lunedì 31 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 91 ter Ricoeur 1913

Paul Ricoeur 1913

Paul Ricoeur Filosofo, nato a Valence (Drôme) il 25 febbraio 1913 da famiglia protestante. Laureato in filosofia nel 1935, insegnò in vari licei. Mobilitato nel 1939, fu catturato dai tedeschi e rimase prigioniero fino al 1945. Durante la prigionia studiò con Dufrenne la filosofia di Jaspers e lesse le Ideen di Husserl. Dopo la guerra, ottenuto il dottorato in lettere, è stato professore all'università di Strasburgo (dal 1952), alla Sorbona (dal 1956) e attualmente è professore di filosofia nella facoltà di lettere di Parigi-Nanterre e all'università di Chicago, dove occupa la cattedra che fu di P. Tillich. Dopo aver dato alle stampe i frutti delle esperienze esistenzialistiche e fenomenologiche fatte durante il periodo di prigionia (Karl Jaspers et la philosophie de l'existence [con M. Dufrenne], Parigi 1947; Gabriel Marcel et Karl Jaspers. Philosophie du mystère et philosophie du paradoxe, ivi 1948; trad. fr. delle Ideen di Husserl, ivi 1950), R. si è dedicato all'elaborazione di una Philosophie de la volonté, di cui sono sinora apparse le prime due parti: Le volontaire et l'involontaire, Parigi 1950, e Finitude et culpabilité (a sua volta bipartito: I. L'homme faillible; II. La symbolique du mal), ivi 1960, trad. it., Bologna 1970. Mentre la prima parte vuole presentare una fenomenologia dal cogito integrale, la quale tiene conto della corporeità e della sfasatura fra volontario e involontario, la seconda abbandona il terreno fenomenologico, fornendo, anziché un' "eidetica", un' "empirica" della volontà; la riflessione interpretativa sui simboli e sui miti consente di cogliere quella colpa che è all'origine della fallibilità umana e che l'approccio fenomenologico poneva fra parentesi. Nei lavori successivi R., anziché affrontare il tema della trascendenza, che avrebbe dovuto rappresentare l'oggetto della terza parte della sua filosofia della volontà (anch'esso infatti era posto fra parentesi dall'approccio fenomenologico), si è indirizzato, almeno per ora, a un approfondimento dei temi ermeneutici comportati dalla riflessione sul simbolo (De l'interprétation. Essai sur Freud, Parigi 1965, trad. it., Milano 1967; Le conflit des interprétations, ivi 1969; La métaphore vive, ivi 1975; Interpretation theory. Discourse and the Surplus of Meaning, Fort Worth 1976), sempre attento però al luogo linguistico in cui il sacro si annuncia e si rende presente (o, meglio, perennemente alla ricerca di tale luogo)

Corso di storia della filosofia: 91 bis Gadamer 1900

Hans-Georg Gadamer 1900

filosofo


Hans-Georg Gadamer (Marburgo, 11 febbraio 1900 – Heidelberg, 13 marzo 2002) è stato un filosofo tedesco, considerato uno dei maggiori esponenti dell'ermeneutica filosofica grazie alla sua opera più significativa, Verità e metodo (Wahrheit und Methode, 1960). È stato allievo di Paul Natorp e Martin Heidegger.
Il nucleo fondamentale della ricerca filosofica di Gadamer si muove sul terreno dell'ermeneutica. La parola "ermeneutica" è di etimo greco e rinvia alla hermeneutiké téchne [ρμηνευτική τέχνη], termine che allude a una costellazione di significati legati all'attività del tradurre, dell'interpretare, e che a sua volta deriva da hermeneúo [ρμηνεύω], verbo che riecheggia Hermes – il nunzio degli dèi.
In passato l'ermeneutica era una dottrina tecnica che si occupava dell'interpretazione dei testi sacri o delle leggi. Intesa nel senso disciplinare del termine, l'ermeneutica è un prodotto essenzialmente moderno. È in quest'epoca che Friedrich Schleiermacher apre la strada a quella che stava per diventare una disciplina filosofica vera e propria. Il problema posto dall'autore era di vedere quali fossero le condizioni preliminari del comprendere, per mezzo delle quali gli interpreti avrebbero potuto evitare ogni fraintendimento durante la ricostruzione (Hineinversetzung, letteralmente: trasferimento interno) dell'opera.
In questo senso, il compito dell'interprete consisteva non solo nel catturare le intenzioni esplicite dell'autore originario, ma di esplicitare la traccia del "non-detto" sotteso a ogni intento consapevole. Ma se per Schleiermacher il circolo ermeneutico era concluso grazie a un trasferimento empatico, per Wilhelm Dilthey, epistemologo delle scienze dello spirito, rimane un compito mai concluso né mai pacificato. Tuttavia, Dilthey riteneva ancora che la comprensione dovesse raggiungere la medesima oggettività propria delle scienze della natura.
In evidente opposizione alla pretesa di monopolio rivendicata dalla metodologia delle scienze empiriche, Martin Heidegger rappresenta un punto di svolta per la storia dell'ermeneutica. Egli prese a occuparsi del problema dell'ermeneutica per sviluppare, con intenti non più epistemologici ma ontologici, la struttura della precomprensione. Secondo Heidegger, infatti, il comprendere rappresenta un modo di essere dell'Esserci (Dasein), la cui esistenza è influenzata da una comprensione preliminare del mondo.
A partire da questo assunto, Gadamer giunge a interrogarsi sulle modalità del comprendere ermeneutico. Per Gadamer, non è possibile tornare indietro rivivendo il passato in modo oggettivo, poiché l'esistenza presente è influenzata da una serie di conoscenze stratificate che anch'egli chiama "pre-comprensioni" (Vorverständnisse) o, più semplicemente, "pregiudizi". Ora, sostiene Gadamer, quando ciascuno emette un giudizio è influenzato dalla propria visione del mondo (Weltansicht), che tuttavia non costituisce un inconveniente, bensì una condizione fondamentale del processo cognitivo.
È per questa ragione che egli può affermare che: "Di per sé, pregiudizio significa solo un giudizio che viene pronunciato prima di un esame completo e definitivo di tutti gli elementi obiettivamente rilevanti". Secondo questo punto di vista, il pregiudizio non va eliminato, ma abitato con una certa phrónesis ("saggezza", o meglio ancora "prudenza", termine che richiama il latino pro-videre ovvero la capacità di "guardarsi [se videre] intorno [pro]"), concetto che Gadamer recupera esplicitamente da Aristotele: "L'interprete", prosegue Gadamer, "non può proporsi di prescindere da sé stesso e dalla concreta situazione ermeneutica nella quale si trova". È così che si viene a configurare il "circolo ermeneutico". Ogni interpretazione è infatti influenzata dai nostri pregiudizi storici, nel senso che le nostre conoscenze che caratterizzano la comprensione del presente sono determinate da una continua stratificazione di nozioni che si formano grazie al costante dialogo tra l'opera e i suoi interpreti. Tale circostanza trova un'illustrazione nell'importante, e talvolta frainteso, concetto di "fusione degli orizzonti" (Horizontverschmelzung), il processo che porta il fruitore del testo all'interno del circolo ermeneutico, in cui si fondono due orizzonti: quello dell'interprete, formatosi entro la tradizione e la precomprensione del presente, e quello del testo, che porta con sé l'insieme di tutte le interpretazioni e tradizioni che ha vissuto.

Corso di storia della filosofia: 91 Scheler 1874

Max Scheler 1874


Max Scheler, Filosofo (Monaco di Baviera 1874 - Francoforte sul Meno 1928). Professore nelle univ. di Jena, di Monaco, di Colonia e di Francoforte. Dopo un saggio ispirato ancora alle prospettive del suo maestro R. Eucken (Die transzendentale und die psychologische Methode, 1900), S. si avvicinò alla fenomenologia husserliana, sviluppandola anzitutto in direzione dell'etica con una serie di scritti tra cui il più celebre e importante è Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik (1916). Il metodo fenomenologico consente infatti, secondo S., d'individuare degli oggetti completamente inaccessibili all'intelletto e disposti tra loro in un ordine eterno e gerarchico: i valori. L'accertamento del loro ordine, mediante un'intuizione "sentimentale", porta alla scoperta di leggi altrettanto precise ed evidenti di quelle della logica e della matematica e tali da rendere possibile la fondazione dei fenomeni morali, in contrasto con l'etica puramente formale di Kant. I valori devono poi essere accuratamente distinti nei loro diversi piani (o modalità), che vanno da quello dei valori connessi alla sensibilità (come il gradevole e lo sgradevole), a quelli vitali (come il benessere, il malessere, la salute, ecc.), a quelli spirituali (il bello, il giusto, il vero, i valori culturali in generale) e infine a quelli religiosi (il sacro). All'approfondimento di quest'ultimo tipo di valori tende la filosofia della religione, sviluppata soprattutto in Vom Ewigen im Menschen (1921), dove S. si avvicinò al cattolicesimo mettendo al centro della sua filosofia la concezione dell'amore come rapporto essenziale della persona umana con il Dio-persona. Su questa centralità della persona e dell'amore è pure fondata la sociologia di S., trattata soprattutto nel volume Die Wissensformen und die Gesellschaft (1926) e rivolta a una critica serrata della civiltà moderna, accusata di aver rovesciato in modo utilitaristico e pragmatistico quei valori di corresponsabilità e solidarietà sui quali soltanto si può sviluppare una "comunità personale" autentica. Negli ultimi anni della sua vita S. lavorò alla costruzione di un'antropologia filosofica, di cui pubblicò i primi risultati nel volume Die Stellung des Menschen im Kosmos (1928) e che rimase interrotta per la sua morte. In quest'ultima fase del suo pensiero S. si allontanò dalla concezione cristiana di Dio come pura trascendenza, attribuendo anche alla divinità quella dualità e quell'opposizione tra lo spirito, come razionalità, e l'istinto, come impulso, che sono costitutive dell'uomo, e considerando la storia come sviluppo del loro conflitto in vista della piena realizzazione del divino attraverso l'uomo e nell'uomo. Tra le altre opere di S. vanno ricordate: Vom Umsturz der Werte (1915), Wesen und Formen der Sympathie (1923), Schriften zur Soziologie und Weltanschauungslehre (1923-24), Philosophische Weltanschauung (post., 1929).

