mercoledì 30 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 121 Kuhn 1922

Thomas Samuel Kuhn 1922

 

Thomas Samuel Kuhn (1922 – 1996) è stato uno storico della scienza e filosofo statunitense.
Fu un epistemologo che scrisse vari saggi di storia della scienza, sviluppando alcune fondamentali nozioni di filosofia della scienza. Formulò un'epistemologia alternativa a quella dell'empirismo logico e di Karl Popper, suoi principali bersagli polemici.Ottenne la laurea in fisica all'Università Harvard dove divenne insegnante di Storia della scienza. Insegnò quindi all'Università di Berkeley, di Princeton ed al MIT di Boston. In La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), la sua opera più celebre e conosciuta, Kuhn sostiene che la scienza invece di progredire gradualmente verso la verità è soggetta a rivoluzioni periodiche che egli chiama slittamenti di paradigma.
Kuhn ci dice che la scienza attraversa ciclicamente alcune fasi che sono indicative di come essa operi. Per Kuhn la scienza è paradigmatica, e la demarcazione tra scienza e pseudoscienza è riconducibile all'esistenza di un paradigma.
La Fase 0 è dunque il periodo chiamato pre-paradigmatico, caratterizzato dall'esistenza di molte scuole differenti in competizione tra di loro e l'assenza di un sistema di principi condivisi. In questa fase, lo sviluppo di una scienza assomiglia più a quello delle arti ed è presente molta confusione. A un certo punto della storia della scienza in esame, viene sviluppata una teoria in grado di spiegare molti degli effetti studiati dalle scuole precedenti; nasce così il paradigma, l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca all'interno della quale le teorie sono accettate da tutti i cultori.
Questa adesione sancisce la Fase 1, ovvero, l'accettazione del paradigma. Una volta definito il paradigma ha inizio la Fase 2, ovvero, quella che Kuhn chiama la scienza normale. Nel periodo di scienza normale gli scienziati sono visti come risolutori di rompicapi, che lavorano per migliorare l'accordo tra il paradigma e la natura. Questa fase, infatti, è basata sull'insieme dei principi di fondo dettati dal paradigma, che non vengono messi in discussione, ma ai quali, anzi, è affidato il compito di indicare le coordinate dei lavori successivi. In tale fase vengono sviluppati gli strumenti di misura con cui si svolge l'attività sperimentale, vengono prodotti la maggior parte degli articoli scientifici, ed i suoi risultati costituiscono la maggior parte della crescita della conoscenza scientifica.
 Durante la fase di scienza normale si otterranno successi, ma anche insuccessi; tali insuccessi, per Kuhn, prendono il nome di anomalie, ovvero eventi che vanno contro il paradigma. Lo scienziato normale, da buon risolutore di rompicapo quale è, tenta di risolvere tali anomalie.
Si passa così alla Fase 3, nella quale il ricercatore si scontra con le anomalie. Quando il fallimento è particolarmente ostinato o evidente, può avvenire che l'anomalia metta in dubbio tecniche e credenze consolidate con il paradigma, aprendo così la Fase 4, ovvero la crisi del paradigma. Come conseguenza della crisi, in tale periodo si creeranno paradigmi diversi. Tali nuovi paradigmi non nasceranno quindi dai risultati raggiunti dalla teoria precedente ma, piuttosto, dall'abbandono degli schemi precostituiti del paradigma dominante.
Si entra così nella Fase 5, la rivoluzione (scientifica). Nel periodo di scienza straordinaria, si aprirà una discussione all'interno della comunità scientifica su quali dei nuovi paradigmi accettare.
Però non sarà necessariamente il paradigma più "vero" o il più efficiente ad imporsi, ma quello in grado di catturare l'interesse di un numero sufficiente di scienziati, e di guadagnarsi la fiducia della comunità scientifica. I paradigmi che partecipano a tale scontro, secondo Kuhn, non condividono nulla, neanche le basi e quindi non sono paragonabili. La scelta del paradigma avviene, come detto, per basi socio-psicologiche oppure biologiche (giovani scienziati sostituiscono quelli anziani).
La battaglia tra paradigmi risolverà la crisi, sarà nominato il nuovo paradigma e la scienza sarà riportata a una Fase 1.

martedì 29 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 120 McLuhan 1911

Herbert Marshall McLuhan 1911

Herbert Marshall McLuhan (1911 – 1980) è stato un sociologo canadese.
Studiò all'Università di Cambridge, nel Regno Unito e fu influenzato dalla corrente letteraria del New Criticism. Insegnò all'Università del Wisconsin, di Saint Louis, di Cambridge, di Toronto, della Fordham University, dove avvenne l’esperimento di Fordham sugli effetti della televisione. La sua fama è legata alla sua interpretazione visionaria degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all'ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Di qui, la sua celebre tesi secondo cui "il mezzo è il messaggio".
In Galassia Gutemberg McLuhan sottolinea per la prima volta l'importanza dei mass media nella storia umana; in particolare egli discute dell'influenza della stampa a caratteri mobili sulla storia della cultura occidentale. Con essa si compia definitivamente il passaggio dalla cultura orale alla cultura alfabetica. Se nella cultura orale la parola è una forza viva, risonante, attiva e naturale, nella cultura alfabetica la parola diventa un significato mentale, legato al passato. Con l'invenzione di Gutenberg queste caratteristiche della cultura alfabetica si accentuano e si amplificano: tutta l'esperienza si riduce ad un solo senso, cioè la vista. La stampa è la tecnologia dell'individualismo, del nazionalismo, della quantificazione, della meccanizzazione, dell'omogeneizzazione, insomma è la tecnologia che ha reso possibile l'era moderna. Alla base del pensiero di McLuhan troviamo un accentuato determinismo tecnologico, cioè l'idea che in una società la struttura mentale delle persone e la cultura siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone. In Gli strumenti del comunicare McLuhan propone una ricerca innovativa nel campo dell'ecologia dei media. È qui che McLuhan afferma che è importante studiare i media non tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la frase "il medium è il messaggio". Per esemplificare il film (contenuto) visto alla televisione o al cinema (medium) ha un effetto diverso sullo spettatore. Ogni medium ha caratteristiche che coinvolgono gli spettatori in modi diversi; da cui la classificazione dei media in caldi e freddi. Sono "freddi" i media che hanno una bassa definizione e che quindi richiedono un’alta partecipazione dell'utente, in modo che egli possa "riempire" e "completare" le informazioni non trasmesse; sono "caldi" invece quelli caratterizzati da un'alta definizione e da una scarsa partecipazione. Ci sono alcuni media che assolvono soprattutto la funzione di rassicurare e uno di questi media è la televisione. Essa non crea delle novità, non suscita delle novità, è quindi un mezzo che conforta, consola, conferma e "inchioda" gli spettatori in una stasi fisica e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti comunicativi a due o più sensi). Con l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, tramite l'avvento del satellite che ha permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza, il mondo è diventato piccolo ed noi abbiamo assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio, un villaggio globale.

