venerdì 30 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Rorty 1931

 

Richard Rorty (1931–2007)

Il filosofo che trasformò la verità in una pratica di conversazione

Immagina la filosofia come una grande sala da pranzo. Per secoli molti pensatori hanno cercato “la ricetta perfetta” — la Verità con la V maiuscola — capace di valere sempre e per chiunque. Richard Rorty entra in quella sala, si siede, ascolta, e poi propone un cambio di menu: smettiamo di cercare la ricetta definitiva e impariamo, invece, a cucinare meglio insieme. La filosofia, dice, non deve essere il giudice supremo che misura tutto, ma una forma di conversazione creativa che aiuta le persone a capirsi e a vivere con più giustizia.

Una vita tra scuole diverse

Rorty nasce a New York nel 1931, in una famiglia di intellettuali progressisti. Studia prestissimo (entra all’università da giovanissimo), si forma nella tradizione analitica americana, poi insegna a lungo a Princeton. Negli anni Ottanta si sposta verso le humanities a Virginia e quindi a Stanford, segno visibile della sua “traversata”: da specialista del linguaggio e della logica a pensatore pubblico che dialoga con letteratura, politica e cultura. Non cambia mestiere: allarga l’officina.

La svolta: addio “specchio della natura”

La tesi centrale che lo rende famoso è un addio. Rorty saluta l’idea che la conoscenza sia uno “specchio” che riflette la realtà così com’è. Non esiste un punto d’osservazione neutro fuori dal linguaggio, fuori dalla storia, fuori dalle pratiche umane. Esistono, invece, usi del linguaggio più o meno utili a risolvere problemi, a coordinare azioni, a ridurre la sofferenza.

Per dirla semplice: non ci sono “fondamenta” ultime su cui costruire tutto (questo è il suo anti-fondazionalismo). Ci sono strumenti che funzionano meglio o peggio in contesti concreti. La filosofia, allora, somiglia meno all’architettura di un palazzo perfetto e più a una cassetta degli attrezzi.

Da “verità” a “solidarietà”

Quando chiediamo “che cos’è vero?”, Rorty sposta l’attenzione da un cielo di idee eterne alla pratica di una comunità che decide cosa accettare come buone ragioni. Non propone cinismo né “tutto è uguale”: propone una responsabilità linguistica. Una tesi è “vera” se regge nella prova degli scambi argomentativi tra pari, se aiuta a prevedere, curare, cooperare, includere. La posta in gioco non è un certificato metafisico, ma la vita che ci costruiamo insieme.

Da qui il suo motto politico: meno ossessioni sull’“oggettività ultima”, più impegno per allargare la cerchia della solidarietà. Non dobbiamo scoprire un’essenza comune nascosta in tutti; dobbiamo raccontarci storie migliori per riconoscere gli altri come simili a noi, degni di rispetto e protezione.

Il lessico che ci fa (e ci disfa)

Rorty ama parole come contingenza e redescription (ri-descrizione). “Contingente” significa: avrebbe potuto andare diversamente. Anche il nostro vocabolario finale — quell’insieme di parole con cui, alla fine, giustifichiamo noi stessi (“libertà”, “dignità”, “progresso”, “sacro”, “scientifico”) — non è scolpito nella roccia. È il risultato di storie, incontri, traumi, letture. Cambiando il modo di parlare, cambiamo noi stessi.

Esempio. Pensa alla parola “malattia mentale” rispetto a “sofferenza psichica”. La prima può spingere verso protocolli medici e istituzioni; la seconda apre più spazio a narrazioni personali e diritti. Nessuna delle due cattura “l’essenza” una volta per tutte; ciascuna orienta azioni diverse. Per Rorty, il lavoro etico e politico è spesso un lavoro di riconio del vocabolario.

Il “liberale ironico”

In Contingenza, ironia e solidarietà Rorty disegna il profilo del liberale ironico:

  • Liberale, perché mette al centro la riduzione della crudeltà, la protezione dei deboli, lo Stato di diritto.
  • Ironico, perché sa che anche i suoi ideali sono storici e rivedibili; non pretende di possedere la lingua definitiva del Bene.

Questa combinazione non porta al relativismo indifferente; porta a un’etica della cura e della prudenza: difendo con forza i diritti, ma senza trasformare le mie parole in idoli. Combatto per la libertà di stampa non perché “lo dice la Natura”, ma perché la storia mostra che dove si può parlare, si soffre meno e si correggono meglio gli errori.

Scienza senza pedestallo (ma senza disprezzo)

Rorty non sminuisce la scienza: ne ammira la capacità di risolvere problemi e di coordinare pratiche complesse. Semplicemente le toglie il pedestallo metafisico. Gli scienziati non possiedono una finestra privilegiata sull’essere; possiedono metodi efficaci per fare cose affidabili nel mondo. Questo basta — ed è già moltissimo.

Esempio. Dire che l’elettrone è “reale” non aggiunge nulla di pratico al linguaggio della fisica che ci permette di costruire circuiti, risonanze magnetiche, satelliti. Quel linguaggio funziona: per Rorty è il suo vero titolo di nobiltà.

Che cosa chiedere alla filosofia

Rorty distingue tra due stili:

Lui sceglie la seconda. Non perché l’ordine sia inutile, ma perché, dice, nelle epoche di cambiamento abbiamo più bisogno di immaginazione che di dogmi.

Le obiezioni (e le sue risposte)

  • “Se la verità è solo ciò che accettiamo in conversazione, allora vale tutto.”
    Rorty risponde: non vale tutto, valgono gli esiti nei contesti. Conversazioni ben regolamentate (tribunali, riviste scientifiche, parlamenti, movimenti civili) producono criteri esigenti; altre conversazioni, meno. Il punto è costruire istituzioni che rendano le conversazioni più inclusive e meno crudeli.
  • “Senza fondamenti, come difendo i diritti?”
    Con storie e pratiche che mostrano perché è meglio per tutti vivere in società meno crudeli. Non c’è garanzia eterna; c’è lavoro politico continuo.
  • “Non è tutto linguaggio? E il mondo?”
    Il mondo c’è, eccome; ma lo incontriamo attraverso descrizioni. Cambiare descrizione non crea o distrugge montagne, ma cambia ciò che possiamo fare con esse (minarle, proteggerle, sacralizzarle, calcolarne i rischi).

Un’idea politica semplice (e impegnativa)

In politica Rorty resta un riformista di sinistra. Invita la cultura progressista a parlare in modo persuasivo a chi lavora, a chi sta ai margini, evitando toni di superiorità. Quando le élite smettono di offrire speranze concrete (salari, scuole, sanità, dignità del lavoro), si apre la strada ai demagoghi. La soluzione non è “avere l’argomento ultimo”, ma ricostruire fiducia attraverso linguaggi, progetti e istituzioni che mantengano promesse.

Perché leggere Rorty oggi

Una piccola guida all’uso

  1. In classe o in azienda: quando si litiga su “cos’è davvero la meritocrazia”, provate a riscriverne il vocabolario in tre versioni: giuridica, narrativa (storie di persone), gestionale (processi, incentivi). Noterete che cambiano criteri e decisioni: ecco Rorty in azione.
  2. Nel dibattito pubblico: invece di chiedere “chi ha la Verità?”, chiediamo “quale linguaggio permette a più persone di stare meglio senza escludere nessuno?”. È una domanda meno brillante in astratto, ma più utile.
  3. Nella vita personale: quando un’etichetta ti schiaccia (“fallito”, “inadatto”), prova una ri-descrizione: “sto attraversando una fase difficile” apre altri gesti, altre richieste di aiuto, altre possibilità.