sabato 29 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 90 Hartmann 1882

Nicolaj Hartmann 1882

Nicolaj Hartmann filosofo (Riga 1882 - Gottinga 1950). Insegnò nelle univ. di Marburgo, Colonia, Berlino, Gottinga. H. si ricollega alla fenomenologia husserliana e al neokantismo della scuola di Marburgo, che però sposta sul piano di un intransigente realismo gnoseologico. Egli inoltre afferma la priorità del problema dell'essere sul problema del conoscere e la centralità della metafisica, la quale, a differenza della metafisica classica, deve limitarsi a conoscere l'irriducibile insolubilità e, nello stesso tempo, l'inevitabilità dei problemi fondamentali. Opere principali: Grundzüge einer Metaphysik der Erkenntnis (1921); Philosophie des deutschen Idealismus (2 voll., 1923-29); Ethik (1926); Zum Problem der Realitätsgegebenheit (1931); Das Problem des geistigen Seins (1932); Zur Grundlegung der Ontologie (1935); Möglichkeit und Wirklichkeit (1938); Der Aufbau der realen Welt (1940); Neue Wege der Ontologie (1942); Philosophie der Natur (1950); Kleinere Schriften (post., 3 voll., 1955-58).

venerdì 28 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 89 Heidegger 1889

Martin Heidegger 1889

HeideggerMartin. - Filosofo tedesco (Messkirch, Baden, 1889 - ivi 1976). Compì gli studi universitari a Friburgo in Brisgovia, dove conseguì la laurea in filosofia nel 1913 con una tesi su Die Lehre vom Urteil in Psychologismus, pubblicata nel 1914, e la libera docenza con H. Rickert nel 1916 con lo scritto su Die Kategorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus, pubblicato nello stesso anno. Esercitò la libera docenza all'univ. di Friburgo dal 1915 al 1923 e fu assistente di Husserl, che era succeduto a Rickert nel 1916. Nel 1923 fu chiamato come professore straordinario all'univ. di Marburgo. Nel 1927 pubblicò Sein und Zeit, sicuramente la sua opera più importante. Nel 1928 tornò all'università di Friburgo quale successore di E. Husserl e come professore ordinario, e nel 1929 pubblicò la prolusione Was ist Metaphysik?; nello stesso anno comparvero Kant und das Problem der Metaphysik e lo scritto Vom Wesen des Grundes. Nel 1933 fu eletto rettore dell'università di Friburgo, e aderì al nazionalsocialismo pronunciando la prolusione dal titolo Die Selbstbehauptung der deutschen Universität. Ma già nell'anno seguente si dimise da rettore e si distaccò completamente dalla vita politica dedicandosi esclusivamente all'insegnamento. Di questo periodo è la conferenza romana del 1936 su Hölderlin und das Wesen der Dichtung, pubblicata nel 1937, a cui seguirono nel 1942 il saggio su Platons Lehre von der Wahrheit, nel 1943 Vom Wesen der Wahrheit e infine, nel 1944Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung. Dal 1945 al 1951 gli fu vietato l'insegnamento dalle potenze occupanti e di questo periodo è l'importante Brief über den Humanismus (1946), dove prende le distanze dalle interpretazioni esistenzialistiche del suo pensiero e annuncia la "svolta" del pensiero in direzione del linguaggio come "dimora dell'essere"; molto importante pure la raccolta di saggi Holzwege (1950), in particolare per la concezione dell'arte come intrinseco accadere della verità e, quindi, per una concezione della verità diversa tanto dai modelli formali e scientificizzanti quanto dalle concezioni proprie delle forme correnti di storicismo. Nel 1951 H. poté riprendere l'attività di docente (dal 1952 come professore emerito) tenendo corsi e seminarî all'univ. di Friburgo e pubblicò una nutrita serie di scritti: nel 1953, l'Einführung in die Metaphysik, che riproduce il testo di lezioni tenute nel 1935; nel 1954Vorträge und Aufsätze e Was heisst Denken?; nel 1956Zur Seinsfrage; nel 1957Der Satz vom Grund e Identität und Differenz; nel 1959Unterwegs zur Sprache, l'opera forse più importante per le interpretazioni ermeneutiche della filosofia heideggeriana; nel 1961Nietzsche, due importanti volumi che riprendono corsi universitari degli anni Trenta e Quaranta e che hanno avuto un ruolo determinante soprattutto in Francia e in Italia per la ripresa del problema del nichilismo in rapporto agli sviluppi della metafisica e della tecnica come "destino" dell'Occidente; nel 1962Die Frage nach dem Ding e nel 1963Kants These über das Sein; nel 1970Phänomenologie und Theologie e nel 1971Schellings Abhandlung vom Wesen der Freiheit, dove sono riprese le lezioni del 1936 sullo stesso tema. Dal 1975 è in corso l'edizione completa delle opere di Heidegger. La straordinaria risonanza avuta da Sein und Zeit può apparire a prima vista sorprendente soprattutto se si pensa a quello che è propriamente il suo tema: riprendere quel problema della molteplicità dei sensi dell'essere che era già stato avvertito e impostato da Aristotele e dal pensiero greco, e che poi era stato sempre più relegato, in quanto "metafisica", nell'oblio o nell'insignificanza. Tuttavia la peculiarità di quest'opera e il fatto che, anche contro le intenzioni del suo autore, sia stata intesa come un manifesto della filosofia dell'esistenza si spiegano in quanto la ripresa del problema dell'essere passa necessariamente attraverso lo studio di quell'ente che è l'uomo o, come H. preferisce dire, l'"esserci" (Dasein). L'"esserci" infatti non è un ente che si trova soltanto in mezzo agli altri come una cosa, ma è sempre caratterizzato da un rapporto di "comprensione" preliminare dell'essere degli enti con i quali si trova in rapporto e del proprio essere; così pure l'"esserci" è un ente che, a differenza degli altri, ha come propria dimensione la capacità di interrogarsi sull'essere, di tematizzare esplicitamente il problema del senso dell'essere. L'ontologia quindi deve necessariamente prendere le mosse dall'"analitica esistenziale", ossia dallo studio dei modi in cui l'"esserci" si rapporta all'essere, "esiste" (questo è il senso specifico che H. attribuisce alla parola "esistenza" per indicare l'essenza dell'"esserci", a differenza dell'uso tradizionale che vedeva nell'esistenza la semplice realizzazione, attualità di essenze a essa presupposte); infatti non solo non è possibile attingere altrimenti o in forma diretta l'essere, ma ogni comprensione dell'essere è già sempre collegata al modo in cui l'"esserci" è costitutivamente disposto verso il mondo e verso gli altri. Perciò a differenza della tradizione, dove spesso la metafisica è intesa come sforzo di trascendere la finitezza, per H. metafisica e finitezza sono inscindibili, poiché l'interrogazione sull'essere avviene sempre necessariamente all'interno di un "esserci" che è un "progetto gettato", ossia di un ente che si trova sempre nel mondo come rinviato a degli altri enti e perciò stesso è finito. L'importante però è cogliere il senso della traiettoria che l'interrogazione sull'essere descrive all'interno della finitezza, poiché l'"esserci" si trova inizialmente "gettato" nel mondo in condizioni di "deiezione", ossia in un rapporto di dispersione e di impersonalità, quel rapporto che è ben espresso dall'uso corrente di nozioni come "si dice", "si fa", ecc. Dallo stato di deiezione in cui l'essere è celato a sé stesso, l'"esserci" viene fuori attraverso l'angoscia che non è il timore di questa o quella cosa determinata, bensì il senso della nullità totale e fondamentale dell'essere del mondo; è l'angoscia dunque che dischiude all'"esserci" il vero senso del suo rapportarsi agli enti prendendone "cura" e, viceversa, la cura non è un rapporto agli enti puramente teoretico o puramente pratico, bensì qualcosa di più originario e fondamentale, quale anticipazione del possibile esito di tale rapporto, un esser-già-sempre-avanti-a-sé dell'"esserci" nel suo considerarsi come possibilità. Ciò che consente però all'"esserci" di superare la dispersione di tali rapporti e in tali rapporti è l'anticipazione della morte quale unica possibilità autentica e totalizzante delle diverse possibilità dell'"esserci", che ne manifesta l'interna storicità e temporalità. L'uomo infatti "esiste" storicamente e temporalmente non perché vive "nel" tempo o in una storia che lo condiziona dall'esterno, ma perché propriamente l'essenza dell'"esserci", la sua "ex-sistenza", è un "temporalizzare", un di spiegarsi nelle dimensioni temporali, il passato, il presente, il futuro nell'orizzonte delle quali si colloca e spiega la comprensione dell'essere. Attraverso l'analitica esistenziale si giunge così non solo a comprendere come decisivo per l'ontologia il rapporto tra essere e tempo, ma anche a gettare nuova luce sull'intera storia della metafisica e a scoprirne i limiti; le concezioni inadeguate dell'essere o, addirittura, l'occultamento del problema dell'essere si rivelano infatti risultato non di errori più o meno casuali, ma del privilegiamento di una dimensione del tempo, e cioè del presente, per cui l'essere degli enti è stato ridotto alla loro presenza e disponibilità. L'inizio di questo processo - su cui H. torna ripetutamente nelle opere successive a Sein und Zeit - si ha in Grecia e con Platone, quando la verità, anziché come disvelamento dell'essere, viene intesa come idea, come presenza visibile all'intelletto, quindi come esattezza. Come espressione adeguata della verità viene quindi considerata la proposizione o, meglio, quelle forme di proposizione e di giudizio che siano conformi alle regole della logica, mentre soltanto nell'arte e nel linguaggio permane ancora traccia e sentore del significato originario della verità, occultato dalla metafisica. A sua volta la metafisica non va intesa come una semplice dottrina o una semplice parte della filosofia, bensì come qualcosa che ha permeato e permea in modo decisivo l'intera civiltà occidentale, determinandone il destino, e sta ora estendendo il suo dominio sull'intero pianeta, poiché se è scomparsa o ha perso credito come dottrina, in effetti si è realizzata attraverso la scienza e la tecnica come calcolo e volontà di potenza. Di qui l'importanza del confronto con Nietzsche che, secondo H., sta in un certo senso al culmine dello sviluppo della metafisica, poiché ne ha individuato con lucidità il carattere di volontà di potenza; anche Nietzsche però rientra nella storia della metafisica poiché non è stato abbastanza radicale nella sua critica della metafisica, in quanto ha ancora pensato in termini di "valori", auspicando con il "superuomo" la sostituzione dei valori ormai consunti e rivelatisi ingannevoli con altri nuovi e più autentici. Occorre invece andare a fondo nella critica della metafisica, mettendo in luce quanto di metafisico vi è anche nella nozione di uomo quale si è tradizionalmente affermata: per questo H., nella celebre polemica contro Sartre nel Brief über den Humanismus prende decisamente posizione contro qualsiasi forma di umanismo considerandolo solidale alla metafisica e all'oblio della differenza ontologica, ossia della differenza tra l'essere e gli enti da cui la metafisica è scaturita ed è condizionata. Questo tema è essenziale per comprendere l'interpretazione heideggeriana del nichilismo che non può essere considerato come qualcosa di semplicemente storico-culturale, come una forma di decadenza a cui si può reagire con questa o quella terapia culturale (come in un certo senso anche Nietzsche auspicava). Perfino il nichilismo come decadenza, il nichilismo per così dire "inautentico", si spiega soltanto in base al nichilismo "autentico", ossia alla funzione del nulla che condiziona la finitezza degli enti e la loro differenza dall'essere e che nella storia della metafisica è stato in parte celato e occultato. In un quadro così sconfortante della situazione contemporanea, una situazione di "indigenza" nella quale gli dèi del passato sono scomparsi, ma ancora non si intravede l'avvento di nuovi, il rapporto alla verità rimane sostanzialmente affidato all'"ascolto" dell'essere che ha la dimora nel linguaggio, all'interpretazione della parola dei poeti, secondo quella "svolta" del pensiero di cui H. ha parlato nel Brief über den Humanismus. Si afferma così un concetto di verità diverso da quello della logica e delle scienze e di cui si può considerare come testimonianza quell'"accadere" dell'opera d'arte che è un accadere intrinsecamente storico, proprio come il linguaggio è propriamente un'apertura di senso che è sempre "per via", essendo la verità un continuo sottrarsi e disvelarsi nell'orizzonte della finitezza. Per questi ultimi sviluppi il pensiero heideggeriano è stato accostato da un lato anche a correnti recenti del pensiero anglosassone come l'ultimo Wittgenstein e, più in generale, l'analisi del linguaggio comune, e, per altro verso, ha alimentato e promosso un rinnovato interesse per l'ermeneutica; proprio perché il linguaggio è l'autentica dimora dell'essere, l'interpretazione non è più un metodo peculiare di questa o quella scienza o disciplina, ma è il processo fondamentale del pensiero e si pone perciò al centro non solo della teologia e dell'estetica, della coscienza storica e della linguistica, ma dell'intera filosofia.