lunedì 28 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 119 Bateson 1904

Gregory Bateson 1904

Bateson

Gregory Bateson (1904 – 1980) è stato un antropologo, sociologo, psicologo e studioso di cibernetica britannico, il cui lavoro ha toccato anche molti altri campi. Varrebbe forse la pena considerarlo provocatoriamente prima di tutto un filosofo, nel senso "classico" del termine, per la sua inimitabile capacità di passare da un campo all'altro dello scibile umano creando sintesi assolutamente originali che spesso sono state descritte come olistiche. Due delle sue opere più influenti sono Verso un'ecologia della Mente (1972) e Mente e Natura (1980). In vita, Bateson era famoso soprattutto per aver sviluppato la teoria del doppio legame per spiegare la schizofrenia.

domenica 27 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 118 Popper 1902

Karl Popper 1902

Filosofo della scienza (Vienna 1902 - Croydon 1994). Tra i maggiori filosofi della scienza del sec. 20º, ha esercitato grande influenza per la sua concezione fallibilistica della conoscenza e del metodo scientifico. Pur vicino alle posizioni del «Circolo di Vienna», non ne accettò il criterio di significanza, che faceva consistere il senso delle asserzioni scientifiche nella loro verificabilità empirica (1935; trad. ingl. The logic of scientific discovery/">discovery1959, da cui la trad. it. 1970) e tendeva inoltre a recuperare questioni da quello escluse come non pertinenti all'ambito scientifico, quali i problemi sociologici e storiografici. Sottolineando l'impossibilità logica di derivare asserzioni universali (leggi scientifiche) da asserzioni singolari descriventi osservazioni empiriche, P. pose radicalmente in discussione il valore e l'esistenza stessa dei procedimenti induttivi.  Dopo l'occupazione nazista dell'Austria emigrò in Nuova Zelanda, dove insegnò filosofia fino al 1945 alla Canterbury University di Christchurch, per poi passare, su invito di F. A. von Hayek, alla London school of economics, dove insegnò logica e metodo scientifico fino al 1969. Fu inoltrevisiting professor in varie università statunitensi ed europee. Nominato baronetto nel 1965, fu membro della Royal Society, della British Academy, dell'Académie internationale de philosophie de science/">science e, dal 1982, socio straniero dei Lincei. Sin dalla sua prima opera, la già citata Logik der Forschung, sulla base di un'asimmetria tra verificazione e falsificazione, per la quale un numero per quanto elevato di conferme non è mai sufficiente a verificare in modo conclusivo un'asserzione universale (prototipo delle leggi scientifiche) mentre un solo esempio negativo basta a invalidarla, P. ha ravvisato nella «falsificabilità» la caratteristica delle teorie scientifiche (caratteristica che le distingue dalle dottrine metafisiche) e nel metodo ipotetico-deduttivo il procedimento tipico/">tipico della conoscenza scientifica: piuttosto che per generalizzazioni induttive (a cui si riduce per P. il verificazionismo neopositivistico), questa procederebbe tramite ipotesi che vengono sottoposte a «severi» tentativi di falsificazione, consistenti nel saggiarne la validità mediante il controllo delle conseguenze empiriche. La continua applicazione di tale metodo, implicante o la temporanea «corroborazione» (termine che P. preferisce a «conferma», che ritiene compromesso con l'epistemologia induttivistica) delle ipotesi o la sostituzione delle teorie falsificate dall'esperienza con nuove teorie, è per P. espressione del carattere mai definitivo del sapere scientifico, ma al tempo stesso garanzia della crescita della conoscenza e del suo indefinito avvicinarsi alla verità. Critico tanto dell'empirismo quanto del convenzionalismo, P. ha sostenuto la priorità delle assunzioni teoriche rispetto ai dati osservativi, che avrebbero la funzione di controllo delle teorie (razionalismo critico), difendendo una teoria della conoscenza per prova ed errore che è successivamente sfociata in una concezione evoluzionistica in cui la conoscenza e la stessa attività scientifica sono considerate continue con l'evoluzione naturale. L'anti-dogmatismo che informa le tesi epistemologiche popperiane è stato esteso da P. anche alle scienze sociali e alla filosofia politica. Particolarmente note sono le sue obiezioni al marxismo, considerato come un esempio di «storicismo» (The poverty of historicism1944-45, trad. it. 19542a ed. 1957, trad. it. 1975), cioè di quel tipo di dottrine metafisiche che pretendono di prevedere il futuro corso della storia sulla base di leggi specificamente storiche, diverse da quelle delle scienze naturali e non soggette a falsificazione. Sul piano della filosofia politica, la concezione fallibilistica della conoscenza ha condotto P. a una critica del totalitarismo (che avrebbe le sue radici in Platone, Hegel e Marx) a difesa di una «società aperta» (The open society and its enemies19455a ed. 1966; trad. it. in 2 voll., 1974) dove ogni soluzione politica sia sottoposta al vaglio della critica e dove sia possibile sperimentare, mediante sistemi democratici, nuove soluzioni in grado di correggere gli errori delle precedenti. Tra le altre opere: Conjectures and refutations (1963; trad. it. 1972); Objective knowledge. An evolutionary approach (1972; trad. it. 1975); Unended quest. An intellectual autobiography (1976; trad. it. 1976: pubblicata dapprima in The philosophy of Karl Popper, a cura di P. A. Schilpp, 1974); The self and its brain (in collab. con J. C. Eccles, 1977; trad. it. in 3 voll., 1981); Postscript to "The logic of scientific discovery" (3 voll., 1982-83; trad. it. 1984). 

sabato 26 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 117 Bachelard 1884

