venerdì 30 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Rorty 1931

 

Richard Rorty (1931–2007)

Il filosofo che trasformò la verità in una pratica di conversazione

Immagina la filosofia come una grande sala da pranzo. Per secoli molti pensatori hanno cercato “la ricetta perfetta” — la Verità con la V maiuscola — capace di valere sempre e per chiunque. Richard Rorty entra in quella sala, si siede, ascolta, e poi propone un cambio di menu: smettiamo di cercare la ricetta definitiva e impariamo, invece, a cucinare meglio insieme. La filosofia, dice, non deve essere il giudice supremo che misura tutto, ma una forma di conversazione creativa che aiuta le persone a capirsi e a vivere con più giustizia.

Una vita tra scuole diverse

Rorty nasce a New York nel 1931, in una famiglia di intellettuali progressisti. Studia prestissimo (entra all’università da giovanissimo), si forma nella tradizione analitica americana, poi insegna a lungo a Princeton. Negli anni Ottanta si sposta verso le humanities a Virginia e quindi a Stanford, segno visibile della sua “traversata”: da specialista del linguaggio e della logica a pensatore pubblico che dialoga con letteratura, politica e cultura. Non cambia mestiere: allarga l’officina.

La svolta: addio “specchio della natura”

La tesi centrale che lo rende famoso è un addio. Rorty saluta l’idea che la conoscenza sia uno “specchio” che riflette la realtà così com’è. Non esiste un punto d’osservazione neutro fuori dal linguaggio, fuori dalla storia, fuori dalle pratiche umane. Esistono, invece, usi del linguaggio più o meno utili a risolvere problemi, a coordinare azioni, a ridurre la sofferenza.

Per dirla semplice: non ci sono “fondamenta” ultime su cui costruire tutto (questo è il suo anti-fondazionalismo). Ci sono strumenti che funzionano meglio o peggio in contesti concreti. La filosofia, allora, somiglia meno all’architettura di un palazzo perfetto e più a una cassetta degli attrezzi.

Da “verità” a “solidarietà”

Quando chiediamo “che cos’è vero?”, Rorty sposta l’attenzione da un cielo di idee eterne alla pratica di una comunità che decide cosa accettare come buone ragioni. Non propone cinismo né “tutto è uguale”: propone una responsabilità linguistica. Una tesi è “vera” se regge nella prova degli scambi argomentativi tra pari, se aiuta a prevedere, curare, cooperare, includere. La posta in gioco non è un certificato metafisico, ma la vita che ci costruiamo insieme.

Da qui il suo motto politico: meno ossessioni sull’“oggettività ultima”, più impegno per allargare la cerchia della solidarietà. Non dobbiamo scoprire un’essenza comune nascosta in tutti; dobbiamo raccontarci storie migliori per riconoscere gli altri come simili a noi, degni di rispetto e protezione.

Il lessico che ci fa (e ci disfa)

Rorty ama parole come contingenza e redescription (ri-descrizione). “Contingente” significa: avrebbe potuto andare diversamente. Anche il nostro vocabolario finale — quell’insieme di parole con cui, alla fine, giustifichiamo noi stessi (“libertà”, “dignità”, “progresso”, “sacro”, “scientifico”) — non è scolpito nella roccia. È il risultato di storie, incontri, traumi, letture. Cambiando il modo di parlare, cambiamo noi stessi.

Esempio. Pensa alla parola “malattia mentale” rispetto a “sofferenza psichica”. La prima può spingere verso protocolli medici e istituzioni; la seconda apre più spazio a narrazioni personali e diritti. Nessuna delle due cattura “l’essenza” una volta per tutte; ciascuna orienta azioni diverse. Per Rorty, il lavoro etico e politico è spesso un lavoro di riconio del vocabolario.

Il “liberale ironico”

In Contingenza, ironia e solidarietà Rorty disegna il profilo del liberale ironico:

  • Liberale, perché mette al centro la riduzione della crudeltà, la protezione dei deboli, lo Stato di diritto.
  • Ironico, perché sa che anche i suoi ideali sono storici e rivedibili; non pretende di possedere la lingua definitiva del Bene.

