effetto di soggettivazione. Elementi pratici:

  • Analisi del discorso: il focus non è solo sul contenuto, ma sulla forma del discorso — ripetizioni, scarti, metafore.

  • Sessione e tempo: esperimenti con la durata delle sedute (la famosa “sessione variabile”) miravano a far emergere nodi del desiderio; questo fu uno dei punti più criticati e mitizzati.

  • Posizione dell’analista: l’analista come soggetto diviso, che non fornisce interpretazioni consolatorie ma segnala i punti in cui il soggetto è catturato dalla sua storia simbolica.

Va detto: la verifica empirica dell’efficacia della tecnica lacaniana è problematica per motivi metodologici (difficile standardizzare le procedure, selezione dei casi, ecc.).


6. La svolta strutturale e le “matemazioni” (mathemes)

Negli anni successivi Lacan cercò di formalizzare i concetti psicoanalitici con notazioni (i cosiddetti mathemes) e, più tardi, con topologie (nodo borromeo, toro, Möbius) per rendere più rigorosa la teoria. Scopo dichiarato: dare una forma che eviti l’allegoria e permetta inferenza concettuale.

Critica metodologica: molti interpreti apprezzano lo sforzo di formalizzazione; altri notano che le “equazioni” e i riferimenti matematici sono spesso metaforici e non corrispondono a formalizzazioni rigorose usate nelle scienze esatte. È qui che nascono critiche come quelle di Sokal & Bricmont — che accusano Lacan di usare concetti matematici in modo improprio — e che fanno discutere la legittimità dello spostamento di linguaggi disciplinari.


7. Ricezione, influenza e diffusione

Lacan ha lasciato una traccia enorme: in letteratura, teoria del cinema (es. gli studi sullo sguardo), critica culturale, studi di genere e studi post-strutturalisti (pensatori come Žižek ne hanno fatto ampio uso). In ambito clinico la sua scuola è viva, soprattutto in Francia e in poi in molti paesi latinoamericani.

Allo stesso tempo, la sua ricezione negli ambienti anglosassoni è più controversa: alcune scuole psicoanalitiche lo considerano teorico fondamentale; altre lo guardano con sospetto o lo rigettano per la scarsa verificabilità empirica.


8. Critiche principali (rigore critico)

  1. Oscurità e stile: la scrittura lacaniana è deliberatamente densa e aforistica; questo ha alimentato l’accusa di incomprensibilità (critica che fu anche avanzata da Heidegger, citato spesso in polemica). È legittimo chiedersi quanto l’opacità sia strategica (per preservare la complessità del clinico) e quanto costituisca un limite comunicativo.

  2. Ingenuità matematico-scientifica: Lacan impiegò topologie e simboli matematici in modo a volte metaforico; per scienziati ciò può apparire come travisamento dello statuto epistemico della matematica. La critica di Sokal & Bricmont mette in luce il problema dell’uso di linguaggi specialistici fuori contesto.

  3. Falsificabilità e metodo: le teorie lacaniane sono difficilmente sottoponibili a test empirici standard; questo riduce la loro compatibilità con criteri di validazione tipici delle scienze sperimentali.

  4. Questioni etiche e istituzionali: la gestione del potere istituzionale, le pratiche della scuola e i rapporti con le istituzioni psicoanalitiche hanno suscitato polemiche non solo teoriche ma pratiche.

  5. Critiche femministe e postcoloniali: alcuni autori contestano interpretazioni lacaniane (es. concetto di fallo, Nome-del-Padre) come centrate su metafore patriarcali; altri invece rilavorano il corpus lacaniano per criticare proprio il patriarcato.


9. Difese e meriti indiscutibili

Nonostante le critiche, Lacan ha prodotto elementi teorici di grande valore:

  • ha restituito centralità al linguaggio nell’analisi della soggettività;

  • ha fornito categorie concettuali utili per leggere fenomeni culturali e testuali;

  • la nozione di desiderio come strutturata dalla mancanza e dalla catena simbolica ha permesso interpretazioni profonde della formazione soggettiva;

  • il suo invito alla lettura stretta dei testi freudiani ha riattivato la discussione teorica dentro la psicoanalisi.

In termini clinici, molti analisti lacaniani riportano risultati soddisfacenti e una pratica coerente con una teoria che privilegia il discorso e la soggettivazione.


10. Valutazione finale e prospettive

Jacques Lacan resta una figura di frontiera: teorico che ha rotto con molte consolazioni della psicoanalisi istituzionalizzata e ha aperto l’orizzonte del dialogo con linguistica, filosofia e teoria critica. La sua forza sta nella capacità di produrre categorie che orientano letture produttive del soggetto moderno; la sua debolezza è la difficoltà — voluta o no — di trasformare queste categorie in un linguaggio condivisibile e verificabile secondo criteri scientifici tradizionali.

Per il lettore e il clinico attenti, Lacan offre strumenti interpretativi profondi ma esige rigore ermeneutico: le sue metafore e i suoi mathemes vanno usati con cautela, tenendo distinti i registri della poesia teorica e della giustificazione empirica.


11. Testi consigliati (per approfondire)

Dalle opere di Lacan

  • Écrits (1966) — scelta di testi fondamentali (introduzione a molte formule).

  • I Seminars (in particolare Seminar XI, The Four Fundamental Concepts of Psychoanalysis; Seminar VII, The Ethics of Psychoanalysis).

Introduzioni e letture critiche

  • Alain Badiou, Slavoj Žižek (usano Lacan criticamente e creativamente).

  • Élisabeth Roudinesco, storica della psicoanalisi francese (per una storia critica e documentata).

  • Alan Sokal & Jean Bricmont, Impostures intellectuelles (critica alla retorica scientifica in testi umanistici, con riferimenti a Lacan).


Conclusione

Lacan è un autore che non si presta a giudizi sommari: è insieme fonte di ispirazione e di controversia. Chi lo approccia guadagna un lessico teorico potente per pensare il soggetto, il linguaggio e il desiderio — ma deve anche saper navigare tra metafora, formalizzazione e pratica clinica con senso critico, distinguendo il valore heuristico dalle pretese di rigore scientifico.

martedì 29 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: Gadamer 1900

Hans-Georg Gadamer 1900

filosofo

Hans-Georg Gadamer la riabilitazione del “pregiudizio”

1. Qualche dato introduttivo e collocazione filosofica

Hans-Georg Gadamer (Marburgo, 11 febbraio 1900 – Heidelberg, 13 marzo 2002) è a ragione considerato uno dei protagonisti dell’ermeneutica filosofica contemporanea. Formatosi nella temperie neo-kantiana e fenomenologica (contatti con Paul Natorp; confronto diretto e decisivo con Martin Heidegger), pone il centro della sua ricerca non su metodi operativi dell’interpretazione, ma sulla natura ontologica del comprendere. Il suo testo centrale, Verità e metodo (1960), non è un trattato metodologico ma una diagnostica della condizione storica e linguistica dell’esperienza ermeneutica.


2. L’obiettivo teorico: ermeneutica come teoria dell’essere che comprende

La mossa teorica più radicale di Gadamer consiste nel trasformare l’ermeneutica da disciplina tecnica (come era stata concepita da Schleiermacher e Dilthey) in una teoria esistenziale-ontologica del comprendere. Se per Schleiermacher l’interpretazione è una ricostruzione delle intenzioni dell’autore (con una tecnica — Empathie o Hineinversetzung), e per Dilthey il problema è porre la comprensione sul piano di una scienza delle scienze umane, Gadamer sposta l’asse: comprendere è un modo di essere del soggetto che vive storicamente, è mediato dalla lingua e dalla tradizione, e perciò non è un’operazione metodica applicabile come un procedimento neutro.

Due conseguenze immediate:

  1. la storicità del comprendere (tutto ciò che comprendiamo è già pervaso da una storia di senso, la Wirkungsgeschichte, “storia degli effetti”);
  2. l’impossibilità di un metodo neutro che garantisca “oggettività” nel senso delle scienze naturali: cercare un metodo applicabile universalmente significa fraintendere la natura stessa del comprendere.

3. Pregiudizio, Vorverständnis e la riabilitazione del “pregiudizio”

Una delle tesi più controintuitive e spesso fraintese di Gadamer è la riabilitazione del pregiudizio (Vorurteil). Contrariamente alla posizione illuministica che intende il pre-giudizio solo come errore da eliminare, per Gadamer i nostri giudizi precedenti sono condizioni ineliminabili di ogni atto di comprensione: sono «pregiudizi» non sempre nocivi, bensì quei punti di partenza che rendono possibile l’interpretazione.

Questo non significa abbandonare la critica: Gadamer distingue tra pregiudizi vincolanti e pregiudizi produttivi e insiste sulla necessità di una phronēsis ermeneutica — una saggezza pratica che governi l’apertura critica verso ciò che la tradizione ci propone, senza pretendere di prescindere da sé. In termini pratici: interpretare non è sospendere il proprio orizzonte per ricreare “l’intento originale” come in uno specchio, ma intraprendere uno scambio fra orizzonti.