Gaston Bachelard 1884 

filosofo

Gaston Bachelard (1884 – 1962) è stato un filosofo della scienza e della poesia francese.Epistemologo illustre, è autore di numerose riflessioni legate alla conoscenza e alla ricerca.Gaston Bachelard ha avuto una carriera fuori dal comune. All'inizio impiegato alle poste, prende la laurea e diventa professore di fisica e chimica a Bar-sur-Aube. Riesce nel 1922 a laurearsi anche in filosofia e insegna questa materia alla Facoltà di Dijon prima di diventare professore alla Sorbona fino al 1954. Nella sua opera fondamentale: Il nuovo spirito scientifico (1934), Gaston Bachelard compie un superamento del dibattito tra empirismo e razionalismo, così come Karl Popper, autore a cui viene spesso contrapposto. Per Bachelard, il materialismo razionale si trova al centro di uno spettro epistemologico le cui due estremità sono costituite dall'idealismo e dal materialismo.  Bachelard si impegna per una critica severa dell’induttivismo e dell'empirismo. Il fatto scientifico si trova sempre costruito alla luce di una problematica teorica. La scienza si sviluppa in opposizione all'evidenza, contro le illusioni della conoscenza immediata. È in questo senso che Bachelard parla di una «filosofia del non». L'accesso alla conoscenza come la storia delle scienze è dunque segnata da un «taglio epistemologico» che opera una separazione con il pensiero prescientifico. Produrre conoscenze nuove significa dunque superare "ostacoli epistemologici", secondo l'espressione di Bachelard che parla anche di rottura epistemologica.Per Bachelard, ogni conoscenza è una conoscenza avvicinata: «Scientificamente, si pensa il vero come correzione storica di un lungo errore, si pensa l'esperienza come correzione della comune e prima illusione».Bachelard si impegna per un'epistemologia concordataria. Ritiene sia indispensabile superare l'opposizione tra empirismo e razionalismo: «Né razionalità vuota, né materialismo sconnesso». «L'attività scientifica richiede la messa in opera di un razionalismo applicato» o di «un materialismo razionale».Avendo le sue idee numerose affinità con quelle di Ferdinand Gonseth, contribuì con lui alla creazione e alla vita della rivista Dialectica.Nella seconda parte della sua impresa filosofica, Bachelard si consacra a uno studio approfondito dell'immaginario poetico. In un testo divenuto celebre, Le dormeur éveillé, dichiara: "La nostra appartenenza al mondo delle immagini è più forte, più costitutiva del nostro essere che non l'appartenenza al mondo delle idee". Incoraggia allora le dolcezze del fantasticare (della "rêverie") e si lascia andare alle evocazioni ispirate dalla "fiamma di una candela".

venerdì 25 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 116 Epistemologia


La corrente filosofica dell'epistemologia è un ambito della filosofia che si occupa della conoscenza, in particolare della conoscenza scientifica. Non è una corrente unica e monolitica, ma un campo disciplinare che include diverse scuole di pensiero, movimenti e orientamenti filosofici.

 Cos'è l'EPISTEMOLOGIA?

L'epistemologia (o filosofia della scienza) studia:

  • Come si costruisce la conoscenza scientifica
  • Quali sono i suoi criteri di validità
  • Come evolve nel tempo
  • Qual è il ruolo della logica, dell'osservazione, dell'errore, della teoria

Principali correnti epistemologiche

Corrente Caratteristiche principali
Empirismo logico (o neopositivismo) Scienza come linguaggio verificabile. Enfasi su osservazione, logica, analisi linguistica (Carnap, Neurath).
Falsificazionismo La scienza procede per tentativi ed errori: non verifica, ma falsifica (Popper).
Epistemologia storica La scienza evolve per rotture e trasformazioni radicali (Bachelard, Canguilhem, Foucault).
Paradigmi scientifici La scienza si sviluppa attraverso rivoluzioni scientifiche e cambi di paradigma (Kuhn).
Programmi di ricerca Le teorie scientifiche sono sistemi dinamici con un “nucleo duro” e ipotesi modificabili (Lakatos).
Anarchismo metodologico Nessun metodo fisso nella scienza; la storia mostra che “tutto può andar bene” (Feyerabend).
Naturalismo epistemologico La conoscenza scientifica va studiata con metodi scientifici (Quine, Churchland).
Filosofia femminista della scienza Analizza il rapporto tra genere, potere e produzione del sapere scientifico.

Esempi di filosofi epistemologi

  • Karl Popper → falsificazionismo critico
  • Thomas Kuhn → rivoluzioni scientifiche e paradigmi
  • Imre Lakatos → programmi di ricerca
  • Paul Feyerabend → anarchismo metodologico
  • Gaston Bachelard → rottura epistemologica
  • Michel Foucault → archeologia del sapere
  • Hilary Putnam, Quine → naturalismo
  • Sandra Harding, Donna Haraway → epistemologia femminista

giovedì 24 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 115 Derrida 1930

Jacques Derrida 1930

 

Jacques Derrida, nato Jackie Derrida (1930–2004) filosofo francese di origine algerina, allievo di Althusser e Foucault, è stato direttore di ricerca presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi.
Prendendo spunto da Husserl,  Heidegger, de Saussure, Nietzsche e Freud, Derrida ha elaborato un percorso filosofico originale che si caratterizza come decostruzione della metafisica della presenza.
I primi lavori di Derrida si situano all'interno del dibattito fra storicismo e strutturalismo impostosi negli '40 e '50, e riguardano in particolare le soluzioni al problema della genesi delle idee (genesi storica o metastorica, ovvero strutturale?).
Nel 1966 tiene la prima di una lunga serie di conferenze negli Stati Uniti e si afferma soprattutto come studioso della lingua e della scrittura e pubblica La scrittura e la differenza, La voce e il fenomeno e Della grammatologia.
La riflessione di Derrida ha esercitato influenza nell'ambito della letteratura, del diritto, dell'architettura e dell'arte in generale, ma per lo stile di scrittura, particolarmente complesso ed ellittico, da più parti il suo pensiero è stato ritenuto più vicino a una forma letteraria che a una rigorosa elaborazione filosofica, e la centralità del tema della decostruzione, ha spinto alcuni a ritenere il suo un pensiero nichilista, che esita nello scetticismo e nel solipsismo più assoluti, giacché la decostruzione mostrerebbe l'infondatezza e la precarietà di tutta la tradizione del pensiero occidentale.

mercoledì 23 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 114 Baudrillard 1929