giovedì 27 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 88 Husserl 1859

Edmund Husserl 1859


Husserl , Edmund. - Filosofo tedesco (Prossnitz, od. Prostějov, Moravia, 1859 - Friburgo in Brisgovia 1938). Fondatore della moderna fenomenologia, ha fornito sostanziali contributi allo sviluppo di un concetto di filosofia come scienza a priori, teorizzando la messa tra parentesi (epochè) dei presupposti del senso comune (l'esistenza di una realtà esterna al soggetto, le caratteristiche psicologiche del soggetto stesso), al fine di raggiungere una condizione di contemplazione disinteressata che permette di cogliere l'essenza stessa dei fenomeni. Il suo pensiero ha avuto larga influenza su molti filosofi contemporanei: sull'esistenzialismo di M. Heidegger (soprattutto su Essere e tempo), sul pensiero di J.-P. Sartre e, in modo particolare, sulle ricerche di M. Merleau-Ponty (per non parlare della sua diffusione in ambito tedesco: v. per es. l'etica di M. Scheler). In campo psicologico F. Buytendjik e, per quanto riguarda la psicanalisi (analisi esistenziale), L. Binswanger, hanno avvertito le possibilità di applicazione dei metodi husserliani. Tra le sue opere principali: Philosophie als strenge Wissenschaft (1910); Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie (1913); Die Krisis der europäischen Wissenschaften, 1936). Laureatosi in matematica con una tesi sul calcolo delle variazioni, fu successivamente per breve tempo assistente di K. Weierstrass. Allievo di F. Brentano a Vienna (1884-86), ne subì profondamente l'influenza, e si dedicò poi in modo esclusivo alla filosofia. Fu professore a Gottinga (dal 1906) e a Friburgo (dal 1916) e diresse il Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung (11 voll., 1913-30). La sua prima opera (in cui sono rifuse le tesi di Über den Begriff der Zahl, 1887), la Philosophie der Arithmetik (1891), è una analisi dei concetti della matematica, ricondotti agli atti psicologici (la molteplicità, per es., è connessa all'atto del collegare) che ne costituirebbero il fondamento. Nel primo volume delle Logische Untersuchungen (Prolegomena zur reinen Logik, 1900), l'opera che inaugura la riflessione fenomenologica di H., la psicologia viene considerata ormai scienza empirica e ogni psicologismo rifiutato come inadeguato. Prende corpo l'idea di una filosofia come scienza rigorosa, come scienza a priori, autonoma. Con la già citata Philosophie als strenge Wissenschaft H. condanna qualsiasi spiegazione naturalistica e storicistica (come, per es., quella di W. Dilthey). Nasce la fenomenologia come "psicologia descrittiva", filosofia senza presupposti; le indagini dell'ultima parte delle Logische Untersuchungen, sul giudizio e il significato, propongono la teoria dell'intenzionalità come strumento privilegiato di analisi. Ogni coscienza è "coscienza di" (sia il suo oggetto un oggetto reale o no); essa implica necessariamente un correlato. L'esperienza, per poter essere determinata significativamente e diventare oggetto di discorso, per poter giungere a essere formulata in proposizioni necessarie e universali, deve pur sempre rinviare a una struttura, a un eidos, oggetto di una particolare intuizione, l'intuizione eidetica, anche se l'essenza stessa non può cogliersi che in un'intuizione dell'individuale. S'innesta a questo punto l'esigenza di prescindere, in un'analisi rigorosa, dai presupposti "obiettivanti" del senso comune e della teorizzazione scientifica, di prescindere cioè dall'"atteggiamento naturale", che inquadra e categorizza la realtà secondo presupposti impliciti, ma non per questo meno condizionanti (si presuppone, tra l'altro, l'esistenza di una "natura"). Si tratta di mettere il mondo tra parentesi (di ricorrere cioè all'epochè), di attuare la "riduzione fenomenologica", onde permettere il raggiungimento di un piano descrittivo puro e approdare a un'evidenza apodittica, tale cioè da non poter essere rifiutata. Il già citato studio Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie (3 voll.) rappresenta un approfondimento del pensiero di H. in questa direzione (s'introduce la distinzione tra noesi, atto della coscienza, e noema, contenuto, oggetto presente alla coscienza, da studiarsi nella peculiarità del suo esser-dato). Le analisi fenomenologiche precedenti avevano permesso a H. di fondare la logica e la matematica come scienze a priori e di aspirare nel contempo a un'ontologia comprensiva su base eidetica. H. si volge ora a elaborare ulteriormente la nozione di riduzione fenomenologica in direzione trascendentale; l'unico residuo che sfugge a qualsiasi riduzione è l'io trascendentale in quanto coscienza pura, pura soggettività, soggettività costituente; il fondamento della logica è anche quello dell'ontologia, ma entrambi rinviano a una soggettività trascendentale. È questa la fase più discussa (e meno accettata anche tra i fenomenologi) del pensiero di H. (Méditations cartésiennes, 1931). Gli ultimi scritti sviluppano l'idea di un io trascendentale correlato al mondo e propongono la tematica dell'intersoggettività, degli altri io, mettendo particolarmente l'accento sulla descrizione delle modalità della nostra esperienza comune, sui requisiti di coerenza e adeguatezza dei diversi tipi di esperienza, indagati "riflessivamente". Nell'ultima opera pubblicata, Die Krisis der europäischen Wissenschaften, H. vuole denunciare la crisi della scienza occidentale, originata dall'incapacità di analizzare i presupposti di quell'atteggiamento naturalistico che ormai la condiziona in modo definitivo; recuperare la dimensione di un'esperienza originaria (antepredicativa), recuperare il mondo della vita (Lebenswelt), attraverso una sempre più approfondita analisi fenomenologica, è ora il compito della filosofia. Tra le opere di H. pubblicate durante la sua vita sono da menzionare, oltre alle già citate, le Vorlesungen zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstseins, 1917, edite da M. Heidegger, e Formale und transzendentale Logik, 1929; tra le inedite Erfahrung und Urteil (post., 1939, a cura di L. Landgrebe). I manoscritti di H. (circa 40.000 pagine), trasportati dopo la sua morte a Lovanio, hanno permesso una riedizione critica delle sue opere nonché la pubblicazione d'importanti inediti, a cura degli Archives-H., diretti da H. van Breda. I volumi finora usciti comprendono tra l'altro gli inediti Die Idee der Phänomenologie (1907), Erste Philosophie (1923-24) e Phänomenologische Psychologie (1935).