4. Il circolo ermeneutico e la “fusione degli orizzonti”

Gadamer recupera e riformula il circolo ermeneutico: ogni comprensione presuppone un precomprendere; ma questa circolarità non è viziosa se la si pensa come processo dinamico. Il risultato non è una regressione, ma un movimento in cui l’orizzonte dell’interprete e l’orizzonte del testo si incontrano e si riformano: la cosiddetta fusione degli orizzonti (Horizontverschmelzung).

Importante: la fusione non è una semplice media, né un annullamento degli orizzonti originari: è un evento interpretativo che produce nuove possibilità di senso, sempre storicamente situate. La verità, per Gadamer, è il prodotto di tale evento ermeneutico piuttosto che il frutto di procedure algoritmiche.


5. Linguaggio, gioco e arte: resistenza alla metodicità

Per Gadamer il linguaggio non è uno strumento neutro dell’io che applica regole: la lingua parla — cioè costituisce il possibile campo dell’esperienza e del pensiero. Questo spostamento dà grande dignità alla dimensione dialogica e poetica dell’esperienza umana.

Nell’ambito estetico, Verità e metodo sviluppa una lettura dell’opera d’arte che rifiuta la riduzione a dato empirico: l’opera è un evento di senso che mette in gioco “gioco” (Spiel) e «esperienza estetica» come forme di apertura ermeneutica. L’arte non si lascia predeterminare da metodi: essa interpella il fruitore e lo trasforma.


6. Punti di forza (sintesi critica favorevole)

  • Fontamentalizzazione dell’ermeneutica: Gadamer mostra come interpretare sia costitutivo dell’esistenza umana, e non un optional teorico.
  • Recupero storico-linguistico: mette al centro la tradizione come risorsa viva, e il linguaggio come medium costitutivo.
  • Rifiuto di un riduzionismo metodologico: impedisce che l’area delle scienze umane venga fagocitata da modelli naturalistici inapplicabili al senso.
  • Dimensione etico-pragmatica: la phronesis introduce una responsabilità ermeneutica, non una libertà sospetta di arbitrio.

7. Critiche rilevanti e limiti teorici

Le critiche a Gadamer non sono marginali; sono anzi decisive per comprendere i limiti del suo progetto.

  1. Habermas e la questione della critica: Juergen Habermas obietta che Gadamer valorizza eccessivamente la tradizione e la fusione degli orizzonti, trascurando la funzione emancipativa della ragione critica. Per Habermas serve un “secondo livello” di riflessione che possa mettere in questione le strutture di potere e i pregiudizi che opprimono — una forma di distanziamento critico che Gadamer sembra rifiutare.
  2. Paul Ricœur e l’ermeneutica della sospizione: Ricœur cerca una sintesi tra fiducia ermeneutica e critica sospettosa (la herméneutique de la suspicion) — per Ricœur l’interpretazione deve anche saper decostruire i meccanismi simbolici e ideologici che celano interessi sociali. Gadamer è accusato di non fornire strumenti adeguati per questo tipo di demistificazione.
  3. Asimmetrie di potere e prospettive postcoloniali/femministe: la metafora del dialogo e della fusione può nascondere problemi reali: quando gli “orizzonti” dialogano in condizioni di disuguaglianza (colonialismo, patriarcato), la fusione rischia di naturalizzare la supremazia culturale. Critici femministi e postcoloniali sottolineano che la semplice apertura non tutela le voci subalterne né corregge strutture di silenziamento.
  4. Ambiguità della nozione di verità: Gadamer evita un’epistemologia corrispondentista ma non sempre chiarisce in che senso la verità prodotta dall’evento ermeneutico è normativamente vincolante — da qui accuse di relativismo implicito o, all’opposto, di eccessiva fiducia nella tradizione.
  5. Questione politica e biografia: il ruolo e il comportamento di molti intellettuali tedeschi durante il nazismo (e in parte anche la posizione di Gadamer) sono stati oggetto di controversie. Anche quando le prese di distanza non sono chiaramente imputabili, la scelta di non trasformare il proprio progetto ermeneutico in un discorso politico più esplicito è stata vista come limite morale e pragmatica. (Si tratta qui di una questione storiografica che richiede letture circostanziate.)

8. Conseguenze metodologiche e campi di applicazione

Nonostante le critiche, il pensiero gadameriano ha inciso profondamente su:

  • teoria della ricezione e studi letterari (ricezione come evento storico),
  • ermeneutica giuridica (interpretazione delle norme come dialogo con la tradizione),
  • teologia (lettura di testi sacri come incontro interpretativo),
  • pedagogia (apprendimento come evento dialogico),
  • scienze sociali che adottano prospettive interpretative non-reducenti (es.: antropologia interpretativa).

Inoltre la sua insistenza sulla lingua come medium dell’essere anticipa interessi contemporanei per la centralità del discorso nei processi di soggettivazione.


9. Vie di sviluppo e ricerche aperte

Per chi volesse proseguire criticamente il lavoro di Gadamer, alcune piste fertili sono:

  • integrare la capacità diagnostica della hermeneutica con strumenti della teoria critica per affrontare i meccanismi di potere che condizionano i processi interpretativi;
  • indagare sperimentalmente la fusione degli orizzonti in contesti interculturali e tecnici (traduzione automatica, dialogo interculturale) per vedere dove la metafora funziona e dove fallisce;
  • esaminare come la nozione di phronesis possa essere operazionalizzata in pratiche ermeneutiche professionali (giurisprudenza, mediazione culturale, terapia);
  • esplorare relazioni e conflitti tra hermeneutica e scienze cognitive sul tema di come l’uomo comprende: che spazio resta per la storia e la tradizione in una concezione che riscopra processi cognitivi naturali?

10. Valutazione complessiva

Gadamer ha ri-intonato la filosofia della comprensione su corde che parlano ancora oggi: storicità, lingua, tradizione e dialogicità. La sua opera rimane un punto di riferimento imprescindibile per chi voglia pensare l’interpretazione come pratica esistenziale e non come tecnica neutra. Tuttavia, il suo ottimismo rispetto alla funzione benefica della tradizione e la riluttanza ad affidare alla ragione critica un ruolo normativo pieno lasciano aperti interrogativi teorici e politici cruciali: come garantire che la fusione degli orizzonti non riproduca ingiustizie? come conciliare fiducia ermeneutica e critica radicale?


Letture consigliate (per iniziare)

  • H.-G. Gadamer, Verità e metodo (Wahrheit und Methode).
  • R. E. Palmer (a cura di), The Gadamer Reader — buon compendio introduttivo con testi selezionati.
  • J. Grondin, introduzioni critiche su Gadamer (per orientarsi nella ricezione).
  • Saggi di confronto: Habermas su Gadamer; Paul Ricœur sull’ermeneutica e sospetto critico.

giovedì 24 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 108 Marcuse 1898

Herbert Marcuse 1898



Herbert Marcuse (1898 – 1979) è stato un filosofo e scrittore. Nel 1922 consegue il dottorato a Berlino con una tesi sul romanzo d'artista tedesco ed inizia a lavorare alla sua abilitazione sotto Martin Heidegger a Friburgo, ma a causa del regime nazista emigra negli Stati Uniti nel 1934. La cosiddetta Scuola di Francoforte, formata da lui Max Horkheimer e Theodor Adorno, nasce negli anni seguenti a New York, dove Marcuse viene assunto dall'Istituto per la Ricerca Sociale, che pure si era trasferito a New York. Accetta nel 1942 di lavorare a Washington presso l' Office of Strategic Services (OSS, precursore della CIA) analizzando le informazioni riguardo alla Germania. Successivamente lavora agli Russian Institutes della Columbia University (New York) e di Harvard, quindi alla Brandeis University ed alla University of San Diego in California. Le sue critiche al capitalismo (espresse in Eros e civiltà del 1955 in cui formula l’idea di una società liberata, non repressiva, e L’uomo ad una dimensione del 1967 dove emerge il pessimismo secondo cui nella società cosiddetta democratica emerge un totalitarismo mascherato che riduce la vita dell'individuo al solo bisogno di produrre e consumare), con l'inizio del movimento studentesco, lo fanno divenire uno dei suoi principali interpreti.


mercoledì 23 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: Horkheimer 1895

Max Horkheimer 1895 

Max Horkheimer (1895 – 1973) di origine ebrea è stato un filosofo tedesco, tra i più importanti esponenti della Scuola di Francoforte. Studia all'università di Monaco, e di Francoforte dove incontra Theodor Adorno con il quale instaurerà una lunga e produttiva amicizia. Si laurea con una tesi su La Critica del Giudizio di Kant come mediazione tra filosofia pratica e teoretica, e comincia ad insegnare nello stesso ateneo nella cattedra di filosofia sociale. Assume la direzione dell'Istituto per la Ricerca Sociale ed è a capo della redazione che sarà organo ufficiale della cosiddetta Scuola di Francoforte. Nel 1933, con l'inasprirsi delle politiche censorie, fugge negli Stati Uniti, dove ottiene la cittadinanza americana ed insegna alla Columbia University,. Dopo la guerra ritorna in Germania e diviene Rettore dell'Università di Francoforte. Insegna infine nell'Università di Chicago.
 Sviluppa il suo pensiero nei saggi Dialettica dell'illuminismo (scritto insieme ad Adorno) e Eclisse della ragione (entrambi 1947), una critica globale della moderna civiltà occidentale e della logica del dominio che egli identifica come base di ogni sua manifestazione sociale, economica e culturale. Inizialmente questa analisi critica porta Horkheimer ad aderire al marxismo, ma subito se ne allontana riconoscendo nell'ideale rivoluzionario del padroneggiamento della natura e della società solo un'altra espressione della logica alla base della civiltà industriale.