Libri per iniziare (in ordine amichevole)


Richard Rorty ci lascia un’eredità sobria e coraggiosa: meno ansia di fondare, più cura nel conversare. Non promette un’ultima parola; ci invita a cercare parole migliori, quelle che — qui e ora — aiutano più persone a vivere una vita decente. E questo, per lui, è già un risultato filosofico all’altezza delle grandi ambizioni umane.


giovedì 29 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 115 Derrida 1930

Jacques Derrida 1930

 

Jacques Derrida, nato Jackie Derrida (1930–2004) filosofo francese di origine algerina, allievo di Althusser e Foucault, è stato direttore di ricerca presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi.
Prendendo spunto da Husserl,  Heidegger, de Saussure, Nietzsche e Freud, Derrida ha elaborato un percorso filosofico originale che si caratterizza come decostruzione della metafisica della presenza.
I primi lavori di Derrida si situano all'interno del dibattito fra storicismo e strutturalismo impostosi negli '40 e '50, e riguardano in particolare le soluzioni al problema della genesi delle idee (genesi storica o metastorica, ovvero strutturale?).
Nel 1966 tiene la prima di una lunga serie di conferenze negli Stati Uniti e si afferma soprattutto come studioso della lingua e della scrittura e pubblica La scrittura e la differenza, La voce e il fenomeno e Della grammatologia.
La riflessione di Derrida ha esercitato influenza nell'ambito della letteratura, del diritto, dell'architettura e dell'arte in generale, ma per lo stile di scrittura, particolarmente complesso ed ellittico, da più parti il suo pensiero è stato ritenuto più vicino a una forma letteraria che a una rigorosa elaborazione filosofica, e la centralità del tema della decostruzione, ha spinto alcuni a ritenere il suo un pensiero nichilista, che esita nello scetticismo e nel solipsismo più assoluti, giacché la decostruzione mostrerebbe l'infondatezza e la precarietà di tutta la tradizione del pensiero occidentale.

mercoledì 28 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 101 six Dahrendorf 1929

Ralf Gustav Dahrendorf 1929

Ralf Gustav Dahrendorf, Barone Dahrendorf (Amburgo, 1º maggio 1929 – Colonia, 17 giugno 2009), è stato un sociologo, politologo e politico tedesco naturalizzato britannico.Di ispirazione liberale, Dahrendorf appartiene al filone della prospettiva del conflitto, e più precisamente ai teorici analitici di stampo weberiano.Dal 1969 al 1970 è stato membro del parlamento tedesco per il Partito Liberale Democratico e Segretario di stato nel Ministero degli esteri tedesco. Nel 1970 è divenuto membro della Commissione europea a Bruxelles, da cui si dimise nel 1974.Dal 1974 al 1984 è stato direttore della London School of Economics e, dal 1987 al 1997, Warden (l'equivalente del CEO o dell'amministratore delegato per una università) del St. Antony College all'Università di Oxford.Avendo adottato la cittadinanza britannica nel 1988, nel 1993 è stato nominato Lord a vita dalla regina Elisabetta II con il titolo di "Baron Dahrendorf of Clare Market in the City of Westminster".È stato primo patron dell'Internazionale liberale.I filoni della sua analisi sono essenzialmente due: le teorie della società e i fattori del conflitto.Egli sostiene che la tendenza al conflitto è insita nel sistema, nel quale coesistono gruppi con e senza potere, che perseguono interessi diversi.Molto forte in Dahrendorf è il concetto di "potere", che egli definisce, sulla scia di Max Weber, come la capacità di far fare agli altri quello che si vuole, cioè di farsi obbedire. Il potere determina la struttura sociale, anche in maniera coercitiva.Le "norme" - altro concetto chiave - sono stabilite e mantenute dal potere, e servono a tutelare degli interessi. Sono quindi funzionali agli interessi del potere e non frutto del consenso sociale. Una prova di ciò è nel fatto che a tutela delle norme sono previste delle sanzioni.Le norme, sostenute dal potere, definiscono i criteri di desiderabilità sociale, cioè le cose (valori, status, ambizioni, etc.) che sono generalmente desiderate dalla collettività. Questo contribuisce a stabilire un ordine gerarchico di status sociali. Le norme creano anche discriminazione verso chi non vi si conforma.Un altro concetto importante è quello di "autorità", in rapporto a quello di potere: l'autorità è l'esercizio del potere, ma con legittimità ed entro certi limiti. Per capire meglio si può far un esempio: un'università ha l'autorità sufficiente per chiedere la retta annuale ai propri iscritti, ma non, ad esempio, per estorcere prestazioni personali di altro tipo. Un ladro, invece, ha il potere di estorcere denaro, ma non l'autorità.Dahrendorf sostiene che la divisione in classi è determinata dal possesso o meno di autorità: il conflitto (di classe) coinvolge solo due parti, e l'autorità è ciò che le separa.Per quanto riguarda la mobilitazione e la protesta sociale, Dahrendorf, afferma che sono necessari quattro tipi di requisiti perché questa abbia luogo: tecnici (un fondatore, un'ideologia o uno statuto); politici (uno stato liberale, a differenza di uno autoritario, favorisce la protesta); sociali (la concentrazione geografica dei membri del gruppo, la facilità di comunicazione ed il reclutamento simile); psicologici (gli interessi da difendere devono apparire reali).Il conflitto sarà caratterizzato dal livello di violenza (il "tipo di armi", anche in senso metaforico, usato) e intensità, intesa come livello di dispendio di energie nella lotta.Il conflitto avviene tra chi dà e chi riceve ordini. Nello stato vi è una classe dirigente e una burocrazia composta di individui che contribuiscono a far sì che gli ordini del vertice siano rispettati da tutti. La presenza di questa burocrazia allarga la base del consenso. Vi è anche un conflitto tra governo e industria.

Corso di storia della filosofia: Alberoni 1929

Francesco Alberoni 1929


 

Francesco Alberoni (Borgonovo Val Tidone, 31 dicembre 1929) è un sociologo, giornalista, scrittore, docente e rettore italiano. Dopo aver studiato al Liceo Scientifico Respighi di Piacenza si trasferì a Pavia, dove fu allievo del Collegio Cairoli e si laureò in Medicina nel 1953. Sempre a Pavia studiò psichiatria, con Carlo Berlucchi e Gildo Gastaldi, e statistica stocastica con Giulio Maccacaro, divenendo allievo di Sir Ronald Fisher.

Studiò a Milano psicoanalisi con Franco Fornari, matematica e teoria dell'informazione con Guido Bortone, studiando inoltre con padre Agostino Gemelli. Fece ricerche sulla probabilità soggettiva pubblicate sul Journal of General Psycology nel 1959 e nel 1960.
Studiò con Alfred McClung Lee mezzi di comunicazione di massa. Fece ricerche sul divismo, che descrisse come pettegolezzo collettivo in una società di massa e con mezzi di comunicazione di massa (L'élite senza potere, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 1961).
In campo sociologico si occupò in modo sistematico delle discontinuità sociali e del processo per cui l'ordine sorge dal caso, e da qui nacque l'idea guida per la comprensione dei movimenti collettivi. Nelle sue ricerche fu in stretto rapporto con eccellenze del pensiero come Edgar Morin, Roland Barthes, Alain Touraine, Serge Moscovici, Michel Maffesoli, David Riesman, Neil Smelser, Samuel Bellah, Norman Brown e Sasha Weitman, con i quali collaborò partecipando a studi congiunti.
Dal 1982 al 2011, ogni lunedì, il Corriere della Sera ha ospitato in prima pagina una sua rubrica intitolata "Pubblico e privato".
Alberoni ha condotto studi nel campo della sociologia delle passioni individuali e collettive e, in particolare, dei movimenti collettivi e dell'innamoramento. Il testo univocamente identificato come pietra angolare della costruzione del pensiero sociologico di Alberoni è il libro Movimento e istituzione (1977). Il concetto sviluppato nel libro gravita attorno alla definizione dello stato nascente, la "condizione nascente", il momento in cui la leadership, le idee, la comunicazione si fondono dando origine al movimento. Questo primo lavoro era stato preceduto da Consumi e società (1964), altro testo indicato come prodromo dell'analisi dei consumi e dei consumatori e della nascita delle tecniche di marketing. Esiste un'edizione CDE su licenza Garzanti con Innamoramento e Amore e Le ragioni del bene e del male in un unico volume. Nel 1979 Alberoni pubblica Innamoramento e amore, in cui argomenta come l'innamoramento sia lo stato nascente di un movimento collettivo composto esclusivamente da due persone. La tesi centrale del libro, più volte ribadita, è che l'innamoramento costituisce il tentativo effettuato da due persone di operare una "rivoluzione" affettiva, morale e pragmatica delle loro vite. La tesi è debitrice, al sociologo Max Weber, del concetto di mutamento sociale provocato da una personalità carismatica, ma da una parte riporta la possibilità di questo mutamento al più piccolo movimento sociale esistente (la coppia), dall'altra la rivela come attitudine intrinseca a ciascun essere umano, non appannaggio delle sole "personalità carismatiche". Il testo è stato tradotto in diverse lingue, ha avuto decine di edizioni ed è tuttora ristampato.
Tra i lavori successivi ci sono L'amicizia (1984), tradotto in 13 lingue, e L'erotismo (1986), nel quale vengono confrontati l'erotismo maschile e quello femminile. Il libro vanta diverse traduzioni, anche nei paesi del Nord Europa e in Giappone.
Nel 1989 viene pubblicato L'altruismo e la morale. Nel 1991 esce Gli invidiosi, seguito da Il volo nuziale (1992), dove vengono esaminate le cotte pre-adolescenziali e adolescenziali per le star del cinema, e quindi la generale tendenza femminile a ricercare oggetti d'amore superiori. Nel 1994 riprendono, con L'ottimismo, le tematiche psicologiche - sociali.
L'ultima opera sui movimenti collettivi, che rappresenta il coronamento e l'esposizione generale della teoria di tali movimenti, è Genesi (1989), dove l'autore espone la teoria della democrazia e della formazione delle "civilizzazioni culturali", i grandi complessi istituzionali nati da movimenti come il Cristianesimo, l'Islam, e il Marxismo. L'opera è una straordinaria sintesi di tutto il lavoro sociologico alberoniano precedente e studia con sistematicità la discontinuità dei processo socio-storici.
Nel 1996 pubblica un'opera sistematica sull'innamoramento, la formazione, la durata e la crisi della coppia, con il saggio Ti amo, tradotto anche in cinese.