Questa combinazione non porta al relativismo indifferente; porta a un’etica della cura e della prudenza: difendo con forza i diritti, ma senza trasformare le mie parole in idoli. Combatto per la libertà di stampa non perché “lo dice la Natura”, ma perché la storia mostra che dove si può parlare, si soffre meno e si correggono meglio gli errori.

Scienza senza pedestallo (ma senza disprezzo)

Rorty non sminuisce la scienza: ne ammira la capacità di risolvere problemi e di coordinare pratiche complesse. Semplicemente le toglie il pedestallo metafisico. Gli scienziati non possiedono una finestra privilegiata sull’essere; possiedono metodi efficaci per fare cose affidabili nel mondo. Questo basta — ed è già moltissimo.

Esempio. Dire che l’elettrone è “reale” non aggiunge nulla di pratico al linguaggio della fisica che ci permette di costruire circuiti, risonanze magnetiche, satelliti. Quel linguaggio funziona: per Rorty è il suo vero titolo di nobiltà.

Che cosa chiedere alla filosofia

Rorty distingue tra due stili:

Lui sceglie la seconda. Non perché l’ordine sia inutile, ma perché, dice, nelle epoche di cambiamento abbiamo più bisogno di immaginazione che di dogmi.

Le obiezioni (e le sue risposte)

  • “Se la verità è solo ciò che accettiamo in conversazione, allora vale tutto.”
    Rorty risponde: non vale tutto, valgono gli esiti nei contesti. Conversazioni ben regolamentate (tribunali, riviste scientifiche, parlamenti, movimenti civili) producono criteri esigenti; altre conversazioni, meno. Il punto è costruire istituzioni che rendano le conversazioni più inclusive e meno crudeli.
  • “Senza fondamenti, come difendo i diritti?”
    Con storie e pratiche che mostrano perché è meglio per tutti vivere in società meno crudeli. Non c’è garanzia eterna; c’è lavoro politico continuo.
  • “Non è tutto linguaggio? E il mondo?”
    Il mondo c’è, eccome; ma lo incontriamo attraverso descrizioni. Cambiare descrizione non crea o distrugge montagne, ma cambia ciò che possiamo fare con esse (minarle, proteggerle, sacralizzarle, calcolarne i rischi).

Un’idea politica semplice (e impegnativa)

In politica Rorty resta un riformista di sinistra. Invita la cultura progressista a parlare in modo persuasivo a chi lavora, a chi sta ai margini, evitando toni di superiorità. Quando le élite smettono di offrire speranze concrete (salari, scuole, sanità, dignità del lavoro), si apre la strada ai demagoghi. La soluzione non è “avere l’argomento ultimo”, ma ricostruire fiducia attraverso linguaggi, progetti e istituzioni che mantengano promesse.

Perché leggere Rorty oggi

Una piccola guida all’uso

  1. In classe o in azienda: quando si litiga su “cos’è davvero la meritocrazia”, provate a riscriverne il vocabolario in tre versioni: giuridica, narrativa (storie di persone), gestionale (processi, incentivi). Noterete che cambiano criteri e decisioni: ecco Rorty in azione.
  2. Nel dibattito pubblico: invece di chiedere “chi ha la Verità?”, chiediamo “quale linguaggio permette a più persone di stare meglio senza escludere nessuno?”. È una domanda meno brillante in astratto, ma più utile.
  3. Nella vita personale: quando un’etichetta ti schiaccia (“fallito”, “inadatto”), prova una ri-descrizione: “sto attraversando una fase difficile” apre altri gesti, altre richieste di aiuto, altre possibilità.