Corso di storia della filosofia: Gramsci 1891

Antonio Gramsci 1891

Antonio Gramsci: il prigioniero delle idee

Nato ad Ales, un piccolo paese dell’entroterra sardo, il 22 gennaio 1891, Antonio Gramsci vide la luce in una terra aspra, segnata dalla povertà e dalla fatica quotidiana dei contadini. Fin da bambino dovette affrontare le difficoltà della vita: una malformazione alla colonna vertebrale lo rese fragile fisicamente, ma non riuscì mai a piegare la sua volontà di comprendere e cambiare il mondo.

In gioventù si avvicinò alle idee autonomiste sarde, ma fu l’università di Torino, che iniziò a frequentare nel 1911, a trasformare per sempre il suo orizzonte intellettuale. Nella capitale industriale d’Italia, Gramsci entrò in contatto con le lotte operaie, respirò l’aria densa di dibattiti politici e scoprì nel socialismo rivoluzionario una chiave per interpretare le ingiustizie che vedeva intorno a sé.

Si iscrisse al Partito Socialista Italiano nel 1913 e cominciò a collaborare con giornali come Il Grido del Popolo e l’Avanti!, distinguendosi per la lucidità e la profondità delle sue analisi. Nel maggio 1919 fondò insieme ad altri militanti L’Ordine Nuovo, un settimanale che divenne il punto di riferimento per il movimento dei consigli di fabbrica, organismi autogestiti dagli operai. Le sue posizioni, in sintonia con quelle di Lenin, spingevano il socialismo italiano verso un legame diretto con l’Internazionale comunista.

Quando nel 1921 nacque il Partito Comunista d’Italia, Gramsci fu tra i protagonisti della scissione dal PSI. Entrò nel comitato centrale e, dopo un periodo a Mosca tra il 1922 e il 1923, divenne una figura di primo piano nell’Internazionale comunista. Tornato in Italia nel 1924, in un contesto di crescente repressione fascista, fondò il quotidiano l’Unità e venne eletto deputato. Da segretario del PCd’I, impostò una strategia innovativa: unire gli operai del Nord e le masse contadine del Mezzogiorno, affrontando la cosiddetta "questione meridionale" e cercando un’alleanza con i socialisti massimalisti.

La sua attività non passò inosservata al regime. Nel novembre 1926 fu arrestato e, nel 1928, condannato a 20 anni di carcere dal Tribunale speciale fascista. Il pubblico ministero pronunciò una frase rimasta nella memoria: "Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per vent’anni".

Ma il carcere, invece di spegnere la sua intelligenza, la trasformò in un laboratorio di pensiero. Nonostante la salute sempre più fragile, Gramsci riempì pagine e pagine dei suoi Quaderni del carcere, riflettendo su storia, politica, filosofia, letteratura. È qui che elaborò i suoi concetti più celebri:

  • Egemonia, il potere non solo come dominio coercitivo, ma come capacità di conquistare il consenso culturale e morale.
  • Rivoluzione passiva, i cambiamenti politici e sociali che avvengono senza una reale partecipazione popolare.
  • Il passaggio dalla guerra di movimento (l’assalto diretto al potere) alla guerra di posizione (lento radicamento culturale e sociale prima della conquista politica).

Gramsci criticò apertamente lo stalinismo, opponendosi a ogni forma di potere repressivo e immaginando una società in cui l’educazione e la cultura fossero strumenti di emancipazione collettiva. Le sue riflessioni sul Risorgimento italiano, sulla figura di Machiavelli, sugli intellettuali e sull’"americanismo" mostrano una capacità rara di intrecciare storia e politica con una visione globale.

Le sue condizioni di salute peggiorarono a tal punto che, nel 1934, fu trasferito in una clinica di Formia. Morì a Roma il 27 aprile 1937, pochi giorni dopo aver ottenuto la libertà condizionata.

Oggi, le Lettere dal carcere e i Quaderni del carcere restano tra le opere più influenti della cultura politica del Novecento. Antonio Gramsci, prigioniero del corpo ma libero nello spirito, continua a parlarci di un’idea di politica come responsabilità culturale, di rivoluzione come costruzione di coscienza collettiva, di libertà come conquista quotidiana.



martedì 22 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: Carnap 1891

 Rudolf Carnap 1891

 Carnap

Immagina di voler capire come funziona il mondo, ma senza perderti in parole complicate o idee confuse. Questo era l’obiettivo di Rudolf Carnap (1891–1970), un filosofo tedesco che amava la logica e la scienza, e che poi visse negli Stati Uniti.

Carnap faceva parte di un gruppo di studiosi molto speciali chiamato Circolo di Vienna: una squadra di amici che cercava di spiegare tutto con il linguaggio più chiaro e preciso possibile, usando la matematica e la scienza.

Fin da giovane, Rudolf studiò con grandi maestri: imparò filosofia, la scienza della logica con chi per primo l’aveva inventata, e persino fisica da uno dei più grandi scienziati di sempre, Albert Einstein! E fece amicizia con filosofi famosi come Bertrand Russell e Edmund Husserl.

Nel 1928 scrisse un libro molto importante, La costituzione logica del mondo, dove provava a spiegare che tutte le nostre idee e la scienza possono partire dalle cose che vediamo o sentiamo dentro di noi, cioè dalla nostra esperienza.

Qualche anno dopo, nel 1934, scrisse un altro libro, Sintassi logica del linguaggio, in cui diceva una cosa rivoluzionaria: non esiste un modo “giusto” o “sbagliato” per parlare o usare la logica, ognuno può scegliere il linguaggio che preferisce, purché sia utile per i suoi scopi.

Quando si trasferì negli Stati Uniti, iniziò a insegnare in grandi università e si dedicò a studiare come funzionano il significato delle parole (la semantica) e come possiamo pensare a tutte le possibilità diverse che potrebbero accadere (la logica modale, che parla di “mondi possibili”).

Inoltre, lavorò a come possiamo capire e prevedere il futuro basandoci su indizi e probabilità, cercando di distinguere tra affermazioni vere per definizione (analitiche) e quelle che si scoprono solo sperimentando (sintetiche).

In poche parole, Carnap voleva che la filosofia fosse chiara, vicina alla scienza e utile a capire davvero come gira il mondo, senza perdere tempo in chiacchiere inutili.



lunedì 21 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: Heidegger 1889

Martin Heidegger 1889

Martin Heidegger: un profilo critico e approfondito

Martin Heidegger (Messkirch, 1889–1976) è senza dubbio una delle figure più influenti e, al tempo stesso, più controverse della filosofia del Novecento. Il suo pensiero ha riplasmato i confini dell’ontologia, la filosofia del linguaggio, la teoria dell’arte e la critica della tecnica; ma ha anche sollevato questioni etiche e interpretative assai difficili a causa del suo coinvolgimento politico durante gli anni Trenta e delle ripetute ambiguità nel corso della ricezione critica. Qui offro una ricostruzione organica del suo percorso intellettuale, una messa a fuoco dei concetti fondamentali e una valutazione critica che prenda sul serio tanto le potenze del suo pensiero quanto i suoi limiti.


1. Biografia essenziale e fasi della carriera

Heidegger nasce nel 1889 a Messkirch, nella regione del Baden. Studia a Friburgo, si forma alla fenomenologia di Husserl e svolge la libera docenza sotto la guida di Heinrich Rickert. Nel 1923 è chiamato a Marburgo, dove circonda la sua attività di insegnamento e ricerca e matura il nucleo di Sein und Zeit (1927), opera che segna il passaggio decisivo della sua riflessione.

Nel 1928 torna a Friburgo come successore di Husserl; nel 1933 è eletto rettore dell’università e in quell’anno pronuncia la celebrosa prolusione Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, segnando un momento problematico per il suo rapporto con il nazionalsocialismo. Le dimissioni da rettore, l’anno successivo, e il suo allontanamento dalla politica attiva non cancellano però il segno storico di quell’adesione (ma rimangono oggetto di discussione circa natura e profondità).

Dopo la guerra, dal 1945 al 1951, Heidegger subisce un divieto di insegnamento imposto dalle autorità occupanti; riprende l’attività accademica e pubblica una serie di testi e corsi che mostrano la svolta del pensiero (la cosiddetta Kehre o “svolta”) verso il linguaggio, l’arte e la storia dell’essere. Negli anni Cinquanta e Sessanta esce una produzione copiosa: saggi, conferenze, lezioni su Kant, Nietzsche, Hölderlin, l’arte e la tecnicità del mondo moderno. Nel dopoguerra la sua autorità filosofica cresce, ma cresce anche il dibattito critico sul versante politico e morale.