Nel 2002 pubblica La speranza, definendo questa virtù "la più importante per la vita".

Corso di storia della filosofia: Severino 1929

Emanuele Severino 1929


Emanuele Severino è un filosofo italiano nato il 26 febbraio 1929 a Brescia, Italia. È noto per le sue importanti riflessioni sulla filosofia dell'essere e della storia. Tra i concetti chiave del suo pensiero

vi è la nozione di "eternità" e la sua critica all'idea tradizionale di temporalità.Uno dei lavori più noti di Severino è il libro "La struttura originaria" pubblicato nel 1966, in cui sostiene che l'essere è eterno e immutabile, contrariamente all'idea tradizionale di un mondo in costante cambiamento e divenire. Questo concetto di eternità non si riferisce a una sorta di eternità trascendente, ma piuttosto a un'eternità che è presente in ogni momento dell'esperienza umana.

Severino ha anche affrontato questioni legate alla filosofia della storia, sostenendo che la storia non è un progresso lineare, ma piuttosto un ciclo eterno di ripetizioni. Questa prospettiva ha importanti implicazioni per la nostra comprensione del tempo e della nostra esistenza.

Il pensiero di Emanuele Severino ha suscitato un dibattito significativo tra gli studiosi della filosofia e ha influenzato altri filosofi contemporanei. La sua ricerca e il suo lavoro sono stati influenti soprattutto in Italia e in Europa.


Corso di storia della filosofia: 114 Baudrillard 1929

Jean Baudrillard 1929


La filosofia postmoderna è un movimento eclettico caratterizzato dalla critica postmoderna e dall'analisi della filosofia occidentale. E’ stata fortemente influenzata dalla fenomenologia, dallo strutturalismo, dall’esistenzialismo, dai filosofi Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Edmund Husserl, Ludwig Wittgenstein, dalla psicanalisi di Jacques Lacan, dallo strutturalismo di Roland Barthes, dal mondo dell'arte, in particolar modo da Marcel Duchamp.La filosofia postmoderna è caratterizzata dall'anti-fondazionismo, cioè dallo scetticismo verso le semplici opposizioni binarie che sono predominanti nella metafisica e nell'umanesimo occidentale. Per alcuni critici, questo scetticismo appare simile al relativismo o persino al nichilismo. Per altri viene visto come apertura al significato e all'autorità. Il marxista Ernest Mandel sostiene che il postmodernismo è l'ideologia del tardo capitalismo.I più influenti pensatori postmoderni sono stati Michel Foucault, Jean-François Lyotard, Jaques Derrida e Jean Baudrillard. Foucault approcciò la filosofia postmoderna da una prospettiva storica, fondandosi sullo strutturalismo, ma allo stesso tempo rifiutando lo strutturalismo ristoricizzando e destabilizzando le strutture filosofiche del pensiero occidentale. Considerò anche come la conoscenza è definita e cambiata dall'operato del potere.Gli scritti di Lyotard erano focalizzati sul ruolo delle narrazioni nella cultura umana, e in particolar modo su come tale ruolo sia cambiato quando abbiamo lasciato la modernità e siamo entrati in una condizione "postindustriale" o postmoderna. Sostenne che le filosofie moderne legittimano le loro affermazioni di verità non (come sostengono) su basi logiche o empiriche, ma piuttosto su basi di storie accettate (o "meta-narrazioni") sulla conoscenza e sul mondo, quello che Wittgenstein ha battezzato "giochi linguistici". Inoltre sostenne che nella nostra condizione postmoderna, queste meta-narrazioni non lavorano più per legittimare le affermazioni di verità. Suggerì che nel risveglio dal collasso delle metanarrative moderne, la gente sta sviluppando un nuovo "gioco linguistico" - uno che non afferma l'assoluta verità ma piuttosto celebra un mondo di relazioni sempre in mutazione (tra le persone e tra le persone e il mondo).Derrida, padre del decostruzionismo, è uno dei maggiori critici della metafisica occidentale. La filosofia a suo avviso privilegia infatti il concetto di presenza e di logos, come opposte all'assenza e alla scrittura segnica. Derrida perciò affermò di aver decostruito la filosofia occidentale sostenendo, per esempio, che l'ideale occidentale del logos viene minacciata dall'espressione di questa idea nella forma di segni da parte di un autore assente. Perciò, per enfatizzare questo paradosso, Derrida riformalizza la cultura umana come una rete disgiunta di segni e scritti che proliferano, in assenza dell'autore. Jean Baudrillard (1929-2007), di formazione sociologo, con interessi estesi al mondo della semiotica, della comunicazione e della politica, propone una teoria del simulacro (traendo ispirazione dai romanzi degli scrittori Philip K. Dick e James Graham Ballard) visto come significante senza reale significato. Un esempio classico quello di Marilyn Monroe, il cui volto compare pervasivamente nell'orizzonte dei massmedia, senza che tutti i consumatori dei media abbiano visto necessariamente anche un solo film dell'attrice, o conoscano anche un solo fatto della sua vita. Marilyn Monroe (come altre icone pop che circolano nella rete dei media) è svincolata da un qualsiasi referente, e in ultima analisi significa sé stessa. Baudrillard, a partire dalla sua riflessione sui simulacri, ha elaborato una sua teoria della società postmoderna vista come società dei simulacri, o società simulazionale.

Corso di storia della filosofia: 109 Habermas 1929

 Jürgen Habermas 1929

 

Jürgen Habermas (1929) è un filosofo, storico e sociologo tedesco nella tradizione della Teoria critica della Scuola di Francoforte (formata anche da T. W. Adorno, M. Horkheimer, H. Marcuse, E. Fromm).
Nei suoi scritti occupano una posizione centrale le tematiche epistemologiche inerenti alla fondazione delle scienze sociali reinterpretate alla luce della "svolta linguistica" della filosofia contemporanea; l'analisi delle società industriali nel capitalismo maturo; il ruolo delle istituzioni in una nuova prospettiva dialogico emancipativa in relazione alla crisi di legittimità che mina alla base le democrazie contemporanee e i meccanismi di formazione del consenso.
La sua elaborazione filosofica lo ha visto sempre impegnato nella critica del metodo del conoscere oggettivamente. Questo lo ha condotto sulla via della fondazione di una nuova ragione comunicativa che egli ritiene che possa liberare l'umanità dal principio di autorità. Infatti considera che solo il paradigma conoscitivo intersoggettivo quale elemento fondativo di una nuova ragione comunicativa va ben al di là di un astratto paradigma della soggettività di cui peraltro sollecita l'abbandono.
Ha studiato a Gottinga (1949/50), Zurigo (1950/51) e Bonn (1951-54) dove nel 1954 si laurea con una tesi dal titolo: L'Assoluto e la storia. Sull'ambivalenza nel pensiero di Schelling.
Ottiene l'abilitazione nel 1961 a Marburgo con lo scritto Mutamenti di struttura dell'opinione pubblica. Ricerche su una categoria della società civile, pubblicato successivamente in Italia come Storia e critica dell'opinione pubblica. Da quel momento inizia la carriera come professore di filosofia all'Università di Heidelberg, dove insegna fino al 1964. Dal 1964 al 1971 Habermas è stato professore di filosofia e sociologia alla Goethe-Universität di Francoforte. Nel 1971 si trasferisce a Starnberg nei pressi di Monaco, dove insieme a Carl Friedrich von Weizsäcker guida il "Max-Planck-Institut per la ricerca delle condizioni vitali del mondo tecnico scientifico". Nel 1981 pubblica il suo lavoro più importante, Teoria dell'agire comunicativo.
Nel 1983 torna a Francoforte dove gli viene assegnata la cattedra di filosofia con specializzazione in filosofia sociale e filosofia della storia e nel 1994 viene nominato Professore Emerito.
La teoria habermasiana contiene una logica dei livelli di sviluppo dell'umanità. Si può affermare che tanto più il "sistema"si forma differenziando se stesso e aumentando la propria complessità tanto maggiore sarà la colonizzazione della Lebenswelt da parte del "sistema", e tanto più gli uomini interiorizzeranno le imposizioni eteronome e sociali come imposizioni autonome individuali.
Habermas è anche noto per aver elaborato insieme a Karl-Otto Apel l'Etica del Discorso nella quale appoggiandosi alla struttura etica di una situazione dialogica ideale fa riferimento alla Teoria degli atti linguistici per definire le condizioni preliminari del Discorso libero da condizionamenti.
Il discorso pubblico si pone come modello di un agire comunicativo che indica la possibilità di un'unione sociale non coercitiva, basata sul criterio di riconoscimento intersoggettivo non violento, orientato all'intesa. Ad esso si oppone l'agire strumentale organizzato dalle logiche della tecnica e del dominio.