Jean Baudrillard 1929


La filosofia postmoderna è un movimento eclettico caratterizzato dalla critica postmoderna e dall'analisi della filosofia occidentale. E’ stata fortemente influenzata dalla fenomenologia, dallo strutturalismo, dall’esistenzialismo, dai filosofi Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Edmund Husserl, Ludwig Wittgenstein, dalla psicanalisi di Jacques Lacan, dallo strutturalismo di Roland Barthes, dal mondo dell'arte, in particolar modo da Marcel Duchamp.La filosofia postmoderna è caratterizzata dall'anti-fondazionismo, cioè dallo scetticismo verso le semplici opposizioni binarie che sono predominanti nella metafisica e nell'umanesimo occidentale. Per alcuni critici, questo scetticismo appare simile al relativismo o persino al nichilismo. Per altri viene visto come apertura al significato e all'autorità. Il marxista Ernest Mandel sostiene che il postmodernismo è l'ideologia del tardo capitalismo.I più influenti pensatori postmoderni sono stati Michel Foucault, Jean-François Lyotard, Jaques Derrida e Jean Baudrillard. Foucault approcciò la filosofia postmoderna da una prospettiva storica, fondandosi sullo strutturalismo, ma allo stesso tempo rifiutando lo strutturalismo ristoricizzando e destabilizzando le strutture filosofiche del pensiero occidentale. Considerò anche come la conoscenza è definita e cambiata dall'operato del potere.Gli scritti di Lyotard erano focalizzati sul ruolo delle narrazioni nella cultura umana, e in particolar modo su come tale ruolo sia cambiato quando abbiamo lasciato la modernità e siamo entrati in una condizione "postindustriale" o postmoderna. Sostenne che le filosofie moderne legittimano le loro affermazioni di verità non (come sostengono) su basi logiche o empiriche, ma piuttosto su basi di storie accettate (o "meta-narrazioni") sulla conoscenza e sul mondo, quello che Wittgenstein ha battezzato "giochi linguistici". Inoltre sostenne che nella nostra condizione postmoderna, queste meta-narrazioni non lavorano più per legittimare le affermazioni di verità. Suggerì che nel risveglio dal collasso delle metanarrative moderne, la gente sta sviluppando un nuovo "gioco linguistico" - uno che non afferma l'assoluta verità ma piuttosto celebra un mondo di relazioni sempre in mutazione (tra le persone e tra le persone e il mondo).Derrida, padre del decostruzionismo, è uno dei maggiori critici della metafisica occidentale. La filosofia a suo avviso privilegia infatti il concetto di presenza e di logos, come opposte all'assenza e alla scrittura segnica. Derrida perciò affermò di aver decostruito la filosofia occidentale sostenendo, per esempio, che l'ideale occidentale del logos viene minacciata dall'espressione di questa idea nella forma di segni da parte di un autore assente. Perciò, per enfatizzare questo paradosso, Derrida riformalizza la cultura umana come una rete disgiunta di segni e scritti che proliferano, in assenza dell'autore. Jean Baudrillard (1929-2007), di formazione sociologo, con interessi estesi al mondo della semiotica, della comunicazione e della politica, propone una teoria del simulacro (traendo ispirazione dai romanzi degli scrittori Philip K. Dick e James Graham Ballard) visto come significante senza reale significato. Un esempio classico quello di Marilyn Monroe, il cui volto compare pervasivamente nell'orizzonte dei massmedia, senza che tutti i consumatori dei media abbiano visto necessariamente anche un solo film dell'attrice, o conoscano anche un solo fatto della sua vita. Marilyn Monroe (come altre icone pop che circolano nella rete dei media) è svincolata da un qualsiasi referente, e in ultima analisi significa sé stessa. Baudrillard, a partire dalla sua riflessione sui simulacri, ha elaborato una sua teoria della società postmoderna vista come società dei simulacri, o società simulazionale.

martedì 22 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 113 Deleuze 1925

Gilles Deleuze 1925

Gilles Deleuze (1925–1995) filosofo francese tra i più influenti del XX secolo e tra i più prestigiosi esponenti della Nietzsche  renaissance. Benché definito post-strutturalista e post-moderno, il pensiero di Deleuze risulta in realtà di difficile classificazione.
Fa i suoi studi filosofici alla Sorbona di Parigi, dov'è allievo di Jean Hyppolite e Ferdinand Alquié, e frequenta Jacques Lacan, Pierre Klossowski e Michel Foucault. Insegna filosofia nei licei parigini, quindi alla all'Università di Lione ed infine alla Sorbona. Il suo primo libro Empirismo e Soggettività si rivolge al pensiero del filosofo scozzese David Hume sostenendo che la sua non è una filosofia dei sensi ma dell'immaginazione. In esso Deleuze si chiede come sia possibile che da una serie di atti stereotipati (dovuti all'istinto o all'educazione) si giunga a formare il soggetto. Segue Nietzsche e la filosofia (1962), una reinterpretazione tesa alla depurazione dei testi nietzschiani dalle storture e mistificazioni operate dalla storiografia precedente in un momento storico in cui la cultura francese è dominata dall'ortodossia delle tre H (Hegel, Husserl, Heidegger).
Dopo il 1968 Deleuze comincia una collaborazione con lo psicoanalista e psichiatra Félix Guattari ed acquista notorietà anche in ambito extra - accademico con L'Anti-Edipo (1972) ed il suo seguito Mille piani (1980), sottotitolate entrambe Capitalismo e schizofrenia, in cui gettano le basi della schizoanalisi, che analizza il funzionamento delle istituzioni alla luce dei rapporti di potere che esse sviluppano con individui e società. Bersaglio critico principale è la psicoanalisi, accusata di "familiarismo", ovvero di ripiegare il desiderio, geneticamente rivoluzionario e creatore di nuovi ordini, sul cosiddetto "romanzo familiare": l'Edipo. Essi hanno depotenziato il concetto d'inconscio, finendo così con l'asservire la psicoanalisi ai dispositivi di potere dello Stato, della Chiesa e del Mercato.
Con Differenza e Ripetizione (1968) e Logica del Senso (1969), dove il tema della ripetizione viene analizzato mediante una originale re-interpretazione dell'eterno ritorno di Nietzsche, Deleuze si propone di rovesciare il platonismo e realizzare una nuova immagine del pensiero, costruire una filosofia che faccia a meno del concetto di rappresentazione, avviando in filosofia la medesima rivoluzione avviata nelle arti figurative dalle avanguardie artistiche del primo novecento, investendo sia gli aspetti contenutistici sia quelli formali. Ciò lo spingerà a sperimentare in un tipo di assemblaggio del testo mutuato dalla tecnica del collage picabiano.

lunedì 21 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 112 Barthes 1915

Roland Barthes 1915

Roland Barthes (1915–1980) saggista, critico letterario, linguista e semiologo francese, fra i maggiori esponenti della nuova critica francese di orientamento strutturalista.Laureato in lettere classiche alla Sorbona, è docente al liceo di Biarritz poi a Parigi. Diventa lettore all'Università di Alessandria d'Egitto, quindi ricercatore al CNRS, responsabile di ricerca e direttore degli studi all’École des Hautes Études en Sciences Sociales, ed infine docente di Semiologia letteraria al Collège de France. Ha collaborato a numerosi periodici tra i quali l'Esprit e il Tel Quel. Roland Barthes ha scritto e pubblicato numerosi saggi critici di particolare acutezza sugli scrittori classici e contemporanei, Saggi critici (1964), prestando particolare attenzione alle linee di sviluppo della recente narrativa e indicando nel "grado zero" della scrittura, cioè nel modo parlato, la sua più importante peculiarità Il grado zero della scrittura (1953). Si è dedicato inoltre allo studio delle relazioni esistenti tra i miti e i feticci della realtà contemporanea e le istituzioni sociali, Miti d'oggi (1957), Il sistema della moda (1967), ha studiato il rapporto di incontro-scontro tra la lingua intesa come patrimonio collettivo e il linguaggio individuale L'Impero dei segni (1970) e ha sviluppato una teoria semiologica che prende in considerazione le grandi unità di significato Elementi di semiologia (1964). Il criterio da lui proposto oltrepassa la tesi accademico-filologica e si pone come una continua e sollecita interrogazione del testo Critica e verità (1966).