Libri per iniziare (in ordine amichevole)


Richard Rorty ci lascia un’eredità sobria e coraggiosa: meno ansia di fondare, più cura nel conversare. Non promette un’ultima parola; ci invita a cercare parole migliori, quelle che — qui e ora — aiutano più persone a vivere una vita decente. E questo, per lui, è già un risultato filosofico all’altezza delle grandi ambizioni umane.


giovedì 29 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Derrida 1930

Jacques Derrida 1930

 

Jacques Derrida, nato Jackie Derrida (1930–2004) filosofo francese di origine algerina, allievo di Althusser e Foucault, è stato direttore di ricerca presso l'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi.
Prendendo spunto da Husserl,  Heidegger, de Saussure, Nietzsche e Freud, Derrida ha elaborato un percorso filosofico originale che si caratterizza come decostruzione della metafisica della presenza.
I primi lavori di Derrida si situano all'interno del dibattito fra storicismo e strutturalismo impostosi negli '40 e '50, e riguardano in particolare le soluzioni al problema della genesi delle idee (genesi storica o metastorica, ovvero strutturale?).
Nel 1966 tiene la prima di una lunga serie di conferenze negli Stati Uniti e si afferma soprattutto come studioso della lingua e della scrittura e pubblica La scrittura e la differenza, La voce e il fenomeno e Della grammatologia.
La riflessione di Derrida ha esercitato influenza nell'ambito della letteratura, del diritto, dell'architettura e dell'arte in generale, ma per lo stile di scrittura, particolarmente complesso ed ellittico, da più parti il suo pensiero è stato ritenuto più vicino a una forma letteraria che a una rigorosa elaborazione filosofica, e la centralità del tema della decostruzione, ha spinto alcuni a ritenere il suo un pensiero nichilista, che esita nello scetticismo e nel solipsismo più assoluti, giacché la decostruzione mostrerebbe l'infondatezza e la precarietà di tutta la tradizione del pensiero occidentale.

mercoledì 28 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Dahrendorf 1929

Ralf Gustav Dahrendorf 1929

Ralf Gustav Dahrendorf, Barone Dahrendorf (Amburgo, 1º maggio 1929 – Colonia, 17 giugno 2009), è stato un sociologo, politologo e politico tedesco naturalizzato britannico.Di ispirazione liberale, Dahrendorf appartiene al filone della prospettiva del conflitto, e più precisamente ai teorici analitici di stampo weberiano.