domenica 25 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 123 Illich 1926

Ivan Illich 1926

Ivan Illich (Vienna, 4 settembre 1926 – Brema, 2 dicembre 2002) è stato uno scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco. Personaggio di vasta cultura, viene citato spesso come teologo (definizione da lui stesso rigettata), poliglotta e storico. Viene però più spesso ricordato come libero pensatore, capace di uscire da qualsiasi schema preconcetto e di anticipare riflessioni affini a quelle altermondiste. Estraneo a qualsiasi inquadramento precostituito, la sua visione è strettamente affine all'anarchismo cristiano. Vice rettore dell'Università di Porto Rico e fondatore in Messico del Centro Intercultural de Documentación (CIDOC), ha focalizzato gran parte della sua attività in America Latina.
Il suo essenziale interesse fu rivolto all'analisi critica delle forme istituzionali in cui si esprime la società contemporanea, nei più diversi settori (dalla scuola all'economia e alla medicina), ispirandosi a criteri di umanizzazione e convivialità, derivati anche dalla fede cristiana, così da poter essere riconosciuto come uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi.
Nel 1944 si iscrisse alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con il progetto di diventare prete, e nel 1951 fu ordinato presbitero. Prestò servizio come assistente parrocchiale a New York, nella diocesi retta dal cardinal Francis Joseph Spellman. Nel 1956 fu nominato vice-rettore della Pontificia Università Cattolica di Porto Rico, e nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca, in Messico, che aveva il compito di preparare i preti e i volontari dell'Alleanza per il Progresso alle missioni nel continente americano.
Dopo dieci anni l'attività di analisi critica del CIDOC, l'elaborazione del manifesto dei descolarizzatori e la pubblicazione dei primi cinque testi fortemente critici con le istituzioni moderne, si acuisce il conflitto con il Vaticano. In seguito a contrasti con i membri della Sacra Congregazione Pro Doctrina Fidei Illich subisce un interrogatorio durante il quale gli vengono fatte domande sulle attività condotte nei suoi centri di documentazione e sulle sue posizioni politiche e religiose. Successivamente gli viene chiesto di rispondere per iscritto alle domande, ma Illich si appella alla facoltà di non rispondere. Il suo processo non viene mai portato a termine, Illich decide di astenersi dal celebrare la messa pur mantenendo il celibato. Di fatto non viene mai scomunicato, restando un "monsignore atipico".
Nel 1977 insegnò alla Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento dove tenne lezioni e organizzò seminari, diventando presto un riferimento per il movimento studentesco.
Secondo Ivan Illich la crisi planetaria ha le sue radici nel fallimento dell'impresa moderna: cioè la sostituzione della macchina all'uomo. In La convivialità egli prova a individuare il limite critico all'interno della millenaria triade uomo, strumento, società oltre il quale non è più possibile mantenere un equilibrio globale, l'uomo diventa schiavo della macchina e la società iper-industriale diviene irrispettosa di scale e limiti naturali. Illich scrive che c'è un uso della scoperta che conduce alla specializzazione dei compiti, alla istituzionalizzazione dei valori, alla centralizzazione del potere: l'uomo diviene l'accessorio della megamacchina, un ingranaggio della burocrazia. Ma c'è un secondo modo di mettere a frutto l'invenzione, che accresce il sapere e il potere di ognuno, consentendo a ognuno di esercitare la propria creatività senza per questo negare lo stesso spazio d'iniziativa e di produttività agli altri. «Se vogliamo –continua Illich– poter dire qualcosa sul mondo futuro, disegnare i contorni di una società a venire che non sia iper-industriale, dobbiamo riconoscere l'esistenza di scale e limiti naturali. Esistono delle soglie che non si possono superare. Infatti, superato il limite, lo strumento da servitore diviene despota. Oltrepassata la soglia, la società diventa scuola, ospedale, prigione e comincia la grande reclusione.»
Illich chiamava società conviviale una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservato a un gruppo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale per Illich è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni. L'uomo a cui pensava Illich non era un uomo che vive solo di beni e servizi, ma della libertà di modellare gli oggetti che gli stanno attorno, di conformarli al proprio gusto, di servirsene con gli altri e per gli altri. Nei paesi ricchi i carcerati dispongono spesso di beni e servizi in quantità maggiore delle loro famiglie, ma non hanno voce in capitolo riguardo al come le cose sono fatte, né diritto di interloquire sull'uso che se ne fa: degradati al rango di consumatori utenti allo stato puro, sono privi di convivialità.
La critica di Illich delle scuole, delle università e delle istituzioni fu una critica del loro potere di distruggere la nostra capacità di vivere dignitosamente l'uno con l'altro. Egli contrappose la "ricerca o scienza per la gente" condotta nelle università alla "scienza della gente". Tale ricerca, condotta da soli o in piccoli gruppi, ha un'attinenza diretta con chi vi si è impegnato.

Corso di storia della filosofia: 105 Foucault 1926

Paul Michel Foucault 1926

Paul Michel Foucault (1926 –1984) filosofo, archeologo dei saperi, saggista letterario, professore al Collège de France, tra i grandi pensatori del XX secolo, realizzò il progetto propugnato da Nietzsche che segnalava la mancanza di una storia della follia, del crimine e del sesso.Egli studiò lo sviluppo delle prigioni, degli ospedali, delle scuole e di altre grandi organizzazioni sociali, teorizzando il modello carcerario del panopticon, ideato da Jeremy Bentham come paradigma della società moderna. Importanti sono anche i suoi studi sulla sessualità, con particolare attenzione agli ultimi due secoli, epoca in cui la sfera del sesso è oggetto di volontà di sapere e di potere nonché di pratica confessionale.Foucault studia filosofia e psicologia all’École Normale Supérieure con Maurice Merleau-Ponty e Louis Althusser, ma gli anni giovanili sono ossessionati dal problema della sua omosessualità, con ripetuti tentativi di suicidio ed abuso di alcolici.

Nel 1961 pubblica Storia della follia nell'età classica.
Nel 1963 esce Nascita della Clinica: un’archeologia dello sguardo medico.