2. Opera centrale: Sein und Zeit e il progetto ontologico

2.1 Obiettivo e metodo

Sein und Zeit (Essere e tempo) è il tentativo di rinnovare la questione dell’essere liberandola dall’amnesia in cui la metafisica occidentale l’aveva relegata. Heidegger sostiene che la domanda sull’essere non può essere risolta astraendo dall’“esserci” umano (Dasein): l’essere si manifesta nella forma del rapporto che l’uomo intrattiene con il mondo. Metodo: una fenomenologia ermeneutica che analizza le strutture costitutive dell’esperienza esistenziale.

2.2 Concetti chiave

  • Dasein (esserci): non un semplice ente tra gli altri, ma l’ente caratterizzato dalla capacità di “essere” interrogativo, di porsi interrogazioni sull’essere. Il Dasein è sempre già inserito in una rete di significati condivisi e pratici.

  • Essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein): la primarietà del rapporto pratico e corale con il mondo; la coscienza non è una sostanza interna isolata ma esiste sempre in relazione e contesto.

  • Zuhandenheit / Vorhandenheit: distinzione tra l’“essere-a-mano” degli strumenti (utilizzabili, pronti all’uso) e l’“essere-posseduto” degli oggetti contemplativi; Heidegger mostra come la nostra modalità primaria sia la pratica (Zuhandenheit).

  • Sorge (cura): struttura fondamentale dell’esistenza che connette temporalità, progetto e cura per il mondo. Il Dasein è progetto, apertura sul futuro (pro-gettarsi) e cura delle possibilità.

  • Geworfenheit (gettatezza): condizione di essere proiettati in un mondo già dato, con vincoli storici e limitazioni; finitezza e contingenza.

  • Angoscia e essere-per-la-morte: l’angoscia dischiude il nulla e la possibilità più propria dell’essere umano — la morte — che costituisce la possibilità ultima che dà consistenza all’autenticità esistenziale.

  • Autenticità (Eigentlichkeit) vs inautenticità: l’autenticità non è un ideale etico ma il modo in cui il Dasein si appropria responsabilmente delle proprie possibilità, specialmente alla luce della mortalità.

2.3 Temporalità e ontologia

Heidegger rilegge il tempo come orizzonte costitutivo dell’essere: il futuro (attesa/progetto), il passato (essere-gettato) e il presente come integrazione dinamica. La temporalità è la chiave per comprendere come il Dasein interpreta il senso dell’essere.

2.4 Ontologico vs ontico; la differenza ontologica

Una distinzione fondamentale è quella tra il discorso sugli enti (ontico) e la domanda sull’essere degli enti (ontologico). Heidegger insiste sul fatto che la metafisica tradizionale ha privilegiato questioni ontiche riducendo l’essere alla presenza o alla sussistenza.


3. Dopo Sein und Zeit: la svolta (Kehre), il linguaggio e la poetica

Negli scritti successivi Heidegger muta accentuazioni: meno psicologismo e analisi esistenziale, più attenzione alla storia dell’essere, al linguaggio e all’arte come luoghi di disvelamento (aletheia). L’opera d’arte e la poesia — specialmente Hölderlin — diventano test e strumenti per una filosofia che guarda all’essere come evento storico-linguistico.

3.1 Linguaggio come «dimora dell’essere»

Heidegger enuncia l’idea che il linguaggio non è uno strumento neutro; è la casa dove l’essere si manifesta. Il linguaggio poetico, per Heidegger, conserva un potere originario di disvelamento che il discorso scientifico e tecnico ha progressivamente oscurato.

3.2 Tecnica e nichilismo

Ne La questione della tecnica (Die Frage nach der Technik) Heidegger sviluppa la critica alla modernità tecnologica: la tecnica non è solo uno strumento ma un modo di rivelazione del mondo — l’Enframing (Gestell) — che riduce la realtà a risorsa (Bestand). Questa riduzione è collegata al fenomeno del nichilismo: il mondo diventa disponibile, calcolabile, privo di senso ultimo.

3.3 Arte e verità

Nella riflessione sull’opera d’arte Heidegger argomenta che l’arte apre una verità diversa dalla proposizione scientifica: un dis-velamento storico che permette allo spirito di abitare il mondo in modi non funzionali.


4. Politica, controversie e problemi ermeneutici

La dimensione politica della vicenda heideggeriana è centrale per qualsiasi giudizio complessivo. Nel 1933 Heidegger aderì al Partito nazionalsocialista e assunse il rettorato di Friburgo, tenendo il discorso già citato. Le conseguenze interpretative e morali di questo coinvolgimento sono molteplici:

4.1 Fonti del dibattito

  • Impegno politico diretto (1933): le prese di posizione e alcune aperture verso il regime sono documentate. Le dimissioni e il progressivo ritiro dalla politica non cancellano però la responsabilità del gesto.

  • Il dopoguerra e il divieto d’insegnamento: dal 1945 al 1951 Heidegger subì restrizioni per la sua posizione durante il nazismo.

  • Le “Nuove” rivelazioni: negli ultimi decenni la pubblicazione di taccuini e documenti (es. i cosiddetti Black Notebooks) ha portato alla luce passaggi con contenuti antiebraici e una svolta nell’interpretazione morale ed ermeneutica dell’opera.

4.2 Problemi ermeneutici

  • È possibile separare il filosofo dall’uomo? La questione se il coinvolgimento politico inficia la validità dei contenuti filosofici resta controversa. Alcuni argomentano per la separazione pratica: certe intuizioni ontologiche mantengono valore indipendentemente dalla biografia. Altri sostengono che il nucleo del pensiero — la critica alla modernità, la celebrazione di radici culturali — sia congenitamente vulnerabile a usi politico-ideologici e vada interpretato con cautela.

  • La scoperta di elementi apertamente antisemiti impone una rilettura critica: occorre valutare quali impostazioni concettuali possano aver facilitato ambiguità o aperture a posizioni ideologiche perniciose.


5. Forze teoriche e contributi originali

5.1 Rinnovamento dell’ontologia

Heidegger riapre la questione dell’essere con una radicalità che spiazza: non più una questione teorica per specialisti, ma un problema radicale che tocca la nostra esistenza, la cultura e la tecnica. Ha introdotto strumenti concettuali (Dasein, cura, gettatezza, aletheia) che hanno permesso nuove letture dell’esperienza umana e della storia.

5.2 Metodo fenomenologico-ermeneutico

La fusione di fenomenologia e ermeneutica inaugura pratiche filosofiche che approfondiscono la comprensione storica e linguistica dei vissuti; questa mescolanza è stata feconda per l’ermeneutica filosofica (Gadamer) e per la filosofia esistenziale.

5.3 Critica della tecnica e della modernità

La diagnosi del nichilismo e della riduzione del mondo a risorsa è una delle intuizioni più feconde e utilizzate nella filosofia contemporanea (pensiero ecologico, critica della tecnologia, filosofia della scienza).

5.4 Influenza interdisciplinare

La sua riflessione ha permeato teologia, estetica, critica letteraria, studi sulla tecnologia, filosofia politica e psicoterapia (es. alcune correnti della psicologia esistenziale).


6. Critiche teoriche e limiti

6.1 Linguaggio ermetico ed espositivo

Una critica frequente riguarda lo stile: Heidegger usa un lessico spesso tecnico, rinnovato e denso di neologismi (in tedesco), che rende difficile l’accesso e favorisce equivoci interpretativi. Ciò ha contribuito a multifacce di letture plausibili ma divergenti.

6.2 Persistenza di metafisica

Nonostante la critica alla metafisica, alcuni commentatori osservano che Heidegger, nella sua stessa messa in scena dell’essere, talvolta assume modalità quasi metafisiche: parlare dell’essere come di un evento quasi trascendente può ricadere in forme di metafisica “altre” piuttosto che in una radicale discontinuità.

6.3 Questioni politiche ed etiche

L’adesione a idee e pratiche nazionaliste rimane una macchia che complica l’uso pubblico del suo pensiero. A livello interpretativo è necessario domandarsi se certe idee (concetto di radicamento, critica della tecnica) possano essere – e siano state – strumentalizzate politicamente.

6.4 Ambiguità sulla questione dell’antropologia

Heidegger critica l’uomo antropologico «soggetto» moderno; tuttavia la sua ridefinizione dell’“esserci” può talvolta sembrare eccessivamente centrata su categorie esistenziali forti (angoscia, morte) che rischiano di oscurare aspetti sociali, economici e materialistici del vivere umano che altre teorie esplicitano meglio.


7. Ricezione e influenze

Il pensiero heideggeriano ha generato molteplici linee di sviluppo:

  • Ermeneutica filosofica (Hans-Georg Gadamer): ampliamento e applicazione ermeneutica della fenomenologia.

  • Esistenzialismo e filosofia francese: Sartre, Merleau-Ponty, e dopo la guerra l’interesse in Francia per Nietzsche e la questione del nichilismo.

  • Decostruzione: Derrida è debitore a Heidegger sul tema della decostruzione della metafisica e dell’analisi del linguaggio, ma ne diverge in molti aspetti ermeneutici e metodologici.

  • Filosofia della tecnica e studi ecologici: la diagnosi della tecnica come modalità di rivelazione ha alimentato scienze umane critiche della modernità tecnica.

  • Teologia e studi religiosi: la rilettura teologica di Heidegger è complicata e ambivalente ma fortemente stimolante per la teologia filosofica contemporanea.