domenica 20 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 111 Lacan 1901

Jacques Lacan 1901

Jacques Lacan (1901 – 1981) è stato uno psichiatra e filosofo francese nonché uno dei maggiori psicoanalisti.
Studiò medicina, specializzandosi poi in psichiatria alla scuola di G. Clérambault. Si laureò in psichiatria nel 1932 con una tesi su "La psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità". In seguito fu allievo di Alexandre Kojève.
Fu anche uno strutturalista e basò molte delle sue teorie, oltre che sulle opere di Sigmund Freud, anche sulle teorie linguistiche di Ferdinand de Saussure. Celebre la sua tesi secondo la quale l'inconscio sarebbe "strutturato come un linguaggio"; da qui la centralità dell'attenzione alla veicolazione di significati attraverso la comunicazione verbale nella teoria della tecnica lacaniana. Importante anche la sua teorizzazione relativa alla "fase dello specchio".
Lacan, pur essendo considerato da molti un innovatore del pensiero freudiano, dichiara di voler "tornare all'insegnamento originario di Freud" e malgrado sia stato sconfessato più di una volta dalle istituzioni freudiane ortodosse si è sempre proclamato l'unico vero interprete dell'insegnamento di Freud.
Le sue complesse tesi, più che essere organizzate in modo organico in libri, vennero esposte nei suoi famosi seminari del mercoledì, tenuti dal 1953 fino al 1980.
Le sue opere principali comunque sono state pubblicate con il titolo Scritti nel 1966.
Lacan è stato criticato per la mancanza di chiarezza dei suoi scritti (fra gli altri da Martin Heidegger, che li riteneva incomprensibili e che commentò sul suo conto: "questo psichiatra ha bisogno di uno psichiatra") e per l'utilizzo, ritenuto ingiustificato, di concetti provenienti dalle scienze pure. Nel loro libro Imposture intellettuali, i fisici Alan Sokal e Jean Bricmont citano fra l'altro come Lacan paragoni il fallo alla radice quadrata di -1.

sabato 19 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 110 Postmodernismo e Poststrutturalismo

 


Postmodernismo e Poststrutturalismo
Critica alla verità oggettiva

La critica alla verità oggettiva è uno dei tratti distintivi del postmodernismo, corrente filosofica e culturale che ha messo in discussione molte delle certezze ereditate dalla modernità. In particolare, il postmodernismo rifiuta l’idea che esista una verità unica, universale e neutra, accessibile attraverso la sola ragione o l’osservazione oggettiva. Al contrario, propone una visione della realtà come costruzione sociale, influenzata dal linguaggio, dalla cultura, dal potere e dalla soggettività.

Filosofi come Michel Foucault hanno mostrato come le "verità" cambino nel tempo e si strutturino in relazione ai discorsi dominanti e alle istituzioni che li sostengono. La verità, in questa prospettiva, non è qualcosa che si scopre, ma qualcosa che si produce all’interno di determinati regimi di sapere e di potere. Similmente, Jacques Derrida, con il suo approccio decostruzionista, ha messo in luce la instabilità del linguaggio e l’impossibilità di ancorare i significati a fondamenti assoluti, rendendo ogni testo sempre aperto a interpretazioni multiple e contraddittorie.

Un altro importante contributo postmoderno è quello di Jean-François Lyotard, che nel suo celebre La condizione postmoderna denuncia la crisi delle "grandi narrazioni", ossia quei racconti totalizzanti (come la razionalità illuminista, il progresso scientifico, o il marxismo) che pretendevano di spiegare il mondo in modo definitivo. Lyotard sostiene che nel mondo contemporaneo la conoscenza si frammenta in micro-narrazioni locali e contingenti, senza più un criterio unificatore.

Questa critica radicale alla verità oggettiva non comporta necessariamente un relativismo assoluto o l’abbandono della razionalità, ma piuttosto invita a una consapevolezza critica: ogni affermazione di verità deve essere compresa nel contesto da cui emerge e nei fini che persegue. In tal senso, il postmodernismo ci stimola a sospettare delle verità imposte, a valorizzare la pluralità dei punti di vista e a riconoscere la dimensione politica della conoscenza.

In sintesi, il postmodernismo decostruisce l’idea di una verità oggettiva e universale, sostenendo che ciò che consideriamo “vero” è spesso il prodotto di contingenze storiche, linguistiche e culturali. Questa prospettiva ci invita a interrogare criticamente i nostri saperi e ad accettare la complessità e l’ambiguità del reale.

Sospetto verso le grandi narrazioni

Uno dei temi centrali del pensiero postmoderno è il sospetto verso le grandi narrazioni, cioè quelle teorie globali e onnicomprensive che pretendono di spiegare in modo coerente e lineare il senso della storia, della società o della condizione umana. Queste narrazioni — come l’idea illuminista del progresso razionale, il cristianesimo, il marxismo, o il positivismo scientifico — vengono viste dai postmodernisti non come verità oggettive, ma come costruzioni ideologiche funzionali al mantenimento di specifiche strutture di potere.

Il filosofo Jean-François Lyotard ha reso celebre questa critica con l’opera La condizione postmoderna (1979), dove definisce il postmodernismo come incredulità verso le metanarrazioni. Secondo Lyotard, nel mondo contemporaneo è venuta meno la fiducia in racconti universali capaci di unificare l’esperienza umana sotto un’unica visione coerente. Al loro posto, emergono una molteplicità di narrazioni parziali, frammentate e locali, ciascuna legata a un determinato contesto culturale, linguistico o storico.

Questa posizione si collega alla convinzione che le grandi narrazioni abbiano spesso una funzione di legittimazione del potere: offrono una giustificazione per istituzioni, gerarchie sociali o pratiche culturali che si presentano come naturali o inevitabili, ma che in realtà sono storicamente determinate. Pensatori come Michel Foucault hanno mostrato come i discorsi di verità siano intimamente legati a meccanismi di controllo, e come le ideologie dominanti si perpetuino anche attraverso sistemi educativi, scientifici e giuridici.

Il postmodernismo, in questo senso, non propone una nuova narrazione alternativa, ma invita a decentrarsi, ad accettare il pluralismo dei punti di vista, e a sviluppare un atteggiamento critico verso ogni forma di totalizzazione. È una filosofia del dubbio radicale, che preferisce la molteplicità alla sintesi, l’ironia alla certezza, la differenza all’uniformità.

In conclusione, la critica alle grandi narrazioni da parte del postmodernismo ci invita a riconoscere che molte delle nostre certezze sono in realtà costruzioni storiche e culturali, e ci sollecita a praticare una forma di pensiero più aperta, autocritica e consapevole dei propri limiti.


Riflessione sulla complessità e la frammentazione

Una delle caratteristiche fondamentali del postmodernismo è la sua attenzione alla complessità e frammentazione della realtà contemporanea. In contrapposizione alla ricerca di ordine, coerenza e linearità tipica della modernità, il pensiero postmoderno abbraccia la molteplicità, l’ambiguità e la discontinuità come elementi costitutivi dell’esperienza umana.

Nella società postmoderna, secondo questa visione, non esistono più centri unificanti o valori condivisi universalmente: ciò che prevale è un mosaico culturale fluido, fatto di identità molteplici, di stili di vita differenti e di narrazioni concorrenti. La frammentazione non è solo un dato sociologico, ma anche un principio estetico e filosofico, che si manifesta in tutti gli ambiti del sapere e dell’espressione artistica.