Dal 1969 al 1970 è stato membro del parlamento tedesco per il Partito Liberale Democratico e Segretario di stato nel Ministero degli esteri tedesco. Nel 1970 è divenuto membro della Commissione europea a Bruxelles, da cui si dimise nel 1974.Dal 1974 al 1984 è stato direttore della London School of Economics e, dal 1987 al 1997, Warden (l'equivalente del CEO o dell'amministratore delegato per una università) del St. Antony College all'Università di Oxford.Avendo adottato la cittadinanza britannica nel 1988, nel 1993 è stato nominato Lord a vita dalla regina Elisabetta II con il titolo di "Baron Dahrendorf of Clare Market in the City of Westminster".È stato primo patron dell'Internazionale liberale.I filoni della sua analisi sono essenzialmente due: le teorie della società e i fattori del conflitto.Egli sostiene che la tendenza al conflitto è insita nel sistema, nel quale coesistono gruppi con e senza potere, che perseguono interessi diversi.Molto forte in Dahrendorf è il concetto di "potere", che egli definisce, sulla scia di Max Weber, come la capacità di far fare agli altri quello che si vuole, cioè di farsi obbedire. Il potere determina la struttura sociale, anche in maniera coercitiva.Le "norme" - altro concetto chiave - sono stabilite e mantenute dal potere, e servono a tutelare degli interessi. Sono quindi funzionali agli interessi del potere e non frutto del consenso sociale. Una prova di ciò è nel fatto che a tutela delle norme sono previste delle sanzioni.Le norme, sostenute dal potere, definiscono i criteri di desiderabilità sociale, cioè le cose (valori, status, ambizioni, etc.) che sono generalmente desiderate dalla collettività. Questo contribuisce a stabilire un ordine gerarchico di status sociali. Le norme creano anche discriminazione verso chi non vi si conforma.Un altro concetto importante è quello di "autorità", in rapporto a quello di potere: l'autorità è l'esercizio del potere, ma con legittimità ed entro certi limiti. Per capire meglio si può far un esempio: un'università ha l'autorità sufficiente per chiedere la retta annuale ai propri iscritti, ma non, ad esempio, per estorcere prestazioni personali di altro tipo. Un ladro, invece, ha il potere di estorcere denaro, ma non l'autorità.Dahrendorf sostiene che la divisione in classi è determinata dal possesso o meno di autorità: il conflitto (di classe) coinvolge solo due parti, e l'autorità è ciò che le separa.Per quanto riguarda la mobilitazione e la protesta sociale, Dahrendorf, afferma che sono necessari quattro tipi di requisiti perché questa abbia luogo: tecnici (un fondatore, un'ideologia o uno statuto); politici (uno stato liberale, a differenza di uno autoritario, favorisce la protesta); sociali (la concentrazione geografica dei membri del gruppo, la facilità di comunicazione ed il reclutamento simile); psicologici (gli interessi da difendere devono apparire reali).Il conflitto sarà caratterizzato dal livello di violenza (il "tipo di armi", anche in senso metaforico, usato) e intensità, intesa come livello di dispendio di energie nella lotta.Il conflitto avviene tra chi dà e chi riceve ordini. Nello stato vi è una classe dirigente e una burocrazia composta di individui che contribuiscono a far sì che gli ordini del vertice siano rispettati da tutti. La presenza di questa burocrazia allarga la base del consenso. Vi è anche un conflitto tra governo e industria.

Corso di storia della filosofia: Alberoni 1929

Francesco Alberoni 1929

 

Francesco Alberoni (Borgonovo Val Tidone, 31 dicembre 1929) è un sociologo, giornalista, scrittore, docente e rettore italiano. Dopo aver studiato al Liceo Scientifico Respighi di Piacenza si trasferì a Pavia, dove fu allievo del Collegio Cairoli e si laureò in Medicina nel 1953. Sempre a Pavia studiò psichiatria, con Carlo Berlucchi e Gildo Gastaldi, e statistica stocastica con Giulio Maccacaro, divenendo allievo di Sir Ronald Fisher.