mercoledì 26 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 87 Fenomenologia


Fenomenologia

La fenomenologia è una corrente filosofica nata all'inizio del XX secolo grazie al lavoro di Edmund Husserl, che ne ha delineato i principi fondamentali. Il suo obiettivo è quello di indagare l’esperienza umana nella sua forma più pura, mettendo da parte pregiudizi e interpretazioni preconcette per arrivare alla “cosa stessa”: il fenomeno, così come si manifesta alla coscienza.

Husserl propone un metodo rigoroso chiamato riduzione fenomenologica, attraverso il quale si sospende ogni giudizio sull’esistenza oggettiva delle cose (epoché) per concentrarsi esclusivamente su come le cose appaiono nell’esperienza vissuta. La coscienza, in questo senso, è sempre intenzionale: è coscienza di qualcosa, sempre rivolta verso un oggetto, un mondo, un significato.

La fenomenologia non è solo un metodo descrittivo, ma anche un tentativo di fondare la conoscenza su basi certe, partendo dall’esperienza diretta. Per Husserl, esplorare la struttura della coscienza significa anche gettare luce su concetti fondamentali come tempo, percezione, memoria, immaginazione.

Il progetto husserliano è stato ripreso e trasformato da filosofi come Martin Heidegger, che ha introdotto una prospettiva più ontologica. In Essere e tempo, Heidegger si concentra sull’esistenza concreta dell’essere umano, che chiama esserci (Dasein), e sulla sua apertura al mondo. Mentre Husserl si interrogava sulla coscienza, Heidegger si chiede che cosa significa essere, riportando la filosofia al problema dell’essere e dell’orizzonte temporale in cui si dà l’esistenza umana.

Anche Jean-Paul Sartre, pur essendo noto soprattutto come esistenzialista, ha inizialmente lavorato in ambito fenomenologico. Nella sua opera L’essere e il nulla, Sartre utilizza il metodo fenomenologico per analizzare la coscienza e la libertà, distinguendo tra l’“essere in sé” delle cose e l’“essere per sé” della coscienza, che è sempre in divenire e mai coincidente con sé stessa.

In sintesi, la fenomenologia ha segnato una svolta nella filosofia contemporanea, spostando l’attenzione dal mondo esterno al modo in cui il mondo viene esperito. Essa ha influenzato profondamente discipline come la psicologia, la sociologia, la pedagogia, e ha aperto la strada a nuove forme di pensiero, tra cui l’esistenzialismo, l’ermeneutica e la filosofia della mente.

martedì 25 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 86 Cassirer 1874

Ernst Cassirer 1874

Ernst Cassirer filosofo e storico tedesco della filosofia (Breslavia 1874 - New York 1945). Dal 1919 fu prof. e poi rettore nell’univ. di Amburgo. All’avvento del nazismo fu costretto, a causa delle sue origini ebraiche, a lasciare la Germania: fu prof. a Oxford (1934), a Göteborg in Svezia (1935), infine presso la Yale University (1941) e la Columbia University (1944) negli Stati Uniti. Formatosi alla scuola neokantiana di Marburgo, subì l’influsso di H. Cohen, la cui interpretazione del criticismo kantiano come idealismo logico fondante la legalità della scienza, vista come l’unica disciplina in grado di fornire un resoconto coerente dell’esperienza, è riconoscibile nel primo periodo della produzione di Cassirer. Dopo avere esaminato lo sviluppo storico della teoria della conoscenza nel pensiero filosofico e scientifico dal Rinascimento a Kant (Leibniz’ System in seinen wissenschaftlichen Grundlagen, 1902; Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, 4 voll., 1906, 1907, 1920 e 1950, trad. it. Storia della filosofia moderna), nella sua prima opera teorica, Substanzbegriff und Funktionsbegriff (1910; trad. it. Sostanza e funzione), C. analizzò la struttura logica degli ambiti fondamentali della scienza contemporanea. In questa analisi, il concetto di una sostanza indipendente dall’attività conoscitiva umana e garanzia dell’oggettività della conoscenza (concetto metafisico cardine almeno a partire da Aristotele) viene sostituito dal concetto di funzione, in base al quale l’oggettività della conoscenza è costituita dalle relazioni funzionali che l’intelletto stabilisce a priori tra i dati forniti dall’osservazione. A tale fondamento kantiano C. ricondusse anche la teoria einsteiniana della relatività (Zur Kritik der Einsteinschen Relativitätstheorie, 1921; trad. it. Sulla teoria della relatività di Einstein) e la meccanica quantistica (Determinismus und Indeterminismus in der modernen Physik, 1936; trad. it. Determinismo e indeterminismo nella fisica moderna). Nel contempo estese la stessa interpretazione kantiana alle altre sfere della cultura, tutte intese come autonome manifestazioni dell’attività conoscitiva dello spirito. Nella Philosophie der symbolischen Formen (3 voll., 1923, 1925 e 1929; trad. it. Filosofia delle forme simboliche) C. concepisce anche il mito, il linguaggio, la religione, l’arte, ecc., come forme simboliche per mezzo delle quali lo spirito dà un senso al reale. Tali forme, tra loro differenti a seconda del principio spirituale operante in esse ma unite dal fatto di essere creatrici di simboli (intuitivi o concettuali), permettono di eliminare la tradizionale contrapposizione tra epoche storiche in favore di una continuità funzionale tra le prime fasi mitico-magiche e quelle razionali della scienza contemporanea. Nel delineare la struttura complessiva del sistema delle forme simboliche, interagenti entro l’unità dello spirito, C., pur mantenendo ferma l’impostazione kantiana, risentì fortemente l’influsso della fenomenologia di Hegel. Il concetto di forma simbolica rimase il principio fondamentale delle sue successive opere teoriche: Zur Logik der Kulturwissenschaften (1942; trad. it. Sulla logica delle scienze della cultura); An essay on man (1944; trad. it. Saggio sull’uomo); The myth of the State (1946; trad. it. Il mito dello Stato). All’elaborazione del concetto di forma simbolica corrispose un ampliamento dell’interesse storiografico di C., che trovò espressione in numerose opere: Freiheit und Form (1916; trad. it. Libertà e forma); Kants Leben und Lehre (1918; trad. it. Vita e dottrina di Kant); Idee und Gestalt (1921); Individuum und Kosmos in der Philosophie der Renaissance (1927; trad. it. Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento); Die Philosophie der Aufklärung (1932; trad. it. La filosofia dell’Illuminismo).