8. Letture consigliate e percorso di avvicinamento

8.1 Ordine di lettura suggerito (per chi parte da zero)

  1. Introduzioni e guide: leggere una buona introduzione contemporanea su Heidegger (manuali e guide critiche) per padroneggiare il lessico.

  2. Saggi brevi: Was ist Metaphysik? (Che cos’è la metafisica), Brief über den Humanismus (Lettera sull’umanismo) — utili per afferrare temi centrali.

  3. Sein und Zeit: affrontarlo con commento; leggere non tutto di primo acchito ma le parti centrali: analitica esistenziale, cura, temporalità.

  4. Saggi della svolta: La questione della tecnica, Unterwegs zur Sprache (Sulla via del linguaggio), testi su Hölderlin e l’arte.

  5. Critica e interpretazione: testi di commento (Hubert Dreyfus è una lettura famosa per orientarsi su Sein und Zeit), articoli critici e lavori di contestualizzazione storica.

8.2 Primary works to prioritize

  • Sein und Zeit (Being and Time)

  • Was ist Metaphysik? (What is Metaphysics?)

  • Brief über den Humanismus (Letter on Humanism)

  • Die Frage nach der Technik (The Question Concerning Technology)

  • Holzwege, Unterwegs zur Sprache, e le lezioni su Nietzsche e Kant
    (leggere edizioni affidabili e buone traduzioni annotate).


9. Valutazione critica finale: eredità e domande aperte

Martin Heidegger rimane un gigante intellettuale perché ha rilanciato la domanda sull’essere rendendola cruciale per la cultura contemporanea; ha fornito strumenti concettuali che hanno generato nuove discipline interdisciplinari; ha esercitato un’influenza immensa su ermeneutica, filosofia del linguaggio, estetica e critica della tecnologia. Tuttavia, il suo pensiero non è un patrimonio neutro: la densità terminologica, l’oscillazione tra rigore e enigma e, soprattutto, le implicazioni politiche della sua biografia impongono una lettura sempre critica, storicamente sensibile ed eticamente vigile.

Chi studia Heidegger non deve essere né apologeta né sommario censore. Occorre approcciarlo riconoscendo insieme la portata delle sue intuizioni filosofiche e la necessità di interrogarne le radici storiche e le potenziali ricadute ideologiche. La sfida per la filosofia contemporanea è prendere ciò che può illuminare (per esempio la diagnosi della tecnicità, il primato della comprensione storica) e metterlo a confronto con i limiti e i rischi, senza rimuovere la complessità morale della vicenda umana che la sua biografia rende ineludibile.


10. Spunti per la riflessione critica e discussioni aperte

  • Separazione autore-opera: quale peso attribuire alle scelte politiche del filosofo nell’interpretazione del testo?

  • Heidegger e la democrazia liberale: la sua critica della modernità ha punti di convergenza con posizioni ecologiche e antitecnocratiche, ma può anche essere strumentalizzata verso richieste autoritarie di autenticità collettiva. Qual è il discrimine?

  • Il linguaggio come casa dell’essere: in che misura questa idea può aiutare la filosofia linguistica contemporanea?

  • Tecnica e resistenza culturale: la diagnosi heideggeriana sulla tecnica è ancora pertinente all’era digitale e ai grandi algoritmi? In che modo può essere integrata con analisi sociali ed economiche più materiali?


Conclusione sintetica

Heidegger resta imprescindibile per chi voglia affrontare le questioni più radicali: che cosa significa essere, come il linguaggio plasma il nostro rapporto col mondo, quali sono le conseguenze esistenziali dell’oblio dell’essere nella modernità tecnica. Studiare Heidegger richiede lavoro critico, pazienza e responsabilità: non si tratta solo di appropriarsi di una dottrina, ma di fronteggiare problemi filosofici che riverberano nella cultura, nella politica e nella vita quotidiana. Allo stesso tempo, va mantenuta la vigilanza morale e storica necessaria per non rimuovere le contraddizioni emblematiche della sua figura.

domenica 20 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 100 Wittgenstein 1889

 Ludwig Joseph Wittgenstein 1889

Ludwig Joseph Wittgenstein (1889-1951)

Ludwig Joseph Wittgenstein, nato a Vienna nel 1889 e morto a Cambridge nel 1951, rappresenta una delle figure più affascinanti e influenti della filosofia del Novecento. La sua opera rivoluzionò in due momenti distinti il modo di concepire il linguaggio, facendo di lui un pensatore cruciale non solo per la filosofia analitica, ma per la riflessione sulla mente, la scienza e l’etica.


Dalla tecnica alla filosofia

Inizialmente impegnato negli studi di ingegneria a Manchester, Wittgenstein abbandonò la carriera tecnica per seguire la sua vera passione: i fondamenti della logica e della matematica. Nel 1912 approdò a Cambridge, dove divenne allievo di Bertrand Russell, figura centrale della logica matematica e della filosofia analitica. La sua vita fu segnata anche dagli eventi storici: partecipò come ufficiale dell’esercito austriaco alla Prima guerra mondiale, sperimentando in prima persona la complessità della realtà e della responsabilità morale. Tra il 1920 e il 1926 insegnò nelle scuole elementari, esperienza che consolidò la sua attenzione al linguaggio quotidiano e alla chiarezza dell’espressione. Ritornato a Cambridge nel 1929, assunse la cattedra di filosofia dal 1939 fino alla sua dimissione nel 1947, dedicandosi interamente alla ricerca. Dal 1938 era cittadino britannico, consolidando il suo legame con l’ambiente accademico inglese.


La prima fase: il Tractatus logico-philosophicus

La prima fase del pensiero wittgensteiniano è racchiusa nel Tractatus logico-philosophicus (1922), opera in cui il filosofo indaga la natura del linguaggio come specchio della realtà. L’idea centrale è quella di un linguaggio perfetto, costituito da proposizioni elementari corrispondenti a fatti semplici, immediatamente percepibili nell’esperienza. In questo quadro, la scienza rappresenta l’insieme di tutte le proposizioni empiriche, mentre logica e matematica pura assumono il ruolo di tautologie, cioè proposizioni prive di contenuto empirico ma strutturalmente necessarie. Le affermazioni filosofiche tradizionali, non riconducibili a fatti o tautologie, vengono considerate insensate. La filosofia, secondo Wittgenstein, non è un corpo di dottrine, bensì un’attività critica: il suo compito è chiarire la struttura logica del linguaggio fino ai limiti oltre i quali non si può parlare. Da questa prospettiva deriva la celebre conclusione del Tractatus: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Questa fase influenzò profondamente il Circolo di Vienna e Moritz Schlick, ponendo le basi per la filosofia analitica del linguaggio.


La seconda fase: il linguaggio quotidiano e i giochi linguistici

Il ritorno di Wittgenstein a Cambridge segnò l’inizio della sua seconda fase, culminata nelle Ricerche filosofiche (pubblicate postume nel 1953). Qui abbandona l’idea di un linguaggio unico e perfetto, rivolgendosi invece al linguaggio quotidiano. Introduce il concetto di giochi linguistici, secondo cui il linguaggio è composto da una molteplicità di pratiche comunicative, ciascuna con le proprie regole interne. Non esiste un’essenza unica del linguaggio; il significato di una parola emerge dall’uso concreto che ne fa chi parla, contestualizzato nella vita sociale. Il filosofo diventa così un “terapeuta concettuale”, impegnato a dissolvere le confusioni generate da un uso impreciso del linguaggio, in particolare nei dibattiti sulla mente, la psicologia e il rapporto tra linguaggio e realtà.


Influenza e riletture critiche

Il Tractatus ebbe un impatto immediato sulla filosofia analitica del primo Novecento, mentre le Ricerche filosofiche segnarono profondamente la filosofia anglosassone, ispirando approcci innovativi allo studio del linguaggio, della mente e della comunicazione. Le interpretazioni più recenti invitano a leggere Wittgenstein nella sua interezza, evidenziando non solo il suo legame con la logica e l’analisi concettuale, ma anche con la tradizione culturale mitteleuropea e viennese, dove dimensioni etiche e estetiche sono strettamente intrecciate alla riflessione filosofica. Il linguaggio, per Wittgenstein, non è un mero strumento di descrizione: è la nostra finestra sulla realtà, la modalità attraverso cui comprendiamo noi stessi e gli altri.


Conclusione

Ludwig Wittgenstein emerge come un pensatore complesso e radicale, capace di coniugare rigore logico e attenzione alla vita reale. Le due fasi della sua filosofia offrono strumenti concettuali differenti: da un lato, un linguaggio ideale e rigoroso, dall’altro, una pluralità di pratiche quotidiane che definiscono il senso delle parole. Comprendere il linguaggio, secondo Wittgenstein, significa comprendere la vita, la mente e la società: la filosofia diventa così una guida per chiarire i confini del pensiero e per migliorare la nostra comprensione del mondo.

sabato 19 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 101 ter Lukács 1885

György Lukács 1885

György Lukács nacque a Budapest nel 1885, in un’Ungheria che stava vivendo i fermenti e le contraddizioni della modernità. Figlio della borghesia colta, crebbe in un ambiente dove la cultura era considerata parte integrante della vita quotidiana. Fin da giovane, la sua curiosità intellettuale lo spinse ben oltre i confini della filosofia scolastica, portandolo a interrogarsi su come arte, letteratura, storia e società si intrecciassero in un unico disegno.