Studiò a Milano psicoanalisi con Franco Fornari, matematica e teoria dell'informazione con Guido Bortone, studiando inoltre con padre Agostino Gemelli. Fece ricerche sulla probabilità soggettiva pubblicate sul Journal of General Psycology nel 1959 e nel 1960.
Studiò con Alfred McClung Lee mezzi di comunicazione di massa. Fece ricerche sul divismo, che descrisse come pettegolezzo collettivo in una società di massa e con mezzi di comunicazione di massa (L'élite senza potere, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 1961).
In campo sociologico si occupò in modo sistematico delle discontinuità sociali e del processo per cui l'ordine sorge dal caso, e da qui nacque l'idea guida per la comprensione dei movimenti collettivi. Nelle sue ricerche fu in stretto rapporto con eccellenze del pensiero come Edgar Morin, Roland Barthes, Alain Touraine, Serge Moscovici, Michel Maffesoli, David Riesman, Neil Smelser, Samuel Bellah, Norman Brown e Sasha Weitman, con i quali collaborò partecipando a studi congiunti.
Dal 1982 al 2011, ogni lunedì, il Corriere della Sera ha ospitato in prima pagina una sua rubrica intitolata "Pubblico e privato".
Alberoni ha condotto studi nel campo della sociologia delle passioni individuali e collettive e, in particolare, dei movimenti collettivi e dell'innamoramento. Il testo univocamente identificato come pietra angolare della costruzione del pensiero sociologico di Alberoni è il libro Movimento e istituzione (1977). Il concetto sviluppato nel libro gravita attorno alla definizione dello stato nascente, la "condizione nascente", il momento in cui la leadership, le idee, la comunicazione si fondono dando origine al movimento. Questo primo lavoro era stato preceduto da Consumi e società (1964), altro testo indicato come prodromo dell'analisi dei consumi e dei consumatori e della nascita delle tecniche di marketing. Esiste un'edizione CDE su licenza Garzanti con Innamoramento e Amore e Le ragioni del bene e del male in un unico volume. Nel 1979 Alberoni pubblica Innamoramento e amore, in cui argomenta come l'innamoramento sia lo stato nascente di un movimento collettivo composto esclusivamente da due persone. La tesi centrale del libro, più volte ribadita, è che l'innamoramento costituisce il tentativo effettuato da due persone di operare una "rivoluzione" affettiva, morale e pragmatica delle loro vite. La tesi è debitrice, al sociologo Max Weber, del concetto di mutamento sociale provocato da una personalità carismatica, ma da una parte riporta la possibilità di questo mutamento al più piccolo movimento sociale esistente (la coppia), dall'altra la rivela come attitudine intrinseca a ciascun essere umano, non appannaggio delle sole "personalità carismatiche". Il testo è stato tradotto in diverse lingue, ha avuto decine di edizioni ed è tuttora ristampato.
Tra i lavori successivi ci sono L'amicizia (1984), tradotto in 13 lingue, e L'erotismo (1986), nel quale vengono confrontati l'erotismo maschile e quello femminile. Il libro vanta diverse traduzioni, anche nei paesi del Nord Europa e in Giappone.
Nel 1989 viene pubblicato L'altruismo e la morale. Nel 1991 esce Gli invidiosi, seguito da Il volo nuziale (1992), dove vengono esaminate le cotte pre-adolescenziali e adolescenziali per le star del cinema, e quindi la generale tendenza femminile a ricercare oggetti d'amore superiori. Nel 1994 riprendono, con L'ottimismo, le tematiche psicologiche - sociali.
L'ultima opera sui movimenti collettivi, che rappresenta il coronamento e l'esposizione generale della teoria di tali movimenti, è Genesi (1989), dove l'autore espone la teoria della democrazia e della formazione delle "civilizzazioni culturali", i grandi complessi istituzionali nati da movimenti come il Cristianesimo, l'Islam, e il Marxismo. L'opera è una straordinaria sintesi di tutto il lavoro sociologico alberoniano precedente e studia con sistematicità la discontinuità dei processo socio-storici.
Nel 1996 pubblica un'opera sistematica sull'innamoramento, la formazione, la durata e la crisi della coppia, con il saggio Ti amo, tradotto anche in cinese.

Nel 2002 pubblica La speranza, definendo questa virtù "la più importante per la vita".

Corso di storia della filosofia: Severino 1929

Emanuele Severino 1929

Emanuele Severino è un filosofo italiano nato il 26 febbraio 1929 a Brescia, Italia. È noto per le sue importanti riflessioni sulla filosofia dell'essere e della storia. Tra i concetti chiave del suo pensiero vi è la nozione di "eternità" e la sua critica all'idea tradizionale di temporalità.Uno dei lavori più noti di Severino è il libro "La struttura originaria" pubblicato nel 1966, in cui sostiene che l'essere è eterno e immutabile, contrariamente all'idea tradizionale di un mondo in costante cambiamento e divenire. Questo concetto di eternità non si riferisce a una sorta di eternità trascendente, ma piuttosto a un'eternità che è presente in ogni momento dell'esperienza umana.Severino ha anche affrontato questioni legate alla filosofia della storia, sostenendo che la storia non è un progresso lineare, ma piuttosto un ciclo eterno di ripetizioni. Questa prospettiva ha importanti implicazioni per la nostra comprensione del tempo e della nostra esistenza. Il pensiero di Emanuele Severino ha suscitato un dibattito significativo tra gli studiosi della filosofia e ha influenzato altri filosofi contemporanei. La sua ricerca e il suo lavoro sono stati influenti soprattutto in Italia e in Europa.