Nel 1969 pubblica L’archeologia del sapere. In queste opere analizza i processi di costituzione e di formazione del sapere nelle scienze umane, introducendo il concetto di episteme, vale a dire l'insieme delle formazioni discorsive performanti per i sistemi concettuali di una determinata epoca storica, in un determinato contesto geografico e sociale.
Nel 1970 è professore di Storia dei Sistemi di Pensiero al Collège de France. Dai suoi corsi nascerà nel 1975 Sorvegliare e punire: nascita della prigione. Il tema della microfisica del potere viene affrontato secondo un modello di funzionamento che si esercita attraverso un'organizzazione reticolare, circolare, che funziona solo a catena. Non c’è netta divisione tra coloro che lo detengono e coloro che lo subiscono. Il potere non è mai localizzato esclusivamente nelle mani di alcuni come una ricchezza o un bene. E’ qualcosa che condiziona ma che lascia margini di gioco, di distorsione, di sviluppo.
Nel 1976 esce il primo volume della Storia della sessualità, La volontà di sapere; cui seguiranno nel 1984 gli altri due volumi L’uso dei piaceri e La cura di sé. In essa si sostiene che attraverso i nostri desideri, si creano nuove forme di relazione, nuove forme d’amore, nuove forme di creazione. Il sesso non è dunque una fatalità; ma possibilità di una vita creativa.
Con la modernità la sessualità ci appare come una caratteristica intrinseca al sé, a tal punto da sentire il bisogno di dichiarare una identità sessuale e addirittura le proprie scelte sessuali.
Nel 1966 esce Le parole e le cose. E’ errato però credere che questa sia la conquista di una sessualità repressa nei secoli che solo ora, attraverso lotte di emancipazione, viene ad esprimersi. Si tratta piuttosto di una pratica confessionale che prosegue in maniera diffusa la volontà di potere e di sapere delle istituzioni religiose e secolari. Il sapere è oggi un mezzo per sorvegliare la gente e controllarla, non più in maniera brutalmente repressiva come in passato, ma con una raffinatezza più funzionale e pervasiva, un biopotere, che costruisce corpi e desideri.

sabato 24 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 122 Bauman 1925

Zygmunt Bauman 1925


Zygmunt Bauman (1925-2017) sociologo e filosofo polacco di origini ebraico – polacche, fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all'inizio della seconda guerra mondiale, e successivamente si mise al servizio di una unità militare sovietica. Dopo la guerra diventa allievo di Ossowsky e durante una permanenza alla London School of Economics, prepara una importante dissertazione sul socialismo britannico (1959). Nel marzo del 1968, in seguito ad una epurazione antisemita in Polonia emigrò in Israele per andare a insegnare all'Università di Tel Aviv; e successivamente dal 1971 all'Università di Leeds. Celebri i suoi scritti riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo il nazionalsocialismo e l'Olocausto (Modernità e olocausto). Allontanatosi dal marxismo dopo aver focalizzato le sue ricerche sui temi della stratificazione sociale e del movimento dei lavoratori, si è elevato ad ambiti più generali come la natura della modernità e il passaggio dalla modernità alla post-modernità, paragonate rispettivamente allo stato solido e liquido della società. (Modernità liquida, Vita liquida)
Per lui l'incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. L'esclusione sociale non si basa più sull'estraneità al sistema produttivo o sul "non poter comprare l'essenziale", ma del "non poter comprare per sentirsi parte della modernità". Il "povero", nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi "come gli altri", cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore. La critica alla mercificazione delle esistenze e all'omologazione planetaria si fa spietata soprattutto in Vite di scarto, Dentro la globalizzazione e Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi
Bauman ha vinto il Premio Europeo Amalfi per la Sociologia e le Scienze Sociali nel 1992 e il Premio Theodor W. Adorno della città di Francoforte nel 1998.

Corso di storia della filosofia: 113 Deleuze 1925

Gilles Deleuze 1925

Gilles Deleuze (1925–1995) filosofo francese tra i più influenti del XX secolo e tra i più prestigiosi esponenti della Nietzsche  renaissance. Benché definito post-strutturalista e post-moderno, il pensiero di Deleuze risulta in realtà di difficile classificazione.
Fa i suoi studi filosofici alla Sorbona di Parigi, dov'è allievo di Jean Hyppolite e Ferdinand Alquié, e frequenta Jacques Lacan, Pierre Klossowski e Michel Foucault. Insegna filosofia nei licei parigini, quindi alla all'Università di Lione ed infine alla Sorbona. Il suo primo libro Empirismo e Soggettività si rivolge al pensiero del filosofo scozzese David Hume sostenendo che la sua non è una filosofia dei sensi ma dell'immaginazione. In esso Deleuze si chiede come sia possibile che da una serie di atti stereotipati (dovuti all'istinto o all'educazione) si giunga a formare il soggetto. Segue Nietzsche e la filosofia (1962), una reinterpretazione tesa alla depurazione dei testi nietzschiani dalle storture e mistificazioni operate dalla storiografia precedente in un momento storico in cui la cultura francese è dominata dall'ortodossia delle tre H (Hegel, Husserl, Heidegger).
Dopo il 1968 Deleuze comincia una collaborazione con lo psicoanalista e psichiatra Félix Guattari ed acquista notorietà anche in ambito extra - accademico con L'Anti-Edipo (1972) ed il suo seguito Mille piani (1980), sottotitolate entrambe Capitalismo e schizofrenia, in cui gettano le basi della schizoanalisi, che analizza il funzionamento delle istituzioni alla luce dei rapporti di potere che esse sviluppano con individui e società. Bersaglio critico principale è la psicoanalisi, accusata di "familiarismo", ovvero di ripiegare il desiderio, geneticamente rivoluzionario e creatore di nuovi ordini, sul cosiddetto "romanzo familiare": l'Edipo. Essi hanno depotenziato il concetto d'inconscio, finendo così con l'asservire la psicoanalisi ai dispositivi di potere dello Stato, della Chiesa e del Mercato.
Con Differenza e Ripetizione (1968) e Logica del Senso (1969), dove il tema della ripetizione viene analizzato mediante una originale re-interpretazione dell'eterno ritorno di Nietzsche, Deleuze si propone di rovesciare il platonismo e realizzare una nuova immagine del pensiero, costruire una filosofia che faccia a meno del concetto di rappresentazione, avviando in filosofia la medesima rivoluzione avviata nelle arti figurative dalle avanguardie artistiche del primo novecento, investendo sia gli aspetti contenutistici sia quelli formali. Ciò lo spingerà a sperimentare in un tipo di assemblaggio del testo mutuato dalla tecnica del collage picabiano.

mercoledì 21 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 121 Kuhn 1922

Thomas Samuel Kuhn 1922

 

Thomas Samuel Kuhn (1922 – 1996) è stato uno storico della scienza e filosofo statunitense.
Fu un epistemologo che scrisse vari saggi di storia della scienza, sviluppando alcune fondamentali nozioni di filosofia della scienza. Formulò un'epistemologia alternativa a quella dell'empirismo logico e di Karl Popper, suoi principali bersagli polemici.Ottenne la laurea in fisica all'Università Harvard dove divenne insegnante di Storia della scienza. Insegnò quindi all'Università di Berkeley, di Princeton ed al MIT di Boston. In La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), la sua opera più celebre e conosciuta, Kuhn sostiene che la scienza invece di progredire gradualmente verso la verità è soggetta a rivoluzioni periodiche che egli chiama slittamenti di paradigma.
Kuhn ci dice che la scienza attraversa ciclicamente alcune fasi che sono indicative di come essa operi. Per Kuhn la scienza è paradigmatica, e la demarcazione tra scienza e pseudoscienza è riconducibile all'esistenza di un paradigma.
La Fase 0 è dunque il periodo chiamato pre-paradigmatico, caratterizzato dall'esistenza di molte scuole differenti in competizione tra di loro e l'assenza di un sistema di principi condivisi. In questa fase, lo sviluppo di una scienza assomiglia più a quello delle arti ed è presente molta confusione. A un certo punto della storia della scienza in esame, viene sviluppata una teoria in grado di spiegare molti degli effetti studiati dalle scuole precedenti; nasce così il paradigma, l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca all'interno della quale le teorie sono accettate da tutti i cultori.
Questa adesione sancisce la Fase 1, ovvero, l'accettazione del paradigma. Una volta definito il paradigma ha inizio la Fase 2, ovvero, quella che Kuhn chiama la scienza normale. Nel periodo di scienza normale gli scienziati sono visti come risolutori di rompicapi, che lavorano per migliorare l'accordo tra il paradigma e la natura. Questa fase, infatti, è basata sull'insieme dei principi di fondo dettati dal paradigma, che non vengono messi in discussione, ma ai quali, anzi, è affidato il compito di indicare le coordinate dei lavori successivi. In tale fase vengono sviluppati gli strumenti di misura con cui si svolge l'attività sperimentale, vengono prodotti la maggior parte degli articoli scientifici, ed i suoi risultati costituiscono la maggior parte della crescita della conoscenza scientifica.
 Durante la fase di scienza normale si otterranno successi, ma anche insuccessi; tali insuccessi, per Kuhn, prendono il nome di anomalie, ovvero eventi che vanno contro il paradigma. Lo scienziato normale, da buon risolutore di rompicapo quale è, tenta di risolvere tali anomalie.
Si passa così alla Fase 3, nella quale il ricercatore si scontra con le anomalie. Quando il fallimento è particolarmente ostinato o evidente, può avvenire che l'anomalia metta in dubbio tecniche e credenze consolidate con il paradigma, aprendo così la Fase 4, ovvero la crisi del paradigma. Come conseguenza della crisi, in tale periodo si creeranno paradigmi diversi. Tali nuovi paradigmi non nasceranno quindi dai risultati raggiunti dalla teoria precedente ma, piuttosto, dall'abbandono degli schemi precostituiti del paradigma dominante.
Si entra così nella Fase 5, la rivoluzione (scientifica). Nel periodo di scienza straordinaria, si aprirà una discussione all'interno della comunità scientifica su quali dei nuovi paradigmi accettare.
Però non sarà necessariamente il paradigma più "vero" o il più efficiente ad imporsi, ma quello in grado di catturare l'interesse di un numero sufficiente di scienziati, e di guadagnarsi la fiducia della comunità scientifica. I paradigmi che partecipano a tale scontro, secondo Kuhn, non condividono nulla, neanche le basi e quindi non sono paragonabili. La scelta del paradigma avviene, come detto, per basi socio-psicologiche oppure biologiche (giovani scienziati sostituiscono quelli anziani).
La battaglia tra paradigmi risolverà la crisi, sarà nominato il nuovo paradigma e la scienza sarà riportata a una Fase 1.