lunedì 24 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 85 Gentile 1875

Giovanni Gentile 1875


Filosofo e storico della filosofia (Castelvetrano 1875 - Firenze 1944). Discepolo alla Scuola normale superiore di Pisa di D. Jaja (che lo avvicinò al pensiero di B. Spaventa), di A. D'Ancona e di A. Crivellucci; professore nelle università di Palermo (1906-13), Pisa (1914-16), Roma (dal 1917); direttore (1929-43) della Scuola normale superiore di Pisa, di cui promosse l'ampliamento e lo sviluppo; collaboratore con B. Croce per un ventennio nella redazione della Critica e nell'opera di rinnovamento della cultura italiana; fondatore (1920) e direttore del Giornale critico della filosofia italiana; ministro della Pubblica Istruzione (ott. 1922 - luglio 1924); senatore del Regno (dal nov. 1922); socio nazionale dei Lincei (1932); presidente dell'Accademia d'Italia (dal nov. 1943). Considerò il fascismo come il continuatore della destra storica nell'opera del Risorgimento, e ad esso aderì; ma si tenne lontano, soprattutto nella collaborazione intellettuale, da ogni intransigenza verso persone di opposti convincimenti. Dopo essere stato ministro della Pubblica Istruzione, abbandonò la politica attiva, dedicandosi, oltre che agli studî, alla promozione e organizzazione d'imprese culturali (tra cui l'Enciclopedia Italiana, di cui fu anche il direttore scientifico). Il 24 giugno 1943 riapparve alla ribalta politica con un discorso sul Campidoglio, in cui auspicava, come italiano e "non gregario di un partito che divide", l'unione di tutte le forze per la salvezza del paese, che era sull'orlo della sconfitta. Nella seconda metà di novembre fu nominato da B. Mussolini presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita in quei frangenti a Firenze. E a Firenze fu ucciso da un gruppo di giovani aderenti ai GAP (gli scritti suoi di quel tragico periodo furono poi raccolti dal figlio Benedetto nel volume: G. Gentile: dal discorso agli Italiani alla morte, 1950). La filosofia di G. (La riforma della dialettica hegeliana, 1913; Teoria generale dello spirito come atto puro, 1916; I fondamenti della filosofia del diritto, 1916; Sistema di logica, 2 voll., 1917-23; Discorsi di religione, 1920; Filosofia dell'arte, 1931; Introduzione alla filosofia, 1933; Genesi e struttura della società, post., 1946) s'incentra sul concetto del pensiero come "atto puro"; donde la denominazione di "attualismo" o "idealismo attuale" da essa assunta. Tale concetto è inteso non, come in Aristotele, quale realtà priva di potenza e quindi perfettamente realizzata, bensì come realtà che è lo stesso processo di realizzazione, ossia come pensiero pensante o pensiero in prima persona o Io (risolvente in sé tutto il reale naturale o storico), il quale "è" tale in quanto "non è" già o di fatto, ma "diviene", si fa. Pertanto l'Io - in cui G. ritrova l'io trascendentale di I. Kant liberato dal noumeno e da ogni dualismo di attività teoretica e pratica - si pone come sintesi "attuosa" di coscienza di sé e coscienza di altro da sé, o come autodeterminazione dell'"autoconcetto" nel "concetto", il quale è il "risultato in cui termina un processo dinamico vivo". In questa conciliazione della fermezza del pensato e della dinamicità del pensare (in cui il primo è contenuto e risolto), G. trova l'inveramento della logica aristotelica, o dell'identità, e della logica hegeliana, o dialettica. Con la critica e la negazione di ogni presupposto dell'attività dell'Io, e quindi di ogni dualismo (di natura e spirito, finito e infinito, ecc.), si afferma l'assoluto spiritualismo o immanentismo. Tale concezione, che risolve tutta la realtà e ogni forma della vita spirituale nell'atto del pensiero, identifica questo ultimo con la filosofia o autocoscienza, quale mediazione dialettica dell'arte e della religione, concepita l'una come momento della pura soggettività o sentimento e l'altra come momento della pura oggettività; e conduce parimenti all'identificazione di storia e filosofia, come risoluzione del passato nel presente eterno dell'atto. Dalla concezione attualistica G. ricavò, rispetto al problema educativo (Sommario di pedagogia, 2 voll., 1913-14; La riforma dell'educazione, 1920; Educazione e scuola laica, 1921; Preliminari allo studio del fanciullo, 1924), due principali conseguenze: l'identità di pedagogia e filosofia e il concetto dell'autonomia dell'educando, onde l'educazione, quale processo unificatore di educando ed educatore, è propriamente autoeducazione. Queste idee presiedettero alla riforma della scuola del 1923, attuata da G. ministro della Pubblica Istruzione (i cui scritti e discorsi furono poi raccolti nel volume La riforma della scuola in Italia, 1932). Tale riforma (la più organica dall'unificazione d'Italia in poi) concepiva la scuola come funzione essenziale dello stato; tuttavia consentì, in omaggio al principio della libertà d'insegnamento, l'istituzione di scuole private, a fianco di quelle pubbliche, ma con il controllo dello stato sulle une e le altre mediante l'"esame di stato", che doveva altresì accertare la maturità del candidato; intese sostituire all'istruzione manualistica e informativa quella formativa che si basa sul contatto diretto con gli autori classici; riconobbe, in antitesi all'indirizzo strettamente intellettualistico della scuola tradizionale, il valore dell'educazione estetica e di quella religiosa; promosse l'educazione fisica e sportiva; rinnovò le scuole di tipo moderno e professionale. Notevole anche il suo impegno nel campo dell'estetica e della critica letteraria (Frammenti di estetica e letteratura, 1921; Manzoni e Leopardi, 1928; Filosofia dell'arte, 1931; Studi su Dante, post., 1965). Teorizzando l'arte come il momento dialettico dell'immediato sentimento, che si media esprimendosi e incarnandosi nel pensiero o filosofia, di cui è l'"anima ascosa e presente", egli assegnò alla critica (in ciò intendendo riallacciarsi fedelmente a F. De Sanctis) il compito di ricercare nell'artista l'uomo, ossia di considerare la forma come la concretezza di un contenuto reale (la concezione morale, la fede religiosa, il credo politico, ecc., di un artista). Pertanto un'opera di poesia non viene spezzata in poesia e non poesia, poesia e struttura, ma valutata nella sua unità e organicità, come opera di poesia e insieme di pensiero. G. ha svolto opera vastissima anche come storico della filosofia, attento soprattutto allo svolgimento della filosofia italiana: dallo studio Rosmini e Gioberti (1898, in cui riprendeva la sua tesi di laurea) ai volumi Dal Genovesi al Galluppi (1903), La Filosofia (nella Storia dei generi letterari it., 1904-15, poi ripubblicato col titolo Storia della filosofia italiana fino a L. Valla), I problemi della scolastica e il pensiero italiano (1913), Le origini della filosofia contemporanea in Italia (4 voll., 1917-23), G. Capponi e la cultura toscana del sec. XIX (1922). La sua opera storiografica, in cui si avverte l'influenza della prospettiva hegeliano-spaventiana (per cui la storia della filosofia è l'attuarsi progressivo dello spirito), è ricca di contributi puntuali (come gli Studi vichiani, 1915, e i due volumi sul Rinascimento: Studi sul Rinascimento, 1923; Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, 1920; poi ripubblicato in 3ª ed., 1939, col titolo Il pensiero italiano del Rinascimento), nonché di ricerche erudite e di edizioni di testi soprattutto di filosofi italiani (da ricordare la collaborazione all'ed. di G. Vico e l'ed. dei Dialoghi metafisici e dei Dialoghi morali di G. Bruno). Da tale opera la storiografia filosofica ha ricevuto grande impulso, e molta influenza hanno esercitato certi suoi schemi interpretativi. G., che alla scuola aveva dato il meglio di sé, ebbe una folta schiera di discepoli e seguaci che, per un certo periodo, fecero dell'attualismo il sistema filosofico caratteristico della vita culturale italiana; negli ultimi anni di vita del filosofo, tuttavia, ebbe luogo un processo che doveva portare allo sfaldamento dell'unità del movimento attualistico, il quale si divise in due opposti indirizzi: l'uno teso a svilupparne i principî in forme di estremo storicismo e problematicismo, l'altro centrato sul tentativo di conciliarlo con la trascendenza e il teismo tradizionali.