Corso di storia della filosofia: Baudrillard 1929

Jean Baudrillard 1929


Jean Baudrillard: il filosofo del simulacro e del mondo oltre il reale

Jean Baudrillard (Reims, 1929 – Parigi, 2007) è una delle figure più originali, controverse e influenti del pensiero francese del secondo Novecento. Sociologo, filosofo, critico dei media e osservatore implacabile della contemporaneità, ha sviluppato una riflessione radicale sul rapporto tra realtà, rappresentazione e tecnologia, anticipando molti tratti del presente digitale. Per Baudrillard, il mondo in cui viviamo non è più definito dalla realtà in senso classico, ma da un universo di simulacri, cioè immagini, modelli e rappresentazioni che non rimandano più a un referente reale: simulazioni che finiscono per sostituire il mondo stesso.

1. Dal marxismo eterodosso alla critica dei consumi

Baudrillard si forma in ambiente sociologico, vicino ad alcune categorie marxiane ma già critico verso il materialismo ortodosso. Nei primi lavori, come Il sistema degli oggetti (1968) e La società dei consumi (1970), analizza la vita quotidiana come un insieme di segni, codici, rituali simbolici. Gli oggetti non valgono più per il loro uso, ma per ciò che rappresentano all’interno di un sistema di differenze: sono significanti sociali.
Siamo davanti a una società in cui il consumo non risponde a bisogni reali ma a una logica simbolica; non compriamo oggetti, ma identità. Già qui emerge il tratto distintivo del suo pensiero: l’erosione della realtà materiale a favore del suo doppio simbolico.

2. Simulazione e iperrealtà

Negli anni Settanta e Ottanta Baudrillard sviluppa il nucleo concettuale più noto della sua filosofia: la teoria della simulazione. Nel celebre Simulacres et Simulation (1981), sostiene che la nostra epoca non si limita a rappresentare la realtà, ma la sostituisce con modelli che funzionano meglio del reale stesso. È l’era dell’iperrealtà, uno spazio dove realtà e finzione si confondono al punto da diventare indistinguibili.

Per spiegare il meccanismo, Baudrillard distingue tre ordini di simulacro:

  1. Il simulacro classico, legato alla contraffazione, dove ancora esiste un originale.
  2. Il simulacro industriale, basato sulla serialità, dove l’originale perde di significato.
  3. Il simulacro contemporaneo, che non imita né riproduce, ma simula: crea un reale “più vero del vero”, senza origine e senza autenticità.

L’effetto è devastante: la distinzione fra vero e falso, realtà e rappresentazione, si dissolve. Una Disneyland che rassicura sulla “verità” dell’America, una politica ridotta a performance mediatica, un’informazione che produce eventi invece di narrarli: tutti esempi di iperrealtà.

3. Media, potere e scomparsa del sociale

Baudrillard vede nei media elettronici e poi digitali un dispositivo capace di generare simulazione continua. I media non informano: creano realtà, moltiplicano eventi, costruiscono consenso o panico, dissolvono i legami sociali. Da qui nasce l’idea della “morte del sociale”: la società non è più un corpo organico, ma una costellazione di flussi comunicativi che simulano partecipazione e democrazia.

Anche la politica diventa parte dello spettacolo. Per Baudrillard la democrazia moderna vive di “messa in scena”, di sondaggi, di retorica televisiva: una partecipazione simulata che sostituisce l’azione reale. Nel celebre saggio sulla Guerra del Golfo (“La guerra del Golfo non è mai avvenuta”), Baudrillard insiste che l’evento percepito dall’opinione pubblica non è la guerra com’era sul campo, ma la guerra mediaticamente costruita.