Nel 1906 si laureò a Budapest, ma il desiderio di ampliare i propri orizzonti lo condusse, appena tre anni dopo, in Germania. Qui, tra Berlino e Heidelberg, trascorse anni decisivi: non solo approfondì gli studi di filosofia, ma entrò in contatto diretto con alcune delle menti più brillanti dell’epoca, come Georg Simmel, Max Weber, Heinrich Rickert e Emil Lask. Fu anche il tempo della Hegel-Renaissance guidata da Wilhelm Dilthey, che avrebbe lasciato in lui un segno indelebile.

Da questo crogiolo culturale nacquero le sue prime opere fondamentali: L’anima e le forme (1911) e Teoria del romanzo (1915), testi in cui si intrecciano l’analisi filosofica e la riflessione estetica, il rigore concettuale e la passione per la letteratura. In queste pagine già si intravede il filo conduttore del suo pensiero: la convinzione che l’arte e la filosofia possano e debbano interpretare la complessità dell’esperienza umana.

Il 1923 segnò una svolta. Con Storia e coscienza di classe, Lukács si immerge pienamente nell’universo marxista, proponendo una lettura originale e profonda di Marx. Qui, unisce la teoria della reificazione e del feticismo con la critica hegeliana all’intelletto astratto e al materialismo riduttivo, opponendosi ai metodi puramente analitici e quantitativi delle scienze naturali. Al centro del suo approccio c’è la categoria della totalità concreta: solo comprendendo i fenomeni nel loro insieme, nel loro intreccio di relazioni e contraddizioni, è possibile coglierne il senso autentico.

Ma questo libro, che influenzò una parte importante della cultura europea, fu anche la causa di forti tensioni politiche. Le sue critiche alla “dialettica della natura” di Engels gli valsero l’ostilità della Terza Internazionale. Legato ormai al movimento comunista – nel 1919 aveva partecipato come commissario del popolo all’istruzione alla breve Repubblica sovietica ungherese di Béla Kun – Lukács finì per prendere le distanze dall’opera, inaugurando così la seconda fase del suo percorso: l’elaborazione di una estetica marxista.

In testi come Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica (1948), Lukács difese la continuità metodologica tra Hegel e Marx-Engels, mentre in La distruzione della ragione (1954) tracciò una storia del pensiero tedesco nell’età imperialistica, individuando un filone irrazionalistico che, a suo dire, conduceva da Schelling fino all’ideologia nazista.

Come teorico dell’arte, Lukács elaborò una visione fondata sulla concezione leniniana del rispecchiamento e sulla centralità del particolare: l’arte più alta è per lui il realismo, capace di rappresentare personaggi “tipici” in situazioni “tipiche” che rivelano le strutture profonde della società. I suoi studi sul realismo – da Balzac ai grandi romanzieri russi, fino a Thomas Mann – hanno lasciato un’impronta duratura nella critica letteraria.

Nel 1956, durante il disgelo politico in Ungheria, Lukács entrò nel secondo governo di Imre Nagy come ministro della Pubblica istruzione. Fu un momento breve ma intenso: dopo la repressione sovietica, venne deportato in Romania e poté rientrare a Budapest solo nel 1957. Da allora si ritirò dalla vita pubblica, dedicandosi esclusivamente alla ricerca e alla scrittura, fino alla morte, avvenuta nella sua città natale nel 1971.

Il lascito di Lukács è quello di un pensatore che ha saputo unire filosofia, storia, politica e letteratura in un unico discorso coerente e militante. Un intellettuale capace di attraversare il Novecento con lo sguardo critico di chi crede che la cultura non sia un lusso, ma una forza capace di trasformare la realtà.



venerdì 18 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 117 Bachelard 1884

Gaston Bachelard 1884 

filosofo

Gaston Bachelard (1884 – 1962) è stato un filosofo della scienza e della poesia francese.Epistemologo illustre, è autore di numerose riflessioni legate alla conoscenza e alla ricerca.Gaston Bachelard ha avuto una carriera fuori dal comune. All'inizio impiegato alle poste, prende la laurea e diventa professore di fisica e chimica a Bar-sur-Aube. Riesce nel 1922 a laurearsi anche in filosofia e insegna questa materia alla Facoltà di Dijon prima di diventare professore alla Sorbona fino al 1954. Nella sua opera fondamentale: Il nuovo spirito scientifico (1934), Gaston Bachelard compie un superamento del dibattito tra empirismo e razionalismo, così come Karl Popper, autore a cui viene spesso contrapposto. Per Bachelard, il materialismo razionale si trova al centro di uno spettro epistemologico le cui due estremità sono costituite dall'idealismo e dal materialismo.  Bachelard si impegna per una critica severa dell’induttivismo e dell'empirismo. Il fatto scientifico si trova sempre costruito alla luce di una problematica teorica. La scienza si sviluppa in opposizione all'evidenza, contro le illusioni della conoscenza immediata. È in questo senso che Bachelard parla di una «filosofia del non». L'accesso alla conoscenza come la storia delle scienze è dunque segnata da un «taglio epistemologico» che opera una separazione con il pensiero prescientifico. Produrre conoscenze nuove significa dunque superare "ostacoli epistemologici", secondo l'espressione di Bachelard che parla anche di rottura epistemologica.Per Bachelard, ogni conoscenza è una conoscenza avvicinata: «Scientificamente, si pensa il vero come correzione storica di un lungo errore, si pensa l'esperienza come correzione della comune e prima illusione».Bachelard si impegna per un'epistemologia concordataria. Ritiene sia indispensabile superare l'opposizione tra empirismo e razionalismo: «Né razionalità vuota, né materialismo sconnesso». «L'attività scientifica richiede la messa in opera di un razionalismo applicato» o di «un materialismo razionale».Avendo le sue idee numerose affinità con quelle di Ferdinand Gonseth, contribuì con lui alla creazione e alla vita della rivista Dialectica.Nella seconda parte della sua impresa filosofica, Bachelard si consacra a uno studio approfondito dell'immaginario poetico. In un testo divenuto celebre, Le dormeur éveillé, dichiara: "La nostra appartenenza al mondo delle immagini è più forte, più costitutiva del nostro essere che non l'appartenenza al mondo delle idee". Incoraggia allora le dolcezze del fantasticare (della "rêverie") e si lascia andare alle evocazioni ispirate dalla "fiamma di una candela".

giovedì 17 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 103 Malinowski 1884

Bronislaw Malinowski 1884







Bronislaw Malinowski (1884 – 1942) è stato un antropologo polacco, naturalizzato britannico e considerato universalmente come uno dei più importanti studiosi del XX secolo. È celebre per la sua attività pionieristica nel campo della ricerca etnografica, per gli studi sulla reciprocità e per le acute analisi sugli usi e costumi delle popolazioni della Melanesia. Conseguì il dottorato all'Università Jagellonica nel 1908. Successivamente frequentò l'Università di Lipsia, dove subì l'influenza di Wilhelm Wundt e delle sue teorie sulla psicologia popolare: interessi che lo spinsero ad occuparsi di antropologia. Nel 1910 si trasferì a Londra, per studiare alla London School of Economics and Political Science. Nel 1914, in occasione del suo primo viaggio in Papua Nuova Guinea svolse lavori di ricerca etnografica a Maliu. Rimasto bloccato lì per lo scoppio della Prima guerra mondiale, ne approfittò per recarsi nelle isole Trobriand, dove realizzò il suo più celebre studio, quello sul Kula. Esso è una forma di scambio cerimoniale che consiste in periodiche spedizioni su canoe che ogni gruppo organizza per andare a fare visita alle comunità delle altre isole, con cui vengono scambiati doni. Lo scambio simbolico si basava su due tipi di doni: collane di conchiglie rosse, dette soulava, venivano scambiate con braccialetti di conchiglie bianche, dette mwali. A questo si aggiungeva un baratto informale detto gimwali con cui venivano scambiati oggetti d'uso di ogni tipologia. Egli giunse alla conclusione che il kula serviva come meccanismo di attivazione di determinate forme di solidarietà sociale: grazie al kula si contribuiva a fare legare le persone attraverso una serie di obblighi e sulla base di un principio di collaborazione.
Nel 1922 Malinowski, conseguito il dottorato in antropologia, iniziò l'attività di insegnante nella stessa London School of Economics. Pubblicò, nello stesso anno, Argonauti del pacifico occidentale, il cui successo fu tale da portare la fama dell'etnologo a livelli mondiali. Nei tre decenni successivi, grazie al suo contributo attivo, la London School of Economics diventò uno dei maggiori centri europei per gli studi antropologici, intensificando i rapporti con studenti provenienti dalle colonie britanniche.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti, insegnando all'Università di Yale fino al momento della sua morte, avvenuta nel 1942.
Malinowski è considerato il padre della moderna etnografia, di cui ha rivoluzionato la metodologia e l'approccio pratico. È stato, insieme ad Alfred Radcliffe-Brown, il maggiore esponente del funzionalismo britannico. Questa scuola di pensiero è caratterizzata da una particolare attenzione all'analisi dei fattori che contribuiscono al mantenimento dell'equilibrio interno di una società, che appunto la teoria funzionalista concepisce come un organismo al cui funzionamento contribuiscono le sue varie parti. Questa visione del sistema sociale come una sorta di organismo vivente prevale soprattutto in Radcliffe-Brown (che la riprese dalle tesi di Emile Durkheim, il padre del funzionalismo in sociologia), il cui approccio è appunto definito antropologia sociale proprio per l'importanza centrale attribuita alla società. Diverso è l'approccio di Malinowski, il quale pur mantenendo una visione funzionalista pone al centro dei suoi studi l'individuo e non la società. Malinowski teorizza la sua nozione di cultura nel saggio postumo Una teoria scientifica della cultura (1944), anche se le conclusioni erano già presenti in nuce nella sua ricerca sul campo nelle Trobriand. Egli riprende l'interpretazione tyloriana della cultura come insieme complesso, ma ne accentua l'aspetto organicistico trasformandola in un “tutto integrato” in cui ogni singola parte contribuisce al funzionamento dell'insieme. Malinowski ritiene che ogni cultura sia costituita dall'insieme di risposte che la società dà ai bisogni universali degli esseri umani. Tali bisogni sono di due tipi: alla base vi sono i bisogni umani universali (basic needs), come il mangiare, il dormire, il riprodursi e a cui ogni cultura fornisce proprie peculiari risposte; la soddisfazione dei bisogni primari crea quindi bisogni secondari o derivati come l'organizzazione politica ed economica che nascono dalla necessità di ogni società di mantenere la propria coesione interna. C'è infine un terzo tipo di bisogni, bisogni di carattere culturale, come le credenze, le tradizioni, il linguaggio. A tutti questi livelli di necessità umane, ogni cultura dà risposte coerenti alla propria natura. Su queste premesse, come ha notato James Clifford, Malinowski ha potuto basarsi sull'analisi di un singolo aspetto della cultura di un popolo per capire l'insieme complesso di cui questo aspetto è parte. L'approccio di Malinowski rende quindi possibile giungere al tutto attraverso una o più delle sue parti. La figura retorica della sineddoche è perfettamente in grado di spiegare questo approccio: la parte è concepita infatti come una “versione in scala” o come una “cifra analogica” del tutto.