domenica 23 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 84 Croce 1866

Benedetto Croce 1866


Filosofo e storico (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 - Napoli, 20 novembre 1952). Studiò a Napoli, che divenne presto la sua dimora abituale. Scampato dal terremoto di Casamicciola (1883) in cui perdette i genitori, fu accolto a Roma in casa dello zio Silvio Spaventa, e vi rimase sino al 1886; ivi intraprese gli studî di giurisprudenza che non continuò, preferendo dedicarsi ai corsi universitarî di etica di Antonio Labriola. Tornato a Napoli, si diede a indagini erudite, ma presto l'erudizione - che pure coltivò poi sempre con geniale dottrina - gli si palesò insoddisfacente, e sentì il bisogno, tipico/">tipico in lui, di trasferire i suoi interessi mentali su un piano di riflessione critica. Primo segno d'una revisione radicale in senso filosofico del suo atteggiamento è la memoria su La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte (1893). Ha inizio così una fervida opera da cui la cultura italiana uscì rinnovata, opera in cui il C. ebbe lungamente compagno Giovanni Gentile, finché ragioni speculative prima e poi politiche non ruppero l'accordo dei due filosofi, e che ha come documento, oltre che le opere dell'uno e dell'altro, le annate de La Critica, fondata nel 1903, la quale rappresentò l'insigne organo del rinnovamento. Senatore dal 1910, ministro dell'Istruzione con Giolitti (da lui sempre ammirato) nel 1920-21, assunse nel 1925, dopo che il fascismo si fu dichiarato nella sua essenza totalitaria, deciso atteggiamento di opposizione, redigendo il Manifesto degli intellettuali antifascisti, i quali guardarono poi sempre a lui come a un esempio. Caduto il fascismo, tornò per breve tempo alla vita politica attiva, come ministro senza portafoglio nel gabinetto Badoglio (aprile-giugno 1944) al quale parteciparono i sei partiti antifascisti del CLN, e nel primo gabinetto Bonomi (costituito il 18 giugno, ma il C. si dimise il 27 luglio); tenne sino al 1947 la presidenza effettiva del Partito liberale e sino al 1948 quella onoraria, fu consultore, deputato alla Costituente e dal 1948 senatore di diritto. Nel 1947 fu nominato socio onorario dell'Accademia dei Lincei, della quale era stato in passato (1923-35, 1945) socio nazionale; nello stesso anno fondò a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici, a disposizione del quale aveva posto la sua biblioteca, forse la più importante biblioteca privata d'Italia. Cardine fondamentale del sistema crociano è il nesso o dialettica dei "distinti", come integrazione della hegeliana dialettica degli "opposti". Con esso il C. intese rivendicare la distinzione e autonomia delle forme dello spirito. Carattere peculiare dell'attività del C. è il costante parallelismo tra la sua opera di filosofo e quella di indagatore di specifici problemi storici, letterarî, politici, ecc.: la sua filosofia, da lui appunto concepita come "metodologia della storia", s'invera assiduamente nel concreto. ▭ Il giovane C. parte nella sua battaglia contro il positivismo dalle posizioni spiritualistiche del De Sanctis e dallo storicismo del Vico, e "storicismo assoluto" è appunto la definizione ultima, da lui stesso offerta, del suo pensiero. Insufficiente, sin dall'inizio, gli apparve il positivismo a chiarire le ragioni della poesia e della storia, ambedue per il C. conoscenza dell'individuale e pertanto non riducibili a classi di fenomeni naturalisticamente intese, e non spiegabili meccanicisticamente. La storiografia si distingue, senza negarla, dalla scienza, essa - affermò il C. all'inizio - può esser ridotta al concetto generale dell'arte, ma l'ulteriore sviluppo della sua indagine è volto a distinguere tra arte e storia: la prima è una forma di conoscenza che si distingue dalla storica e dalla scientifica, in quanto è "intuizione", indipendente dalla conoscenza razionale, dall'utilità e dalla morale, e s'identifica con la sua espressione. Ma certamente l'estetica crociana presenta anche, in nuce, una teoria dello spirito, in cui, accanto all'attività teoretica, è formulata una teoria dell'attività pratica. Il Croce aveva maturato questa parte del suo pensiero attraverso le suggestioni che prima dell'elaborazione dei suoi pensieri sull'arte gli erano venute dallo studio della filosofia del Marx e dall'amicizia con il Labriola. Già da questo il materialismo di Marx veniva opposto, come metodo e teoria storiografica, al filologismo indifferente e sterile. Il C. chiarisce l'essenza di questa nuova problematica del materialismo marxista nella necessità di determinare il posto che nella vita dello spirito spetta all'attività economica. E mentre il marxismo aveva concepito la realtà economica come condizione o struttura, C. fa dell'economicità una delle forme della spiritualità, ponendo, accanto alle categorie tradizionali del Bello (estetica), del Buono (morale), del Vero (logica), la quarta categoria dell'Utile (economica). Ma con questa accettazione del momento economico, che è anche limitazione di esso, C. si sottrae alla suggestione del marxismo, che gli appare ormai errore filosofico; esso però permette al C. di riprendere e sistemare la teoria romantica della politica come pura economicità non tiranneggiata da esigenze etiche, e di ricongiungersi, ancora più indietro, al Machiaveili. ▭ Per dare una compiuta teoria del giudizio estetico e di quello logico, il C. doveva peraltro indagare la sfera specifica nella quale lo spirito, fattosi autocosciente, elabora i predicati del giudizio. Questo compito è affrontato nella Logica, e il problema è avviato a soluzione con la distinzione, che il C. introduce in questa opera, tra concetti puri e pseudoconcetti, cioè tra ragione e intelletto. L'intelletto astratto viene rigettato fuori dei confini dell'attività conoscitiva, in quelli dell'attività pratica, conformemente alle indicazioni e alle conclusioni cui per altre vie e con altri intenti era giunta la gnoseologia e metodologia delle scienze, partendo dal seno stesso del positivismo. Liberatosi dagli impacci degli pseudoconcetti, il C. elabora la teoria del concetto puro, che vive nel giudizio. E infine, con l'identificazione di giudizio esistenziale, o individuale, e giudizio definitorio, compie il passo decisivo, rivelando l'insopprimibile storicità di ogni giudizio, che è il coronamento dell'edificio filosofico di C. e il delicato punto in cui storia e filosofia operano una reciproca integrazione. Tuttavia, una simile ampia sistemazione non sarebbe del tutto intelligibile se non se ne chiarisse ancora un presupposto, che è quello dell'incontro diretto del pensiero del C. con quello di Hegel (Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, 1906), del quale, attraverso lo studio del marxismo e "mercé l'amicizia e la collaborazione col Gentile", aveva già avuto a risentire. Al C. si era venuta rivelando una visione della realtà la quale, per la concezione dei distinti, si ordina e circolarmente trapassa in forme diverse e ritornanti, in una guisa che può apparire del tutto pacifica. Il C. accordò tale concezione con la dialettica propria dell'hegelismo, la quale sottolinea il momento della lotta e del contrasto tra gli elementi che danno struttura alla realtà, mostrando invece che il momento negativo in una forma distinta non è altro che la positività di un altro distinto che al primo si surroga, per cui alla realtà non viene a mancare l'anelito dialettico e la spinta al divenire, ma non manca nemmeno la capacità di presentarsi positiva ed equilibrata in ogni suo momento. In tal modo una teoria della storiografia era orma i compiuta. Essa imponeva al filosofo-storico di adeguare il suo pensiero e di cogliere i suoi problemi in una realtà che continuamente si rinnova.
Gli eventi pubblici seguiti alla prima guerra mondiale lo indussero poi a trasformare i suoi concetti interpretativi della realtà in precetti e norme di vita: nacque così il suo liberalismo; come prima aveva rivendicato l'autonomia della politica, così ora, di fronte a violente ideologie politiche che danno sanzione etica allo stato, è indotto a rivendicare, nel quadro della distinzione, l'autonomia e l'alterità della vita morale rispetto all'attività politica. Il ripensamento e la colorazione etica dei concetti fondamentali del sistema diventano nota caratteristica di questa seconda fase della vita del filosofo, e da essa sgorga gran parte della produzione del C. storico, che è tutta rivolta alla contemplazione e all'esaltazione delle forze morali che operano nella storia. C. teorizza questa esperienza nella distinzione di storiografia puramente economica e di storiografia etico-politica, nell'idea della storia come storia della libertà e della libertà come ultima religione dell'umanità.
La metodologia degli studî letterarî e storici è uscita profondamente rinnovata dall'insegnamento del Croce. Lo studio della poesia, come d'ogni altra arte, deve tendere - egli insegnò - all'individuazione della personalità dell'artista; tutto ciò che è esterno a lui può concorrere a spiegarlo ma non lo condiziona ai fini dell'accertamento della sua poesia; è assolutamente inefficiente, anzi dannoso, un raggruppamento storico degli artisti; storia dell'arte non è possibile fare, e tanto meno storia di singoli generi letterarî che sono astrazioni di critici, non realtà. Le ricerche care al vecchio "metodo storico" sono bensì legittime, ma solo al servizio della ricostruzione storica d'una determinata cultura o civiltà, non mai per la vera comprensione d'un poeta o artista. La storia, a sua volta, è sempre contemporanea, nel senso che essa è legata al presente, nella persona e nell'ambiente dello storico, che muove sempre nell'opera sua da proprî interessi attuali. La storiografia non è cronaca grezza di avvenimenti, ma ricostruzione e giudizio dei fatti, sintesi di intuizione e concetto; è sempre "etico-politica", cioè storia della vita morale e civile dell'uomo. Il linguaggio è creazione individuale, e quindi atto spirituale, espressione di fantasia e non di logica, è dunque sinonimo di poesia; la linguistica, com'è tradizionalmente intesa, cioè come studio di suoni, di forme, di significati, ecc., ha la sua legittimità, ma come studio di fatti sociali. E si tacciono qui gli insegnamenti del C. in molti altri campi di studio, anche lontani da quelli da lui coltivati (per es., nella filologia testuale); ma non può essere taciuto che nella storia della prosa italiana moderna, la prosa del C., così limpida e precisa, senza sbavature di sorta, sostenuta ma senza pedanterie e leziosaggini, rappresenta un momento di notevole importanza. Pertanto il C., anche se non gli mancarono critici e avversarî talvolta violenti, appare come la figura di maggior rilievo della vita culturale italiana della prima metà del Novecento.