4. La virtualizzazione del mondo

Con l’avvento dell’era digitale, il pensiero di Baudrillard assume una sorprendente attualità. Internet, i social network, i videogiochi, la realtà virtuale: tutti questi fenomeni sembrano confermare la sua diagnosi dell’iperrealtà. Il virtuale non si oppone più al reale: lo ingloba, lo potenzia, lo supera. L’identità diventa un profilo, l’esperienza una sequenza di immagini condivise, il valore un algoritmo.

Per Baudrillard, il rischio non è tecnologico, ma antropologico: la progressiva sostituzione dell’esperienza diretta con il suo doppio immateriale rende l’essere umano spettatore della propria vita. L’uomo postmoderno non agisce: simula di agire.

5. Stile e metodo

La scrittura di Baudrillard è volutamente aforistica, paradossale, provocatoria. Non cerca la sistematicità accademica, ma l’effetto critico, la destabilizzazione. È un pensatore che procede per lampi, intuizioni, rovesciamenti del senso comune. Questo lo rende affascinante e allo stesso tempo difficile da collocare: sociologo? Filosofo? Antropologo dei media? Probabilmente tutto ciò insieme.

6. Eredità e attualità

L’influenza di Baudrillard è oggi evidente non solo nelle scienze sociali, ma anche negli studi sui media, nella comunicazione politica, nella critica culturale, nell’arte contemporanea. Molte sue intuizioni anticipano la logica dei social network, delle fake news, degli influencer, della gamification dell’identità.

La sua sfida resta aperta: come vivere in un mondo dove il reale è stato assorbito dalla simulazione? Baudrillard non offre soluzioni, ma un atteggiamento: guardare l’iperrealtà con lucidità, smascherarne i meccanismi, non credere troppo alle narrazioni dominanti. È un pensatore che ci obbliga a diffidare, a mettere in sospetto ciò che appare ovvio.

Conclusione

Jean Baudrillard è il filosofo che ha visto prima di tutti la trasformazione della società tardo-moderna in una gigantesca macchina di simulazione. La sua riflessione, spesso giudicata eccessiva o nichilista, è invece un prezioso strumento critico per comprendere la condizione contemporanea: un mondo dove l’immagine ha divorato la realtà, e dove la verità è diventata una funzione della visibilità.

In un’epoca dominata da algoritmi, realtà virtuali e narrazioni mediatiche, Baudrillard resta un compagno di viaggio indispensabile. Non perché offra risposte, ma perché insegna a mettere in discussione ogni risposta troppo semplice in un mondo che semplice non lo è più.


Corso di storia della filosofia: Habermas 1929

 Jürgen Habermas 1929

 