martedì 20 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 101 penta Morin 1921

Edgar Morin 1921

Edgar Morin – Il pensatore della complessità

Edgar Nahoum, nato a Parigi l’8 luglio 1921 da famiglia ebrea sefardita originaria di Salonicco, è conosciuto in tutto il mondo con il nome che scelse nella clandestinità: Morin. Quel nome di battaglia, preso durante la Resistenza francese, non lo avrebbe mai abbandonato, diventando la firma sotto cui avrebbe firmato libri, saggi e idee per più di settant’anni.

La sua giovinezza si svolge in un’Europa in fiamme. Nel 1941 aderisce al Partito Comunista Francese, convinto che la lotta antifascista sia la priorità assoluta. Nella Resistenza incontra figure destinate a fare la storia, come François Mitterrand, e partecipa attivamente alla liberazione di Parigi nell’agosto del 1944. Pochi mesi dopo viene inviato a Landau, in Germania, dove ricopre incarichi militari di rilievo: attaché allo Stato Maggiore della Prima Armata francese e, nel 1945, Capo dell’Ufficio Propaganda del governo militare francese.

Alla fine del conflitto, i suoi occhi si posano su una Germania devastata, e da quell’esperienza nasce L’année zéro de l’Allemagne (“L’anno zero della Germania”), un libro lucido e umano che racconta un popolo in macerie, non solo materiali ma morali. L’opera cattura l’attenzione di Maurice Thorez, segretario del Partito Comunista e ministro, che lo invita a scrivere per la rivista Lettres Françaises.

Nel 1946 Morin torna a Parigi, abbandona la carriera militare e si dedica completamente alla vita intellettuale e politica. Tuttavia, il suo spirito critico lo porta presto in rotta di collisione con la linea ufficiale del partito: la sua opposizione allo stalinismo diventa sempre più netta. Nel 1951, dopo un articolo pubblicato su Le Nouvel Observateur (allora France-Observateur), viene espulso.

È una svolta. Nel 1950 entra al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS), grazie anche al sostegno del filosofo Maurice Merleau-Ponty, e si orienta verso l’antropologia sociale. Qui Morin inizia a percorrere la strada che lo renderà famoso: quella del pensiero transdisciplinare, capace di intrecciare sociologia, antropologia, biologia, filosofia e comunicazione.

Negli anni ’60 viaggia in America Latina, visitando Brasile, Cile, Bolivia, Perù e Messico. In Brasile resta colpito dalla vitalità della cultura afro-brasiliana; in Messico, dalla resilienza delle comunità indigene. Da queste esperienze nasce il libro L’esprit du temps, in cui indaga il rapporto tra cultura di massa e società contemporanea.

Poco dopo, conduce un’originale ricerca multidisciplinare su una comunità bretone, pubblicata come La Métamorphose de Plozevet (1967). L’opera, tra le prime di etnologia sulla Francia contemporanea, gli vale l’etichetta di “eretico” negli ambienti accademici, proprio perché unisce metodi e saperi tradizionalmente separati. Morin non si lascia scoraggiare: anzi, questo lo spinge a lavorare sempre più lontano dalla Parigi intellettuale.

Nel 1968, in pieno fermento politico e culturale, sostituisce Henri Lefebvre all’Università di Nanterre. L’anno successivo vola in California, al Salk Institute di La Jolla, e si immerge nella rivoluzione scientifica aperta dalla scoperta del DNA. Qui intreccia biologia, teoria dell’informazione, cibernetica e teoria dei sistemi: le basi di quello che diventerà il suo marchio di fabbrica, il pensiero della complessità.

Morin non si limita a teorizzare: vuole riformare il modo stesso di pensare. Per lui, il sapere frammentato dell’epoca moderna è incapace di affrontare i problemi planetari. È necessario ricucire le discipline, educare a un pensiero capace di collegare, non solo di separare. Come scriverà più tardi:

“La conoscenza deve essere una navigazione in un oceano di incertezze, tra arcipelaghi di certezze.”

Oggi, a più di un secolo dalla sua nascita, Edgar Morin è considerato uno dei grandi maestri del nostro tempo, un intellettuale che ha cercato di unire ciò che la cultura tende a dividere. Il suo nome, nato nella clandestinità, è ormai sinonimo di sguardo globale e curiosità senza confini.


mercoledì 14 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 112 Barthes 1915

Roland Barthes 1915

Roland Barthes (1915–1980) saggista, critico letterario, linguista e semiologo francese, fra i maggiori esponenti della nuova critica francese di orientamento strutturalista.Laureato in lettere classiche alla Sorbona, è docente al liceo di Biarritz poi a Parigi. Diventa lettore all'Università di Alessandria d'Egitto, quindi ricercatore al CNRS, responsabile di ricerca e direttore degli studi all’École des Hautes Études en Sciences Sociales, ed infine docente di Semiologia letteraria al Collège de France. Ha collaborato a numerosi periodici tra i quali l'Esprit e il Tel Quel. Roland Barthes ha scritto e pubblicato numerosi saggi critici di particolare acutezza sugli scrittori classici e contemporanei, Saggi critici (1964), prestando particolare attenzione alle linee di sviluppo della recente narrativa e indicando nel "grado zero" della scrittura, cioè nel modo parlato, la sua più importante peculiarità Il grado zero della scrittura (1953). Si è dedicato inoltre allo studio delle relazioni esistenti tra i miti e i feticci della realtà contemporanea e le istituzioni sociali, Miti d'oggi (1957), Il sistema della moda (1967), ha studiato il rapporto di incontro-scontro tra la lingua intesa come patrimonio collettivo e il linguaggio individuale L'Impero dei segni (1970) e ha sviluppato una teoria semiologica che prende in considerazione le grandi unità di significato Elementi di semiologia (1964). Il criterio da lui proposto oltrepassa la tesi accademico-filologica e si pone come una continua e sollecita interrogazione del testo Critica e verità (1966).

lunedì 12 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 91 ter Ricoeur 1913

Paul Ricoeur 1913

Paul Ricoeur Filosofo, nato a Valence (Drôme) il 25 febbraio 1913 da famiglia protestante. Laureato in filosofia nel 1935, insegnò in vari licei. Mobilitato nel 1939, fu catturato dai tedeschi e rimase prigioniero fino al 1945. Durante la prigionia studiò con Dufrenne la filosofia di Jaspers e lesse le Ideen di Husserl. Dopo la guerra, ottenuto il dottorato in lettere, è stato professore all'università di Strasburgo (dal 1952), alla Sorbona (dal 1956) e attualmente è professore di filosofia nella facoltà di lettere di Parigi-Nanterre e all'università di Chicago, dove occupa la cattedra che fu di P. Tillich. Dopo aver dato alle stampe i frutti delle esperienze esistenzialistiche e fenomenologiche fatte durante il periodo di prigionia (Karl Jaspers et la philosophie de l'existence [con M. Dufrenne], Parigi 1947; Gabriel Marcel et Karl Jaspers. Philosophie du mystère et philosophie du paradoxe, ivi 1948; trad. fr. delle Ideen di Husserl, ivi 1950), R. si è dedicato all'elaborazione di una Philosophie de la volonté, di cui sono sinora apparse le prime due parti: Le volontaire et l'involontaire, Parigi 1950, e Finitude et culpabilité (a sua volta bipartito: I. L'homme faillible; II. La symbolique du mal), ivi 1960, trad. it., Bologna 1970. Mentre la prima parte vuole presentare una fenomenologia dal cogito integrale, la quale tiene conto della corporeità e della sfasatura fra volontario e involontario, la seconda abbandona il terreno fenomenologico, fornendo, anziché un' "eidetica", un' "empirica" della volontà; la riflessione interpretativa sui simboli e sui miti consente di cogliere quella colpa che è all'origine della fallibilità umana e che l'approccio fenomenologico poneva fra parentesi. Nei lavori successivi R., anziché affrontare il tema della trascendenza, che avrebbe dovuto rappresentare l'oggetto della terza parte della sua filosofia della volontà (anch'esso infatti era posto fra parentesi dall'approccio fenomenologico), si è indirizzato, almeno per ora, a un approfondimento dei temi ermeneutici comportati dalla riflessione sul simbolo (De l'interprétation. Essai sur Freud, Parigi 1965, trad. it., Milano 1967; Le conflit des interprétations, ivi 1969; La métaphore vive, ivi 1975; Interpretation theory. Discourse and the Surplus of Meaning, Fort Worth 1976), sempre attento però al luogo linguistico in cui il sacro si annuncia e si rende presente (o, meglio, perennemente alla ricerca di tale luogo)