Tra le opere di critica e storia letterarie: Saggi sulla letteratura italiana del Seicento (1911); La letteratura della nuova Italia (6 voll., 1914-40); Goethe (1919); AriostoShakespeare e Corneille (1920); La poesia di Dante (1921); Poesia e non poesia (1923); Storia dell'età barocca in Italia (1929); Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento (1931); Poesia popolare e poesia d'arte (1933); Nuovi saggi sul Goethe (1934); Poesia antica e moderna (1941); Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento (3 voll., 1945-52); La letteratura italiana del Settecento (1949); Letture di poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia (1950). Tra le sue opere filosofiche, fondamentale è la Filosofia dello spirito in tre volumi (Estetica come scienza della espressione e linguistica generale, 1902; Logica come scienza del concetto puro, 1909; Filosofia della pratica, 1909), a cui poi si aggiunse la Teoria e storia della storiografia, 1917 (uscita però già nel 1915 in lingua tedesca a Tubinga: Zur Theorie und Geschichte der Historiographie). Altri scritti filosofici: Materialismo storico ed economia marxista (1900), Problemi di estetica (1910); La filosofia di GBVico (1911); Cultura e vita morale (1914); Nuovi saggi di estetica (1920), in cui è compreso il Breviario di estetica (1913); Etica e politica (1931); Ultimi saggi (1935); La poesia (1936); La storia come pensiero e come azione (1939); Il carattere della filosofia moderna (1941); Discorsi di varia filosofia (2 voll., 1945); Filosofia e storiografia (1949); Storiografia e idealità morale (1950); Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici (1952). Tra gli scritti di storia etico-politica: La rivoluzione napoletana del 1799 (1912); Storia del Regno di Napoli (1925); Storia d'Italia dal 1871 al 1915 (1928); Storia d'Europa nel secolo decimonono (1932). Scritti varî: Contributo alla critica di me stesso (1918); Conversazioni critiche (5 voll., 1918-1939); Storia della storiografia italiana nel secolo XIX (2 voll., 1921). Nel 1951 fu pubblicata nei "classici Ricciardi", a cura dello stesso C., un'antologia delle sue opere (Filosofiapoesiastoria), con una compiuta cronologia. 

sabato 22 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 83 Spengler 1880

Oswald Spengler 1880


Oswald Spengler è stato un filosofo, storico e teorico tedesco, noto principalmente per il suo lavoro "Der Untergang des Abendlandes" (Il tramonto dell'Occidente). Nato il 29 maggio 1880 a Blankenburg, nell'Impero tedesco, e morto il 8 maggio 1936 a Monaco di Baviera, Spengler è stato una figura importante nel panorama intellettuale del suo tempo. "Il tramonto dell'Occidente", pubblicato in due volumi nel 1918 e nel 1922, è l'opera più conosciuta di Spengler. In questo lavoro, egli ha sviluppato una prospettiva storica e filosofica che proponeva un'interpretazione ciclica della storia delle civiltà umane. Spengler affermava che le culture umane seguono un ciclo di crescita, sviluppo, declino e caduta, e ha identificato diverse fasi nella storia delle civiltà. Secondo la teoria di Spengler, le culture hanno una fase di giovinezza, una fase di maturità e una fase di declino, paragonando le civiltà a organismi biologici. Egli ha applicato questa teoria a diverse civiltà, tra cui la civiltà greca, la civiltà romana, la civiltà egizia e l'Occidente europeo. La sua prospettiva era pessimistica riguardo al futuro dell'Occidente, vedendo nella modernità e nella società borghese un segno del declino. "Il tramonto dell'Occidente" ha suscitato reazioni contrastanti e controversie, alcuni lo hanno elogiato come una visione profetica della storia, mentre altri l'hanno criticato per la sua mancanza di rigore scientifico e per la sua tendenza al fatalismo. Tuttavia, il lavoro di Spengler ha influenzato notevolmente il pensiero storico e filosofico del XX secolo. Oltre al suo lavoro principale, Spengler ha scritto altri libri e saggi, tra cui "Preußentum und Sozialismus" (Prussianesimo e Socialismo) e "Jahre der Entscheidung" (Anni di Decisione), che approfondiscono i suoi punti di vista sulla storia, la cultura e la società. La sua eredità intellettuale continua a essere oggetto di studio e discussione nel campo della storia e della filosofia.

venerdì 21 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 82 Dilthey 1833


Wilhelm Dilthey
(1833–1911)

Il filosofo della comprensione storica della vita

 Contesto e appartenenza

  • Corrente filosofica: Storicismo, ermeneutica filosofica, filosofia della cultura
  • Contesto: Germania post-hegeliana, reazione al positivismo e al naturalismo
  • Obiettivo: fondare una filosofia delle scienze dello spirito (Geisteswissenschaften), alternativa al metodo delle scienze naturali

 Idea centrale

Dilthey sostiene che la vita umana può essere compresa solo storicamente, attraverso un processo di interpretazione del vissuto.

🔍 “Noi spieghiamo la natura, ma comprendiamo la vita”

Concetti chiave

Concetto Spiegazione
Scienze dello spirito Saperi come storia, arte, religione, filosofia, psicologia: vanno interpretati, non misurati
Comprendere (Verstehen) Atto empatico, storico e soggettivo: si coglie il senso interno dell’esperienza umana
Vita (Leben) Fenomeno storico, fluido, concreto: non si riduce a schemi astratti
Ermeneutica Metodo interpretativo per comprendere testi, azioni, istituzioni nel loro contesto storico
Storicità del pensiero Ogni idea nasce e va capita nel suo tempo: non esistono concetti universali avulsi dalla storia

📘 Opere principali

  • Introduzione alle scienze dello spirito (1883)
  • Costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito (postumo)
  • L’esperienza vissuta e la poesia
  • Frammenti di una Critica della Ragione Storica

Dilthey vs. Positivismo

Aspetto Positivismo Dilthey
Metodo Spiegazione causale Comprensione interpretativa
Oggetto Natura Vita, cultura, storia
Epistemologia Oggettività, legge generale Contesto, significato, soggettività
Obiettivo Prevedere e controllare Comprendere e interpretare l’esperienza

Frasi celebri

  • “La vita non si lascia chiudere in concetti astratti”
  • “Il fondamento delle scienze dello spirito è l’esperienza vissuta”

Influenza

  • Fondatore dell’ermeneutica moderna (ispira Heidegger, Gadamer, Ricoeur)
  • Pioniere della psicologia storica e della storia delle idee
  • Alternativa a Hegel: storicità senza teleologia
  • Precursore della filosofia della cultura

giovedì 20 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 81 Storicismo


STORICISMO FILOSOFICO

La realtà umana si comprende solo attraverso la storia

 Cos’è lo storicismo?

Lo storicismo è una corrente filosofica secondo cui ogni realtà umana – idee, valori, istituzioni, cultura – può essere compresa solo nel suo sviluppo storico.

🧭 La verità non è atemporale o assoluta, ma storicamente situata.

 Principi fondamentali

  • Centralità della storia: la realtà è un processo in divenire
  • Contestualismo: ogni concetto va compreso nel proprio contesto storico
  • Relativismo storico: non esistono verità eterne, ma verità storiche
  • Identità tra ragione e storia: il pensiero si sviluppa nella storia
  • Critica all’astrazione: rifiuto di principi universali avulsi dal tempo

Origini e sviluppi

Epoca Autori chiave Contributo
Antichità Polibio, Agostino Prime riflessioni cicliche o provvidenziali
Idealismo tedesco (XIX sec.) G. W. F. Hegel La Storia come manifestazione dello Spirito razionale
Storicismo tedesco Wilhelm Dilthey Contrappone scienze storiche (Geisteswissenschaften) alle scienze naturali
Storicismo italiano Benedetto Croce, Giovanni Gentile “Tutto è storia”: la realtà è atto storico dello spirito
XX sec. Collingwood, Ortega y Gasset, Gadamer Filosofia della storia, ermeneutica, crisi della modernità

🔍 Storicismo vs. altre correnti

Corrente Contrasto con lo storicismo
Razionalismo Cerca verità eterne → lo storicismo rifiuta
Scientismo Riduce il sapere a scienza oggettiva → lo storicismo valorizza le scienze dello spirito
Materialismo storico (Marx) Condivide l’idea di storia come processo, ma con leggi oggettive → lo storicismo classico è antideterminista
Positivismo Vede la storia come accumulo lineare di progresso → lo storicismo la vede come processo complesso e non sempre razionale

Frasi emblematiche

  • Croce: “Tutta la storia è storia contemporanea”
  • Dilthey: “Noi spieghiamo la natura, comprendiamo la vita”
  • Hegel: “Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale”

 In sintesi

Aspetto Storicismo
Oggetto di studio La storia come chiave di comprensione
Metodo Contestualizzazione, interpretazione
Visione della verità Storicamente determinata
Filosofi centrali Hegel, Dilthey, Croce, Gentile
Campo d’influenza Filosofia, pedagogia, storiografia, etica


mercoledì 19 marzo 2025

Corso di storia della filosofia: 80 Bergson 1859

Henri-Louis Bergson 1859

Henri-Louis Bergson filosofo francese (Parigi 1859 - ivi 1941).