Nella letteratura, per esempio, il postmodernismo si esprime attraverso la rottura dei canoni tradizionali, il ricorso al metaracconto, alla parodia, alla commistione di generi e alla moltiplicazione dei punti di vista. Le opere postmoderne spesso rifiutano una trama lineare, mescolano registri linguistici e si interrogano ironicamente sul loro stesso statuto di finzione. Scrittori come Thomas Pynchon, Italo Calvino o Don DeLillo rappresentano bene questo approccio, in cui la narrazione diventa un gioco consapevole con i codici culturali.

Nell’arte contemporanea, si assiste a un fenomeno simile: gli stili si ibridano, i confini tra le discipline si dissolvono, e l’opera d’arte smette di avere un significato univoco, aprendo piuttosto a molteplici interpretazioni. L’arte postmoderna è spesso concettuale, provocatoria e autoriflessiva, e tende a problematizzare i concetti stessi di originalità, autenticità e bellezza.

Anche in filosofia, la riflessione postmoderna rinuncia alla costruzione di sistemi teorici totalizzanti, preferendo l’esplorazione delle fratture, delle zone d’ombra e delle contraddizioni del pensiero. Autori come Jean Baudrillard parlano di una realtà dominata dai simulacri, cioè da rappresentazioni che non rimandano più a un referente reale, ma si autoalimentano in una circolarità infinita di segni.

In questo contesto, la complessità non è un problema da risolvere, ma una condizione da accettare: il mondo non è riducibile a schemi semplici o univoci, e ogni tentativo di semplificazione rischia di essere una forma di dominio o di esclusione. Il pluralismo, l’ibridazione e la contaminazione diventano dunque valori centrali per comprendere e abitare la contemporaneità.

In sintesi, il postmodernismo ci invita a pensare la realtà come frammentata, fluida e aperta, incoraggiando un atteggiamento critico che sappia riconoscere e valorizzare le differenze, senza cercare di ricondurle a un’unica verità o a una struttura rigida.


Gioco con le convenzioni linguistiche

Uno degli aspetti più originali e distintivi del postmodernismo, soprattutto in ambito letterario e filosofico, è il gioco con le convenzioni linguistiche. Gli autori postmoderni non considerano il linguaggio come uno strumento neutro per descrivere la realtà, ma come un sistema autonomo, instabile e carico di ambiguità, che condiziona il modo in cui pensiamo, comunichiamo e interpretiamo il mondo.

A partire da questa consapevolezza, molti scrittori e filosofi postmoderni si sono dedicati a una sperimentazione linguistica radicale, che mette in discussione le strutture tradizionali del testo e le aspettative del lettore. Le opere diventano luoghi di gioco e decostruzione, dove il significato è spesso sfuggente, contraddittorio o volutamente ambiguo.

Ne è un esempio l’opera di Ludwig Wittgenstein, nella fase tarda, con la sua idea che il significato non risiede nelle parole in sé, ma nel loro uso all’interno di “giochi linguistici” specifici. Questa visione influenzerà profondamente il pensiero postmoderno, suggerendo che non esiste un linguaggio universale, ma solo molteplici pratiche discorsive.

In letteratura, autori come Italo Calvino, Jorge Luis Borges o Thomas Pynchon sovvertono i generi narrativi, utilizzano strutture frammentate o circolari, inseriscono elementi metanarrativi (ovvero riflessioni sullo stesso atto di scrivere) e infrangono la barriera tra autore, narratore e lettore. Il linguaggio, in queste opere, non serve a “rappresentare” la realtà, ma diventa materia da manipolare, da esplorare e da mettere in discussione.

Un altro esempio significativo è Jacques Derrida, che ha sviluppato la pratica della decostruzione, attraverso cui analizza i testi per rivelarne le tensioni interne e le aporie, ossia quei punti in cui il significato si sfalda o si contraddice. Per Derrida, ogni testo dice sempre più (o meno) di quanto intendeva dire, e il linguaggio non può mai essere totalmente sotto controllo.

Questa attenzione al linguaggio come gioco, performance e costruzione comporta anche una certa dose di ironia e autoironia: i testi postmoderni spesso non si prendono troppo sul serio, si divertono a sovvertire regole, a mischiare registri alti e bassi, e a sorprendere il lettore.

In sintesi, il gioco con le convenzioni linguistiche è una strategia postmoderna per mettere in crisi certezze consolidate, valorizzare la pluralità dei significati e mostrare come ogni discorso sia un atto interpretativo, soggetto a mutamenti, ambiguità e riscritture infinite.


Critica alla stabilità dei significati

Un'importante articolazione teorica del postmodernismo è rappresentata dal poststrutturalismo, una corrente filosofica che ha messo radicalmente in discussione la possibilità di ancorare il significato a strutture stabili e universali. A differenza dello strutturalismo, che riteneva possibile individuare sistemi profondi e ordinati alla base della cultura e del linguaggio, il poststrutturalismo sostiene che il significato è sempre instabile, fluido, differito.

Filosofi come Jacques Derrida, Michel Foucault e Roland Barthes sono stati protagonisti di questo orientamento. La loro riflessione nasce dalla convinzione che non esista un fondamento ultimo, un centro fisso da cui dipendere il senso, ma che ogni parola, concetto o testo si definisca solo per differenza rispetto ad altri, in un gioco continuo di rinvii.

Derrida, in particolare, ha introdotto il concetto di “différance”, un neologismo che unisce i significati di “differenza” e “differimento”: ogni segno linguistico non ha mai un significato pieno e presente, ma si definisce nel tempo, attraverso una catena infinita di altri segni. Non possiamo mai “fermare” il senso in modo definitivo, perché ogni tentativo di fissarlo genera nuove interpretazioni, ambiguità e slittamenti.

Questa critica alla stabilità del significato ha profonde conseguenze per la filosofia, la critica letteraria e le scienze umane in generale. I testi non vengono più letti come contenitori di verità o messaggi chiari, ma come spazi aperti all’interpretazione, dove coesistono molteplici livelli e prospettive. Il lettore non è più un ricettore passivo, ma un co-creatore del senso.

Il poststrutturalismo, inoltre, evidenzia come il linguaggio stesso sia carico di potere: ciò che può essere detto o pensato è determinato da strutture discorsive dominanti, e ogni produzione di senso è anche una produzione di ideologia. In questo senso, decostruire il linguaggio significa smantellare le gerarchie, rivelare i presupposti impliciti, e dare spazio alle voci marginalizzate o escluse.

In conclusione, il poststrutturalismo ci invita a considerare che ogni significato è provvisorio, contestuale e negoziato. Non esiste un’ultima parola, ma solo un dialogo continuo tra testi, lettori, contesti e interpretazioni: un processo aperto, mai concluso, che è al cuore della riflessione postmoderna.