mercoledì 16 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 94 Jaspers 1883

Karl Jaspers 1883


Karl Jaspers (1883–1969) è stato un filosofo, psichiatra e scrittore tedesco, tra i più importanti esponenti dell’esistenzialismo del XX secolo, accanto a Martin Heidegger e Jean-Paul Sartre. Nato a Oldenburg nel 1883, iniziò la sua carriera come psichiatra, ma si distinse ben presto per i suoi contributi filosofici.

Tra i suoi concetti più influenti ci sono:

  • Le “situazioni-limite”: esperienze come la morte, la sofferenza, il fallimento, che spingono l’individuo a confrontarsi con la propria esistenza autentica.
  • La “comunicazione esistenziale”: il rapporto profondo tra persone che cercano la verità oltre le apparenze.
  • Il concetto di “trascendenza”: la ricerca di un significato che va oltre la realtà empirica.

Jaspers fu anche uno dei primi filosofi a parlare della responsabilità collettiva dopo la Seconda Guerra Mondiale, affrontando il problema della colpa in Germania.

La sua opera principale è “Filosofia” (1932), un'opera monumentale in tre volumi.

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martedì 15 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 90 Hartmann 1882

Nicolaj Hartmann 1882

Nicolaj Hartmann filosofo (Riga 1882 - Gottinga 1950). Insegnò nelle univ. di Marburgo, Colonia, Berlino, Gottinga. H. si ricollega alla fenomenologia husserliana e al neokantismo della scuola di Marburgo, che però sposta sul piano di un intransigente realismo gnoseologico. Egli inoltre afferma la priorità del problema dell'essere sul problema del conoscere e la centralità della metafisica, la quale, a differenza della metafisica classica, deve limitarsi a conoscere l'irriducibile insolubilità e, nello stesso tempo, l'inevitabilità dei problemi fondamentali. Opere principali: Grundzüge einer Metaphysik der Erkenntnis (1921); Philosophie des deutschen Idealismus (2 voll., 1923-29); Ethik (1926); Zum Problem der Realitätsgegebenheit (1931); Das Problem des geistigen Seins (1932); Zur Grundlegung der Ontologie (1935); Möglichkeit und Wirklichkeit (1938); Der Aufbau der realen Welt (1940); Neue Wege der Ontologie (1942); Philosophie der Natur (1950); Kleinere Schriften (post., 3 voll., 1955-58).

lunedì 14 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 99 Schlick 1882

Moritz Schlick 1882



Moritz Schlick filosofo tedesco (Berlino 1882 - Vienna 1936). Conseguì il dottorato con Planck a Berlino nel 1904. Insegnò poi nelle univv. di Rostock (1911-17) e di Kiel (1921) e nel 1922 ottenne la cattedra di filosofia delle scienze induttive nell’univ. di Vienna, città dove divenne uno degli animatori del Circolo di Vienna, centro di diffusione della nuova filosofia scientifica neopositivistica. Diresse con Philipp Frank la collezione di studi neopositivisti in cui apparve il suo saggio Fragen der Ethik (1930; trad. it. Problemi di etica e Aforismi). Fu assassinato da uno studente. Già nella sua prima opera significativa, Raum und Zeit in der gegenwärtigen Physik (1917; trad. it. Spazio e tempo nella fisica contemporanea), S. aveva sviluppato, sotto l’influenza dell’epistemologia di Helmholtz e di Poincaré, e in base a un’analisi della teoria relativistica einsteiniana, una critica radicale delle posizioni gnoseologiche kantiane, specie della concezione del sintetico a priori, mostrando l’impossibilità dell’assolutizzazione kantiana della fisica newtoniana, la convenzionalità di alcuni assunti scientifici e il costante rimando delle teorie scientifiche a una fase empirica. Successivamente nella sua Allgemeine Erkenntnislehre (1918; trad. it. Teoria generale della conoscenza) S. estendeva la sua critica all’intero ambito della conoscenza, sottolineando l’esaustività della distinzione tra proposizioni analitiche e proposizioni sintetiche a posteriori e approdando a una forma di realismo critico. Proponeva inoltre un criterio di demarcazione tra proposizioni scientifiche e proposizioni metafisiche, considerando queste ultime formazioni linguistiche in contraddizione con le regole del linguaggio, visto come rispecchiamento del reale. Il contatto con Wittgenstein e con Carnap condusse più tardi S. a concepire come compito della filosofia non più l’acquisizione di conoscenze, ma la riflessione critica sui metodi e sui concetti della scienza mediante l’applicazione dell’analisi logica del linguaggio. La chiarificazione preliminare del significato dei termini in esame consente così a S. la purificazione dei concetti scientifici dai fraintendimenti metafisici e la critica analitica di importanti posizioni filosofiche contemporanee. Di notevole importanza l’equazione da lui proposta tra criterio di significanza e criterio di verifica (il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica), fonte di accese polemiche nell’ambito del Circolo di Vienna. S. elaborò anche una sua riflessione etica, concependo l’etica come scienza di fatti, non normativa, e tentando, mediante un’analisi dei valori, la fondazione empirica dell’eudemonismo: saranno eticamente valide solo quelle azioni cui si accompagni un’esperienza gioiosa, quella tipica del gioco e dell’età giovanile. Tra le sue opere si segnalano: Lebensweisheit. Versuch einer Glückseligkeitslehre (1908); Vom Sinn des Lebens (1927); Gesammelte Aufsätze 1926-36 (post., 1938); Gründzuge der Naturphilosophie (post., 1948); Natur und Kultur (a cura di J. Rauscher, post., 1952); Aphorismen (post., 1962; trad. it. Problemi di etica e Aforismi).

domenica 13 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 83 Spengler 1880

Oswald Spengler 1880


Oswald Spengler è stato un filosofo, storico e teorico tedesco, noto principalmente per il suo lavoro "Der Untergang des Abendlandes" (Il tramonto dell'Occidente). Nato il 29 maggio 1880 a Blankenburg, nell'Impero tedesco, e morto il 8 maggio 1936 a Monaco di Baviera, Spengler è stato una figura importante nel panorama intellettuale del suo tempo. "Il tramonto dell'Occidente", pubblicato in due volumi nel 1918 e nel 1922, è l'opera più conosciuta di Spengler. In questo lavoro, egli ha sviluppato una prospettiva storica e filosofica che proponeva un'interpretazione ciclica della storia delle civiltà umane. Spengler affermava che le culture umane seguono un ciclo di crescita, sviluppo, declino e caduta, e ha identificato diverse fasi nella storia delle civiltà. Secondo la teoria di Spengler, le culture hanno una fase di giovinezza, una fase di maturità e una fase di declino, paragonando le civiltà a organismi biologici. Egli ha applicato questa teoria a diverse civiltà, tra cui la civiltà greca, la civiltà romana, la civiltà egizia e l'Occidente europeo. La sua prospettiva era pessimistica riguardo al futuro dell'Occidente, vedendo nella modernità e nella società borghese un segno del declino. "Il tramonto dell'Occidente" ha suscitato reazioni contrastanti e controversie, alcuni lo hanno elogiato come una visione profetica della storia, mentre altri l'hanno criticato per la sua mancanza di rigore scientifico e per la sua tendenza al fatalismo. Tuttavia, il lavoro di Spengler ha influenzato notevolmente il pensiero storico e filosofico del XX secolo. Oltre al suo lavoro principale, Spengler ha scritto altri libri e saggi, tra cui "Preußentum und Sozialismus" (Prussianesimo e Socialismo) e "Jahre der Entscheidung" (Anni di Decisione), che approfondiscono i suoi punti di vista sulla storia, la cultura e la società. La sua eredità intellettuale continua a essere oggetto di studio e discussione nel campo della storia e della filosofia.