sabato 10 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 120 McLuhan 1911

Herbert Marshall McLuhan 1911

Herbert Marshall McLuhan (1911 – 1980) è stato un sociologo canadese.
Studiò all'Università di Cambridge, nel Regno Unito e fu influenzato dalla corrente letteraria del New Criticism. Insegnò all'Università del Wisconsin, di Saint Louis, di Cambridge, di Toronto, della Fordham University, dove avvenne l’esperimento di Fordham sugli effetti della televisione. La sua fama è legata alla sua interpretazione visionaria degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all'ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Di qui, la sua celebre tesi secondo cui "il mezzo è il messaggio".
In Galassia Gutemberg McLuhan sottolinea per la prima volta l'importanza dei mass media nella storia umana; in particolare egli discute dell'influenza della stampa a caratteri mobili sulla storia della cultura occidentale. Con essa si compia definitivamente il passaggio dalla cultura orale alla cultura alfabetica. Se nella cultura orale la parola è una forza viva, risonante, attiva e naturale, nella cultura alfabetica la parola diventa un significato mentale, legato al passato. Con l'invenzione di Gutenberg queste caratteristiche della cultura alfabetica si accentuano e si amplificano: tutta l'esperienza si riduce ad un solo senso, cioè la vista. La stampa è la tecnologia dell'individualismo, del nazionalismo, della quantificazione, della meccanizzazione, dell'omogeneizzazione, insomma è la tecnologia che ha reso possibile l'era moderna. Alla base del pensiero di McLuhan troviamo un accentuato determinismo tecnologico, cioè l'idea che in una società la struttura mentale delle persone e la cultura siano influenzate dal tipo di tecnologia di cui tale società dispone. In Gli strumenti del comunicare McLuhan propone una ricerca innovativa nel campo dell'ecologia dei media. È qui che McLuhan afferma che è importante studiare i media non tanto in base ai contenuti che veicolano, ma in base ai criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. Questo pensiero è notoriamente sintetizzato con la frase "il medium è il messaggio". Per esemplificare il film (contenuto) visto alla televisione o al cinema (medium) ha un effetto diverso sullo spettatore. Ogni medium ha caratteristiche che coinvolgono gli spettatori in modi diversi; da cui la classificazione dei media in caldi e freddi. Sono "freddi" i media che hanno una bassa definizione e che quindi richiedono un’alta partecipazione dell'utente, in modo che egli possa "riempire" e "completare" le informazioni non trasmesse; sono "caldi" invece quelli caratterizzati da un'alta definizione e da una scarsa partecipazione. Ci sono alcuni media che assolvono soprattutto la funzione di rassicurare e uno di questi media è la televisione. Essa non crea delle novità, non suscita delle novità, è quindi un mezzo che conforta, consola, conferma e "inchioda" gli spettatori in una stasi fisica e mentale (poiché favorisce lo sviluppo di una forma mentis non interattiva, al contrario di internet e di altri ambienti comunicativi a due o più sensi). Con l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, tramite l'avvento del satellite che ha permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza, il mondo è diventato piccolo ed noi abbiamo assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio, un villaggio globale.

mercoledì 7 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 104 Lévi-Strauss 1908

Claude Lévi-Strauss 1908

Claude Lévi-Strauss (Bruxelles, 28 novembre 1908 – Parigi, 1º novembre 2009) è stato un antropologo, etnologo e filosofo francese. Antropologo e etnologo, teorico dello strutturalismo, Lévi-Strauss occupa una posizione centrale nel pensiero contemporaneo. Lo strutturalismo lévi-straussiano – che ha scorto, e posto a base di ogni ulteriore riflessione, l'intrinseco carattere strutturale di ogni fenomeno sociale – ha permeato tutte le scienze sociali, la filosofia, la psicologia, la politica (il marxismo) e la storia. I suoi contributi alla psicologia, provengono indirettamente dall'applicazione del metodo strutturalista – per il quale i fenomeni culturali vanno interpretati in riferimento a elementi universali e inconsci rappresentanti la struttura fondante d'ogni cultura – agli studi antropologici della cultura materiale, ponendo a base di ogni fenomeno psicologico l'ipotesi dell'esistenza di sottostanti strutture mentali inconsce, atemporali e universali. Fondamentali poi i suoi studi sulle popolazioni cosiddette “selvagge”, raccolti nelle sue due opere più note al grande pubblico, i classici Tristi Tropici e Il pensiero selvaggio, in cui Lévi-Strauss mette in discussione, partendo da un'analisi di fondo della nozione di cultura come sistema simbolico e semiotico, la presunta superiorità della cultura occidentale – e criticandone altresì la relativa nozione di etnocentrismo e il conseguente umanesimo – rispetto alle cosiddette mentalità primitive, a cui Lévi-Strauss conferisce logicità, pari dignità e rispetto (relativismo culturale). Ha ricevuto diversi riconoscimenti per i suoi studi e le sue ricerche, fra cui il Premio Erasmo nel 1973, il premio Meister Eckhart nel 2003 e molte lauree honoris causa da diverse università straniere. È considerato uno dei padri fondatori dell'antropologia moderna, che si colloca, secondo Edmund Leach, sulla scia dell'opera di James Frazer e Franz Boas. 

lunedì 5 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 105 bis Lévinas 1906

Emmanuel Lévinas 1906

 

 
Emmanuel Lévinas (Kaunas, 12 gennaio 1906 – Parigi, 25 dicembre 1995) è stato un filosofo e accademico francese di origini ebraico-lituane.
A partire dal 1931 risiede a Parigi, dove insegna all'École normale israelite orientale (assumendone la direzione dal 1946 al 1961). Ivi ha modo d'incontrare Lacan, Merleau-Ponty, Aron, e di frequentar. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, nel 1939, Lévinas, chiamato alle armi, è catturato dai nazisti e condotto in un campo di concentramento col numero 1492. Lévinas mise insieme delle annotazioni, che saranno pubblicate postume, nel 2009, col titolo di Quaderni di prigionia.
Lontano dagli -ismi coevi (esistenzialismo, marxismo), Lévinas non aderì al movimento comunista, in quanto «rimanere non comunista significava conservare la propria libertà di giudizio in uno scontro di forze». Critico nei confronti dello strutturalismo, Lévinas si oppone a Lévi-Strauss. Nel 1961, vede la luce il capolavoro lévinasiano, Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità e, fra il 1964 e il 1976, insegna nelle università di Poitiers (1964 – 1967), di Paris-Nanterre (1967 –1973) e alla Sorbona (1973–1976). All'indomani delle contestazioni del 1968, l'Autore dichiarerà la propria distanza da quel fenomeno che sembrava aver condannato tutti i valori come prodotti borghesi
Insignito nel 1989 del Premio Balzan per la Filosofia, Lévinas muore a Parigi nel 1995, concludendo una lunga carriera intellettuale che lo fece considerare una «delle alternative più geniali ed affascinanti, alla crisi dei sistemi totalizzanti, come lo storicismo idealistico e quello marxistico, e alle tentazioni post-moderne della messa in questione e/o la frantumazione di ogni possibile senso, come nel nietzschianesimo, nello strutturalismo, nel decostruzionismo»
L’opera di Lévinas può essere compresa all’interno del confronto fra logos biblico e logos filosofico. Atene e Gerusalemme insomma sono le vere radici del pensiero europeo e risultano imprescindibili per Lévinas, che proprio in una conversazione con Derrida precisò la sua posizione: «Vede, si parla spesso di etica per descrivere quello che faccio ma in fin dei conti ciò che mi interessa non è l’etica, non solo l’etica, ma il santo, e la santità del santo». Come spiega poi citando Isaia: «La parola io significa eccomi». La responsabilità dell’io, privando l’io del suo egoismo, non per questo lo riduce a momento dell’ordine universale, anzi ne conferma l’unicità: nessuno può rispondere al mio posto. «Che Altri mi riguardino è mio malgrado», aggiunge Lévinas replicando a Sartre.