Decentramento dell'autore e dell'io:

Uno dei contributi più significativi del poststrutturalismo alla filosofia contemporanea è la messa in discussione dell’autore come figura centrale e dell’“io” come soggetto stabile e autonomo. In contrasto con la tradizione umanistica, che aveva esaltato l’individuo come fonte unica di significato, i poststrutturalisti sostengono che l’identità dell’autore e del soggetto è decentrata, ovvero non si fonda su un nucleo interiore coerente, ma è il risultato di forze esterne, linguistiche, culturali e storiche.

Il saggio “La morte dell’autore” di Roland Barthes è emblematico in questo senso. Barthes afferma che attribuire un significato a un testo basandosi sulle intenzioni dell’autore è un errore: il testo vive indipendentemente da chi lo ha scritto, e il senso emerge nell’atto della lettura, nel rapporto tra testo e lettore. In altre parole, il significato non è imposto dall’alto, ma nasce da una rete di relazioni linguistiche e interpretative.

Similmente, Michel Foucault, nel suo intervento “Che cos’è un autore?”, analizza la funzione dell’autore come costruzione culturale e istituzionale. L’autore, per Foucault, non è tanto una persona reale quanto una funzione discorsiva, una figura regolatrice del significato che serve a delimitare, classificare e controllare i saperi.

Questa visione si accompagna a una più ampia critica del soggetto moderno, ovvero dell’idea che esista un “io” stabile, razionale e autosufficiente. In ambito poststrutturalista, l’“io” viene visto piuttosto come un prodotto dei discorsi, delle strutture sociali e delle convenzioni linguistiche. L’identità non è data una volta per tutte, ma è frammentaria, mutevole, attraversata da tensioni e contraddizioni.

Filosofi come Jacques Lacan hanno sottolineato il ruolo del linguaggio nella formazione del soggetto: secondo Lacan, l’io non è mai padrone di sé, ma è sempre “parlato” dal linguaggio, alienato in strutture simboliche che lo precedono. Anche Derrida insiste sul fatto che non possiamo accedere a una soggettività “pura”, poiché ogni discorso su di noi è mediato da segni e da differenze.

In questa prospettiva, l’io e l’autore non sono entità originarie o fonti assolute di senso, ma punti di intersezione tra forze molteplici: storiche, linguistiche, sociali, culturali. Questo decentramento ha conseguenze profonde per la teoria del testo, per la critica letteraria, per l’antropologia e persino per la politica, perché implica che ogni soggettività è costruita, contestata e potenzialmente trasformabile.

In definitiva, il poststrutturalismo ci invita a superare la centralità dell’autore e dell’io per concentrarci sulle dinamiche attraverso cui i significati e le identità vengono prodotti, decostruiti e ridefiniti all’interno di sistemi complessi.

Analisi delle strutture di potere

Uno degli aspetti più incisivi del poststrutturalismo è l’analisi delle strutture di potere che attraversano la lingua, la cultura e la società. I filosofi poststrutturalisti, in particolare Michel Foucault, hanno mostrato come il potere non sia solo una forza repressiva esercitata dall’alto, ma un insieme capillare e diffuso di pratiche, discorsi e relazioni che plasmano la soggettività, definiscono ciò che è normale, vero o accettabile, e strutturano l’esperienza umana.

Al centro di questa analisi c’è il concetto di discorso: per Foucault, i discorsi non sono semplici espressioni linguistiche, ma insiemi di regole e pratiche che producono effetti di verità, stabilendo chi può parlare, su cosa, in quali termini e con quale autorità. I discorsi non descrivono semplicemente il mondo, ma lo costituiscono, lo organizzano e lo governano.

Un altro concetto chiave è quello di soggettivazione: Foucault sostiene che gli individui diventano soggetti attraverso processi storicamente situati, che includono norme sociali, pratiche istituzionali, e dispositivi linguistici. Non nasciamo come soggetti autonomi, ma lo diventiamo in relazione a sistemi di potere e sapere che ci inquadrano, ci modellano e spesso ci vincolano.

Con la nozione di biopolitica, Foucault analizza invece come il potere moderno si eserciti anche sui corpi, sulla vita biologica, sulla salute, sulla riproduzione e sulla popolazione, attraverso istituzioni come la medicina, la scuola, la psichiatria, il diritto. Non si tratta solo di governare attraverso la legge, ma di gestire la vita stessa, in un intreccio profondo tra conoscenza scientifica e controllo sociale.

Altri pensatori poststrutturalisti, come Judith Butler, hanno proseguito su questa linea, mostrando come le identità di genere, ad esempio, siano prodotte da norme e pratiche ripetute, e non date per natura. Il potere, in questa prospettiva, non è qualcosa da cui si può semplicemente fuggire, ma una rete complessa in cui siamo sempre implicati, anche quando lo contestiamo.

In sintesi, l’approccio poststrutturalista al potere rompe con la visione classica del potere come dominio verticale, proponendo invece una visione orizzontale, reticolare e produttiva. Il potere non solo limita, ma produce soggetti, verità, saperi e significati. Analizzarne le strutture significa quindi anche aprire spazi di resistenza, mettere in discussione ciò che appare naturale o inevitabile, e ripensare le forme della libertà e della trasformazione sociale.

Deconstruzione

Uno degli apporti più originali del pensiero poststrutturalista è la deconstruzione, concetto centrale elaborato da Jacques Derrida. Più che una semplice tecnica interpretativa, la deconstruzione è un atteggiamento critico nei confronti dei testi, delle idee e delle strutture concettuali su cui si fondano la filosofia, la letteratura, la politica e la cultura occidentale.

Derrida parte dalla convinzione che ogni testo – filosofico, letterario, giuridico o scientifico – non è mai del tutto coerente. Anche le opere più rigorose contengono tensioni, contraddizioni, ambiguità che sfuggono al controllo dell’autore e che minano dall’interno la stabilità del significato. La deconstruzione si propone di far emergere queste faglie del senso, mostrando come ciò che appare saldo e fondato poggi in realtà su presupposti fragili, instabili o auto-contraddittori.

Uno degli obiettivi della deconstruzione è smascherare le gerarchie concettuali che dominano il pensiero occidentale: natura/cultura, maschile/femminile, scrittura/oralità, presenza/assenza, ragione/emozione. Derrida mostra come, in questi binomi, uno dei due termini sia solitamente privilegiato e l’altro subordinato. La deconstruzione non si limita a invertire questa gerarchia, ma cerca di dissolvere la struttura binaria stessa, rivelando che i due poli dipendono l’uno dall’altro in modo più profondo e instabile di quanto si pensi.

Per esempio, nel suo celebre testo La grammatologia, Derrida decostruisce l’opposizione tra scrittura e parola, mostrando che la scrittura non è un semplice segno secondario della voce, come sostenuto da molta filosofia occidentale, ma che essa rivela una differenza strutturale (da lui chiamata différance) che permea ogni forma di linguaggio. Questa différance indica una distanza tra segni, un rinvio continuo di significato che impedisce la presenza piena del senso.