Uscito dall’École Normale nel 1881, con una formazione essenzialmente positivistica, divenne nello

stesso anno agrégé de philosophie. Nel 1889, con la tesi Essai sur les données immédiates de la

conscience (trad. it. Saggio sui dati immediati della coscienza) e la dissertazione Quid Aristoteles de

loco senserit, conseguì il dottorato nella Sorbona. Nel 1900 iniziò a insegnare al Collège de France e

dal ’10 al ’24 occupò la cattedra di filosofia moderna, tenendo corsi frequentatissimi sulla libertà,

l’idea di tempo, Plotino, Berkeley, Spencer, ecc. La Sorbona gli chiuse invece le porte, per l’ostilità

degli ambienti accademici più tradizionali. Membro dell’Académie Française, nel 1927 gli fu conferito

il premio Nobel per la letteratura. Nel primo dopoguerra, rappresentò la Francia nell’assemblea della

Società delle Nazioni, nella sezione per la cooperazione intellettuale. Condusse una vita appartata e

dedita allo studio. Nel suo testamento lasciò scritto che, benché l’evoluzione del suo pensiero lo avesse

portato al cattolicesimo, egli, ebreo, non aveva voluto battezzarsi per non abbandonare i suoi

correligionari, perseguitati dai regimi totalitari dei quali fu tenace oppositore.

Tre opere, l’Essai, già citato, Matière et mémoire (1896; trad. it. Materia e memoria. Saggio sulla

relazione tra il corpo e lo spirito), L’évolution créatrice (1907; trad. it. L’evoluzione creatrice), segnano

lo sviluppo della filosofia di Bergson. Nella prima è definito il concetto, centrale nel pensiero del

filosofo, del tempo vissuto, o durata, attraverso una verifica interna. Se noi astraiamo dallo spazio,

dai concetti dell’intelletto e dal linguaggio, strumento di rapporti di ordine sociale, immergendoci nel

più profondo di noi stessi, veniamo a contatto immediato con una realtà che è assolutamente qualitativa,

mobile e indivisa. Essa è costituita da stati di coscienza che si fondono in maniera da produrre una

continuità vivente, un amalgama in continua evoluzione, un flusso sempre nuovo e originale, ma la

cui eterogeneità è tale che ogni suo momento, ricco com’è del passato e già contenente il futuro,

rispecchia a suo modo il tutto. Questa è la durata, che non è riconducibile alle categorie dell’unità e

della molteplicità, e quindi nemmeno allo spazio, al numero, alla misura. Lo spazio è omogeneità

quantitativa, la durata eterogeneità qualitativa; il primo può essere scomposto e ricomposto secondo leggi,

l’altra ha un ritmo proprio, semplice, individuale e imprevedibile. A partire da questa realtà, che

costituisce la vera spiritualità dell’uomo, B. sviluppa una critica del tempo fisico-matematico.

Questo comprende soltanto una serie di simultaneità o una successione di istanti perfettamente uguali e del tutto staccati l’uno dall’altro, e si lascia sfuggire la specificità della durata, che è invece flusso. La fisica proietta all’esterno questo movimento interiore e lo ‘spazializza’, rappresentandolo, per es. secondo lo schema dei quadranti dell’orologio che dividono il fluire del tempo in momenti successivi staccati tra loro. Ma questa è solo un’astrazione. La scienza fisico-matematica nasce da esigenze di carattere economico, per ordinare e classificare gli oggetti dell’esperienza interna o esterna. È invece la memoria a caratterizzare la vita della coscienza, raccogliendo il passato e custodendolo nella profondità della psiche.

Nell’Évolution créatrice, B. riprende il motivo della durata, e la eleva a principio metafisico:

l’evoluzione è spiegata nei termini di un principio semplice, lo «slancio vitale» (élan vital, «azione

che di continuo si crea e si arricchisce»), ossia una forza creatrice universale, evolutiva e originale.

In tal modo B. può superare sia l’evoluzionismo deterministico di Spencer sia quello finalistico,

entrambi respinti in quanto negatori della spontaneità e della ricchezza del processo reale: l’uno e l’altro,

infatti, si risolvono nell’affermazione tutto è dato, mentre «Dio non ha niente di fatto: egli è vita

incessante, azione, libertà». Così una corrente di vita, dotata di una forza esplosiva intellettualmente

non definibile, ha attraversato l’Universo, dando origine a innumerevoli correnti e tentativi. La vita

naturale cresce, si sviluppa, «esplode» in varie direzioni, dando luogo alle distinzioni tra pianta e animale,

istinto e intelligenza; quest’ultima porta l’uomo alla coscienza e alla costruzione di concetti, alle categorie

e agli strumenti operativi della scienza: forme vuote sempre più astratte che conducono a frantumare la

durata reale e a imporre etichette e simboli statici a una realtà in perenne movimento. La scienza

intellettualistica, con le sue categorie convenzionali subordinate alle necessità pratiche della vita, si rivela

incapace di cogliere l’essenza più autentica della vita organica e dello spirito. Occorre, per questo, usare

uno strumento superiore all’intelligenza e sfruttare le capacità simpatetiche dell’istinto, che, allargato a

intuizione, diventerà capace d’installarsi dentro l’oggetto. L’intuizione, organo di una reale conoscenza

partecipativa della realtà, è infatti «quella simpatia mediante la quale ci si inserisce nell’interiorità di un

oggetto per coincidere con ciò che c’è in esso di unico». B. elabora così una metafisica evolutiva di

stampo spiritualistico, capace si spiegare lo sviluppo della realtà come libera creatività, che, proprio

perché tale, non può essere ridotta entro le schematizzazioni della scienza tradizionale.

In Les deux sources de la morale et de la religion (1932; trad. it. Le due fonti della morale e della

religione) le tesi fondamentali di B. vengono estese al campo morale e religioso.

La natura ha spinto l’uomo verso l’evoluzione sociale, ma con uno sviluppo non predeterminato,

come per gli animali, bensì contrassegnato da scelte libere. Nella società antica, chiusa, statica

e conformistica, la religione (che pure con i miti aveva originariamente posto un argine alle forze

centrifughe dell’individualismo) ha la funzione di conservazione dell’organismo sociale; a questa

vecchia forma sociale è contrapposta da B. la possibilità di una società aperta e dinamica, nata dalla

rivoluzione spirituale del cristianesimo e arricchita dagli sviluppi della scienza e dell’industrialismo.

La speranza è che, con un nuovo salto evolutivo, in essa potrà svilupparsi una religione eminentemente

attiva, un nuovo misticismo capace di raffrenare le forze negative scatenate dalla stessa intelligenza

dell’uomo. Altre opere: Le rire (1900; trad. it. Il riso. Saggio sul significato del comico),

Introduction à la métaphysique (1903; trad. it. Introduzione alla metafisica), L’énergie spirituelle

(1919; trad. it. L’energia spirituale e la realtà), La pensée et le mouvant (1934; trad. it. Il pensiero e il

movente).

La filosofia di B. ebbe rapida e notevole diffusione, soprattutto negli anni tra le due guerre mondiali,

in contrasto con l’intellettualismo scientistico e come riaffermazione del valore teoretico dell’intuizione

al di sopra dell’intelletto. Ancor prima che in campo filosofico, profonda è stata la suggestione nell’ambito

della letteratura e delle arti, da M. Proust a P. Valéry, al simbolismo, all’ermetismo e all’impressionismo

pittorico. La filosofia di B., che porta alla più avanzata espressione il neospiritualismo di Ravaisson

e la filosofia della contingenza di Boutroux, ebbe ripercussioni nel campo dell’estetica (futurismo),

della filosofia epistemologica e religiosa (Leroy e James) e politica (Sorel). Lo sforzo di superare il

positivismo, sfociò, in partic., in una sorta di misticismo e di rinnovamento romantico. Importante è

stato anche il confronto di B. con Einstein sul concetto di tempo (in Durée et simultanéité, à propos de

la théorie d’Einstein, 1922; trad. it. Durata e simultaneità), che coinvolse anche Whitehead, Poincaré e

Mead, con ripercussioni sull’epistemologia contemporanea.



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