domenica 4 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 95 Sartre 1905

Jean-Paul Sartre 1905

Sartre, Jean-Paul. - Romanziere, drammaturgo e filosofo francese (Parigi 1905 - ivi 1980). Pensatore tra i più significativi del Novecento, la sua filosofia si riallaccia alla fenomenologia di E. Husserl e all'analitica esistenziale di M. Heidegger. Abbracciato poi il marxismo, S. volle integrarlo con le scienze umane, al fine di fondare un metodo di conoscenza "progressivo-regressivo", capace di ricostruire la formazione globale degli individui. Egli cercò altresì di cogliere le condizioni e le strutture invarianti della dialettica storica. Vasta la sua produzione filosofico-letteraria: tra le sue opere principali meritano di essere citate Le mur (1939; trad. it. 1947); Les mouches (1943); L'existentialisme est un humanisme (1946; trad. it. 1964). Dopo gli studî all'École normale supérieure, dove ebbe condiscepoli P. Nizan e R. Aron e conobbe S. de Beauvoir, cui fu legato per tutta la vita, insegnò filosofia nei licei a Le Havre e a Parigi. Nel 1933-34 usufruì di una borsa di studio presso l'Istituto francese di Berlino. Chiamato alle armi (1939), fu fatto prigioniero dai Tedeschi; liberato nel 1941, tornò a Parigi e partecipò alla Resistenza. Nel 1945 fondò la rivista Les temps modernes, attraverso la quale poté diffondere le sue posizioni filosofiche, politiche e letterarie. Dopo l'esperienza (1948-49) nel Rassemblement démocratique révolutionnaire, critico verso il gaullismo come verso lo stalinismo, si avvicinò alle posizioni della sinistra marxista, accentuando negli anni successivi il suo impegno politico, che, apparso oscillante tra marxismo democratico e comunismo sovietico, gli procurò sia le critiche dei comunisti sia quelle degli anticomunisti (clamorosa la rottura, nel 1952, con A. Camus, e quella, nel 1953, con M. Merleau-Ponty). Intervenne in difesa dell'Indocina (1953), contro la repressione sovietica in Ungheria (1956), a sostegno della libertà algerina (1960), contro i crimini di guerra statunitensi nel Vietnam (nel 1967 fu presidente del Tribunale Russell), contro l'invasione della Cecoslovacchia (1968). Allineatosi durante il "maggio francese" con le posizioni della sinistra extraparlamentare, fu direttore de La cause du peuple (dal 1970), di Révolution (dal 1971) e di Libération (dal 1973). Nel 1964 aveva ottenuto il premio Nobel per la letteratura, che tuttavia rifiutò. Il pensiero filosofico di S. è esposto in una serie di scritti pubblicati tra il 1936 e il 1960: L'imagination (1936; trad. it. 1962); Esquisse d'une théorie des émotions (1939); L'imaginaire (1940; trad. it. 1948); L'être et le néant (1943; trad. it. 1958); il già citato L'existentialisme est un humanisme; Critique de la raison dialectique (1960; trad. it. 1964). A partire dalla fenomenologia di Husserl e dall'esistenzialismo di Heidegger, S. perviene all'elaborazione di un'analisi esistenziale della coscienza, che gli si rivela come un "nulla d'essere". Di qui il tema esistenzialistico dell'assoluta libertà a cui l'uomo è condannato e dell'angoscia e dello scacco a cui la libertà conduce. Il pessimismo radicale del primo periodo della speculazione sartriana sarebbe stato successivamente temperato in una prospettiva intesa a fare dell'esistenzialismo un "umanismo" in cui l'assoluta libertà, dapprima avvertita come fonte di angoscia, viene reinterpretata in termini di responsabilità etica e politica nei confronti della società e della storia. Si comprende così, almeno in parte, l'avvicinamento di S. al marxismo, anche se quello sartriano sarà sempre un marxismo non dogmatico. È soprattutto nella Critique de la raison dialectique che S., pur accettando il materialismo storico e il concetto di alienazione, elabora un'aspra critica del marxismo ufficiale e dell'ideologia dei partiti comunisti, caratterizzati da dogmatismo e sterilità euristica. In particolare, del marxismo ufficiale S. respinge l'economicismo e il materialismo dialettico, proponendo un'integrazione tra marxismo ed esistenzialismo, dalla quale emerga la centralità dell'uomo nella società e nella storia. Strettamente legata alla speculazione filosofica è l'opera letteraria di S., a cominciare dal romanzo La nausée, pubbl. nel 1938 (trad. it. 1947), cui seguirono la già citata raccolta di novelle Le mur e il ciclo di romanzi, rimasto incompiuto, Les chemins de la liberté (L'âge de raison, 1945, trad. it. 1946; Le sursis, 1945, trad. it. 1948; La mort dans l'âme, 1949, trad. it. 1954), in cui dai temi dell'angoscia e della nausea si passa, con la tecnica cinematografica della simultaneità, al dramma generale dell'Europa della seconda guerra mondiale. Nel teatro si avvalse di un'azione breve e violenta e di un linguaggio sobrio per dibattere mediante il ricorso al mito le grandi questioni del mondo contemporaneo: la prima pièce fu la summenzionata Les mouches (1943), una trasposizione moderna dell'Orestiade. Seguirono Huis clos (1944; trad. it., col precedente, 1947), in cui l'idea che ognuno vivendo si crea il proprio inferno è espressa attraverso la figura dei tre personaggi costretti a stare insieme e ad essere ciascuno dei tre il carnefice degli altri due; La putain respectueuse (1946; trad. it. 1947), che affronta il tema del razzismo; Morts sans sépulture (1946), dramma della Resistenza; Le mains sales (1948; trad. it., col precedente, 1949), che contrappone idealismo rivoluzionario e realismo politico; Le diable et le bon Dieu (1951; trad. it. 1966); Nekrassov (1956); Les séquestrés d'Altona (1959, trad. it. 1966). Una forte tensione conoscitiva anima anche il libro autobiografico Les mots (1964; trad. it. 1964) e la ricca produzione saggistica: Réflexions sur la question juive (1946; trad. it. Ebrei, 1948); Baudelaire (1947; trad. it. 1947); Situations, I-X (1947-76), raccolta che include Qu'est-ce que la littérature? (trad. it. 1966); Saint Genet, comédien et martyr (1952; trad. it. 1972), volume introduttivo alle opere di J. Genet; L'idiot de la famille: Gustave Flaubert de 1821 à 1857 (3 voll., 1971-72; trad. it. 1977); ecc. Postumi sono apparsi, tra l'altro: Les carnets de la drôle de guerre (1983, nuova ed. accr., 1995; trad. it. 2002); Cahiers pour une morale (1983; trad. it. 1991); Lettres au Castor et à quelques autres, 1926-1963 (2 voll., 1983; trad. it. 1996), lettere d'amore; il 2º vol. incompiuto della Critique de la raison dialectique (1985; trad. it. 1990); Verité et existence (1989; trad. it. 1991); Les écrits de jeunesse (1990), raccolta di testi composti tra il 1922 e il 1927.

sabato 3 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: 119 Bateson 1904

Gregory Bateson 1904

Bateson

Gregory Bateson (1904 – 1980) è stato un antropologo, sociologo, psicologo e studioso di cibernetica britannico, il cui lavoro ha toccato anche molti altri campi. Varrebbe forse la pena considerarlo provocatoriamente prima di tutto un filosofo, nel senso "classico" del termine, per la sua inimitabile capacità di passare da un campo all'altro dello scibile umano creando sintesi assolutamente originali che spesso sono state descritte come olistiche. Due delle sue opere più influenti sono Verso un'ecologia della Mente (1972) e Mente e Natura (1980). In vita, Bateson era famoso soprattutto per aver sviluppato la teoria del doppio legame per spiegare la schizofrenia.

Filosofia da due soldi: Quando la filosofia fa male: il rischio di pensare troppo

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