sabato 12 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 85 Gentile 1875

Giovanni Gentile 1875


Filosofo e storico della filosofia (Castelvetrano 1875 - Firenze 1944). Discepolo alla Scuola normale superiore di Pisa di D. Jaja (che lo avvicinò al pensiero di B. Spaventa), di A. D'Ancona e di A. Crivellucci; professore nelle università di Palermo (1906-13), Pisa (1914-16), Roma (dal 1917); direttore (1929-43) della Scuola normale superiore di Pisa, di cui promosse l'ampliamento e lo sviluppo; collaboratore con B. Croce per un ventennio nella redazione della Critica e nell'opera di rinnovamento della cultura italiana; fondatore (1920) e direttore del Giornale critico della filosofia italiana; ministro della Pubblica Istruzione (ott. 1922 - luglio 1924); senatore del Regno (dal nov. 1922); socio nazionale dei Lincei (1932); presidente dell'Accademia d'Italia (dal nov. 1943). Considerò il fascismo come il continuatore della destra storica nell'opera del Risorgimento, e ad esso aderì; ma si tenne lontano, soprattutto nella collaborazione intellettuale, da ogni intransigenza verso persone di opposti convincimenti. Dopo essere stato ministro della Pubblica Istruzione, abbandonò la politica attiva, dedicandosi, oltre che agli studî, alla promozione e organizzazione d'imprese culturali (tra cui l'Enciclopedia Italiana, di cui fu anche il direttore scientifico). Il 24 giugno 1943 riapparve alla ribalta politica con un discorso sul Campidoglio, in cui auspicava, come italiano e "non gregario di un partito che divide", l'unione di tutte le forze per la salvezza del paese, che era sull'orlo della sconfitta. Nella seconda metà di novembre fu nominato da B. Mussolini presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita in quei frangenti a Firenze. E a Firenze fu ucciso da un gruppo di giovani aderenti ai GAP (gli scritti suoi di quel tragico periodo furono poi raccolti dal figlio Benedetto nel volume: G. Gentile: dal discorso agli Italiani alla morte, 1950). La filosofia di G. (La riforma della dialettica hegeliana, 1913; Teoria generale dello spirito come atto puro, 1916; I fondamenti della filosofia del diritto, 1916; Sistema di logica, 2 voll., 1917-23; Discorsi di religione, 1920; Filosofia dell'arte, 1931; Introduzione alla filosofia, 1933; Genesi e struttura della società, post., 1946) s'incentra sul concetto del pensiero come "atto puro"; donde la denominazione di "attualismo" o "idealismo attuale" da essa assunta. Tale concetto è inteso non, come in Aristotele, quale realtà priva di potenza e quindi perfettamente realizzata, bensì come realtà che è lo stesso processo di realizzazione, ossia come pensiero pensante o pensiero in prima persona o Io (risolvente in sé tutto il reale naturale o storico), il quale "è" tale in quanto "non è" già o di fatto, ma "diviene", si fa. Pertanto l'Io - in cui G. ritrova l'io trascendentale di I. Kant liberato dal noumeno e da ogni dualismo di attività teoretica e pratica - si pone come sintesi "attuosa" di coscienza di sé e coscienza di altro da sé, o come autodeterminazione dell'"autoconcetto" nel "concetto", il quale è il "risultato in cui termina un processo dinamico vivo". In questa conciliazione della fermezza del pensato e della dinamicità del pensare (in cui il primo è contenuto e risolto), G. trova l'inveramento della logica aristotelica, o dell'identità, e della logica hegeliana, o dialettica. Con la critica e la negazione di ogni presupposto dell'attività dell'Io, e quindi di ogni dualismo (di natura e spirito, finito e infinito, ecc.), si afferma l'assoluto spiritualismo o immanentismo. Tale concezione, che risolve tutta la realtà e ogni forma della vita spirituale nell'atto del pensiero, identifica questo ultimo con la filosofia o autocoscienza, quale mediazione dialettica dell'arte e della religione, concepita l'una come momento della pura soggettività o sentimento e l'altra come momento della pura oggettività; e conduce parimenti all'identificazione di storia e filosofia, come risoluzione del passato nel presente eterno dell'atto. Dalla concezione attualistica G. ricavò, rispetto al problema educativo (Sommario di pedagogia, 2 voll., 1913-14; La riforma dell'educazione, 1920; Educazione e scuola laica, 1921; Preliminari allo studio del fanciullo, 1924), due principali conseguenze: l'identità di pedagogia e filosofia e il concetto dell'autonomia dell'educando, onde l'educazione, quale processo unificatore di educando ed educatore, è propriamente autoeducazione. Queste idee presiedettero alla riforma della scuola del 1923, attuata da G. ministro della Pubblica Istruzione (i cui scritti e discorsi furono poi raccolti nel volume La riforma della scuola in Italia, 1932). Tale riforma (la più organica dall'unificazione d'Italia in poi) concepiva la scuola come funzione essenziale dello stato; tuttavia consentì, in omaggio al principio della libertà d'insegnamento, l'istituzione di scuole private, a fianco di quelle pubbliche, ma con il controllo dello stato sulle une e le altre mediante l'"esame di stato", che doveva altresì accertare la maturità del candidato; intese sostituire all'istruzione manualistica e informativa quella formativa che si basa sul contatto diretto con gli autori classici; riconobbe, in antitesi all'indirizzo strettamente intellettualistico della scuola tradizionale, il valore dell'educazione estetica e di quella religiosa; promosse l'educazione fisica e sportiva; rinnovò le scuole di tipo moderno e professionale. Notevole anche il suo impegno nel campo dell'estetica e della critica letteraria (Frammenti di estetica e letteratura, 1921; Manzoni e Leopardi, 1928; Filosofia dell'arte, 1931; Studi su Dante, post., 1965). Teorizzando l'arte come il momento dialettico dell'immediato sentimento, che si media esprimendosi e incarnandosi nel pensiero o filosofia, di cui è l'"anima ascosa e presente", egli assegnò alla critica (in ciò intendendo riallacciarsi fedelmente a F. De Sanctis) il compito di ricercare nell'artista l'uomo, ossia di considerare la forma come la concretezza di un contenuto reale (la concezione morale, la fede religiosa, il credo politico, ecc., di un artista). Pertanto un'opera di poesia non viene spezzata in poesia e non poesia, poesia e struttura, ma valutata nella sua unità e organicità, come opera di poesia e insieme di pensiero. G. ha svolto opera vastissima anche come storico della filosofia, attento soprattutto allo svolgimento della filosofia italiana: dallo studio Rosmini e Gioberti (1898, in cui riprendeva la sua tesi di laurea) ai volumi Dal Genovesi al Galluppi (1903), La Filosofia (nella Storia dei generi letterari it., 1904-15, poi ripubblicato col titolo Storia della filosofia italiana fino a L. Valla), I problemi della scolastica e il pensiero italiano (1913), Le origini della filosofia contemporanea in Italia (4 voll., 1917-23), G. Capponi e la cultura toscana del sec. XIX (1922). La sua opera storiografica, in cui si avverte l'influenza della prospettiva hegeliano-spaventiana (per cui la storia della filosofia è l'attuarsi progressivo dello spirito), è ricca di contributi puntuali (come gli Studi vichiani, 1915, e i due volumi sul Rinascimento: Studi sul Rinascimento, 1923; Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, 1920; poi ripubblicato in 3ª ed., 1939, col titolo Il pensiero italiano del Rinascimento), nonché di ricerche erudite e di edizioni di testi soprattutto di filosofi italiani (da ricordare la collaborazione all'ed. di G. Vico e l'ed. dei Dialoghi metafisici e dei Dialoghi morali di G. Bruno). Da tale opera la storiografia filosofica ha ricevuto grande impulso, e molta influenza hanno esercitato certi suoi schemi interpretativi. G., che alla scuola aveva dato il meglio di sé, ebbe una folta schiera di discepoli e seguaci che, per un certo periodo, fecero dell'attualismo il sistema filosofico caratteristico della vita culturale italiana; negli ultimi anni di vita del filosofo, tuttavia, ebbe luogo un processo che doveva portare allo sfaldamento dell'unità del movimento attualistico, il quale si divise in due opposti indirizzi: l'uno teso a svilupparne i principî in forme di estremo storicismo e problematicismo, l'altro centrato sul tentativo di conciliarlo con la trascendenza e il teismo tradizionali.


Corso di storia della filosofia: Idealismo tedesco

Idealismo tedesco L’ idealismo tedesco  è una delle correnti filosofiche più influenti tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Nato...