La deconstruzione non è dunque distruzione, come a volte è stato erroneamente interpretato, ma lettura attenta e minuziosa, capace di cogliere ciò che il testo “dice senza volerlo dire”. È un invito a leggere tra le righe, a prendere sul serio i margini, i silenzi, gli slittamenti di significato.

In campo etico e politico, questo approccio ha avuto forti implicazioni: ha portato a mettere in discussione le verità universali, le categorie fisse dell’identità, i fondamenti dogmatici del diritto o della morale. La deconstruzione, in questo senso, non distrugge il significato, ma lo apre a nuove possibilità di senso, rendendolo più responsabile, più attento alla differenza, più sensibile all’alterità.

In conclusione, la deconstruzione è un esercizio critico di libertà: ci aiuta a pensare diversamente, a non dare per scontato ciò che sembra ovvio, e a rimanere vigilanti nei confronti delle strutture che regolano il nostro pensiero e la nostra società.

Femminismo e studi di genere

Femminismo e studi di genere hanno conosciuto una profonda trasformazione grazie all’influenza del poststrutturalismo, che ha fornito nuovi strumenti concettuali per mettere in discussione le categorie tradizionali di genere, identità e sessualità. A partire dagli anni ’80, molte pensatrici femministe hanno accolto le teorie poststrutturaliste per criticare la visione essenzialista del genere, secondo cui l’essere “donna” o “uomo” corrisponderebbe a tratti fissi e naturali.

Una delle figure più importanti in questo contesto è Judith Butler, che con opere come Gender Trouble (1990) ha rivoluzionato il pensiero femminista proponendo la teoria della performatività del genere. Secondo Butler, il genere non è qualcosa che si ha, ma qualcosa che si fa: non è un’identità innata, bensì un insieme di atti ripetuti, pratiche e discorsi che producono l’illusione di un’identità stabile. In questa prospettiva, “maschile” e “femminile” non sono categorie naturali, ma costruzioni culturali storicamente determinate.

Il poststrutturalismo ha anche aiutato a mettere in luce le relazioni di potere che plasmano il modo in cui il genere viene costruito e vissuto. Le norme sociali e linguistiche stabiliscono ciò che è accettabile o deviante, ciò che può essere detto, rappresentato, incarnato. Questo porta a un’importante presa di coscienza: non esiste un’unica esperienza del femminile o del maschile, ma una pluralità di soggettività che si muovono tra norme, resistenze e trasformazioni.

Anche il concetto di sessualità è stato riletto criticamente: ispirandosi al lavoro di Michel Foucault, molte teorie queer hanno mostrato come le identità sessuali siano effetti di pratiche discorsive e istituzionali, non realtà naturali preesistenti. Questo ha aperto la strada a un approccio più fluido e inclusivo alle identità, capace di accogliere la molteplicità delle esperienze di genere e orientamento sessuale.

In sintesi, grazie al contributo del poststrutturalismo, il femminismo e gli studi di genere hanno acquisito una nuova profondità teorica e politica, abbandonando le definizioni rigide dell’identità per abbracciare la complessità, la trasformazione e la differenza. Questo ha portato a pratiche teoriche e attiviste sempre più attente all’intersezionalità, ovvero al modo in cui genere, razza, classe, orientamento sessuale e altre dimensioni si intrecciano nel plasmare le esperienze individuali e collettive.

venerdì 18 aprile 2025

Corso di storia della filosofia: 109 Habermas 1929

 Jürgen Habermas 1929

 

Jürgen Habermas (1929) è un filosofo, storico e sociologo tedesco nella tradizione della Teoria critica della Scuola di Francoforte (formata anche da T. W. Adorno, M. Horkheimer, H. Marcuse, E. Fromm).
Nei suoi scritti occupano una posizione centrale le tematiche epistemologiche inerenti alla fondazione delle scienze sociali reinterpretate alla luce della "svolta linguistica" della filosofia contemporanea; l'analisi delle società industriali nel capitalismo maturo; il ruolo delle istituzioni in una nuova prospettiva dialogico emancipativa in relazione alla crisi di legittimità che mina alla base le democrazie contemporanee e i meccanismi di formazione del consenso.
La sua elaborazione filosofica lo ha visto sempre impegnato nella critica del metodo del conoscere oggettivamente. Questo lo ha condotto sulla via della fondazione di una nuova ragione comunicativa che egli ritiene che possa liberare l'umanità dal principio di autorità. Infatti considera che solo il paradigma conoscitivo intersoggettivo quale elemento fondativo di una nuova ragione comunicativa va ben al di là di un astratto paradigma della soggettività di cui peraltro sollecita l'abbandono.
Ha studiato a Gottinga (1949/50), Zurigo (1950/51) e Bonn (1951-54) dove nel 1954 si laurea con una tesi dal titolo: L'Assoluto e la storia. Sull'ambivalenza nel pensiero di Schelling.
Ottiene l'abilitazione nel 1961 a Marburgo con lo scritto Mutamenti di struttura dell'opinione pubblica. Ricerche su una categoria della società civile, pubblicato successivamente in Italia come Storia e critica dell'opinione pubblica. Da quel momento inizia la carriera come professore di filosofia all'Università di Heidelberg, dove insegna fino al 1964. Dal 1964 al 1971 Habermas è stato professore di filosofia e sociologia alla Goethe-Universität di Francoforte. Nel 1971 si trasferisce a Starnberg nei pressi di Monaco, dove insieme a Carl Friedrich von Weizsäcker guida il "Max-Planck-Institut per la ricerca delle condizioni vitali del mondo tecnico scientifico". Nel 1981 pubblica il suo lavoro più importante, Teoria dell'agire comunicativo.
Nel 1983 torna a Francoforte dove gli viene assegnata la cattedra di filosofia con specializzazione in filosofia sociale e filosofia della storia e nel 1994 viene nominato Professore Emerito.
La teoria habermasiana contiene una logica dei livelli di sviluppo dell'umanità. Si può affermare che tanto più il "sistema"si forma differenziando se stesso e aumentando la propria complessità tanto maggiore sarà la colonizzazione della Lebenswelt da parte del "sistema", e tanto più gli uomini interiorizzeranno le imposizioni eteronome e sociali come imposizioni autonome individuali.
Habermas è anche noto per aver elaborato insieme a Karl-Otto Apel l'Etica del Discorso nella quale appoggiandosi alla struttura etica di una situazione dialogica ideale fa riferimento alla Teoria degli atti linguistici per definire le condizioni preliminari del Discorso libero da condizionamenti.
Il discorso pubblico si pone come modello di un agire comunicativo che indica la possibilità di un'unione sociale non coercitiva, basata sul criterio di riconoscimento intersoggettivo non violento, orientato all'intesa. Ad esso si oppone l'agire strumentale organizzato dalle logiche della tecnica e del dominio.

Pensare stanca? | Etica e Complessità News 4 giugno 2025

  Pensare stanca? | Etica e Complessità News 4 giugno 2025 1. In Evidenza Post-umano e responsabilità etica: pubblicato il rapporto...