Jürgen Habermas (1929) è un filosofo, storico e sociologo tedesco nella tradizione della Teoria critica della Scuola di Francoforte (formata anche da T. W. Adorno, M. Horkheimer, H. Marcuse, E. Fromm).
Nei suoi scritti occupano una posizione centrale le tematiche epistemologiche inerenti alla fondazione delle scienze sociali reinterpretate alla luce della "svolta linguistica" della filosofia contemporanea; l'analisi delle società industriali nel capitalismo maturo; il ruolo delle istituzioni in una nuova prospettiva dialogico emancipativa in relazione alla crisi di legittimità che mina alla base le democrazie contemporanee e i meccanismi di formazione del consenso.
La sua elaborazione filosofica lo ha visto sempre impegnato nella critica del metodo del conoscere oggettivamente. Questo lo ha condotto sulla via della fondazione di una nuova ragione comunicativa che egli ritiene che possa liberare l'umanità dal principio di autorità. Infatti considera che solo il paradigma conoscitivo intersoggettivo quale elemento fondativo di una nuova ragione comunicativa va ben al di là di un astratto paradigma della soggettività di cui peraltro sollecita l'abbandono.
Ha studiato a Gottinga (1949/50), Zurigo (1950/51) e Bonn (1951-54) dove nel 1954 si laurea con una tesi dal titolo: L'Assoluto e la storia. Sull'ambivalenza nel pensiero di Schelling.
Ottiene l'abilitazione nel 1961 a Marburgo con lo scritto Mutamenti di struttura dell'opinione pubblica. Ricerche su una categoria della società civile, pubblicato successivamente in Italia come Storia e critica dell'opinione pubblica. Da quel momento inizia la carriera come professore di filosofia all'Università di Heidelberg, dove insegna fino al 1964. Dal 1964 al 1971 Habermas è stato professore di filosofia e sociologia alla Goethe-Universität di Francoforte. Nel 1971 si trasferisce a Starnberg nei pressi di Monaco, dove insieme a Carl Friedrich von Weizsäcker guida il "Max-Planck-Institut per la ricerca delle condizioni vitali del mondo tecnico scientifico". Nel 1981 pubblica il suo lavoro più importante, Teoria dell'agire comunicativo.
Nel 1983 torna a Francoforte dove gli viene assegnata la cattedra di filosofia con specializzazione in filosofia sociale e filosofia della storia e nel 1994 viene nominato Professore Emerito.
La teoria habermasiana contiene una logica dei livelli di sviluppo dell'umanità. Si può affermare che tanto più il "sistema"si forma differenziando se stesso e aumentando la propria complessità tanto maggiore sarà la colonizzazione della Lebenswelt da parte del "sistema", e tanto più gli uomini interiorizzeranno le imposizioni eteronome e sociali come imposizioni autonome individuali.
Habermas è anche noto per aver elaborato insieme a Karl-Otto Apel l'Etica del Discorso nella quale appoggiandosi alla struttura etica di una situazione dialogica ideale fa riferimento alla Teoria degli atti linguistici per definire le condizioni preliminari del Discorso libero da condizionamenti.
Il discorso pubblico si pone come modello di un agire comunicativo che indica la possibilità di un'unione sociale non coercitiva, basata sul criterio di riconoscimento intersoggettivo non violento, orientato all'intesa. Ad esso si oppone l'agire strumentale organizzato dalle logiche della tecnica e del dominio.

domenica 25 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Illich 1926

Ivan Illich 1926

Ivan Illich (Vienna, 4 settembre 1926 – Brema, 2 dicembre 2002) è stato uno scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco. Personaggio di vasta cultura, viene citato spesso come teologo (definizione da lui stesso rigettata), poliglotta e storico. Viene però più spesso ricordato come libero pensatore, capace di uscire da qualsiasi schema preconcetto e di anticipare riflessioni affini a quelle altermondiste. Estraneo a qualsiasi inquadramento precostituito, la sua visione è strettamente affine all'anarchismo cristiano. Vice rettore dell'Università di Porto Rico e fondatore in Messico del Centro Intercultural de Documentación (CIDOC), ha focalizzato gran parte della sua attività in America Latina.
Il suo essenziale interesse fu rivolto all'analisi critica delle forme istituzionali in cui si esprime la società contemporanea, nei più diversi settori (dalla scuola all'economia e alla medicina), ispirandosi a criteri di umanizzazione e convivialità, derivati anche dalla fede cristiana, così da poter essere riconosciuto come uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi.
Nel 1944 si iscrisse alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con il progetto di diventare prete, e nel 1951 fu ordinato presbitero. Prestò servizio come assistente parrocchiale a New York, nella diocesi retta dal cardinal Francis Joseph Spellman. Nel 1956 fu nominato vice-rettore della Pontificia Università Cattolica di Porto Rico, e nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca, in Messico, che aveva il compito di preparare i preti e i volontari dell'Alleanza per il Progresso alle missioni nel continente americano.
Dopo dieci anni l'attività di analisi critica del CIDOC, l'elaborazione del manifesto dei descolarizzatori e la pubblicazione dei primi cinque testi fortemente critici con le istituzioni moderne, si acuisce il conflitto con il Vaticano. In seguito a contrasti con i membri della Sacra Congregazione Pro Doctrina Fidei Illich subisce un interrogatorio durante il quale gli vengono fatte domande sulle attività condotte nei suoi centri di documentazione e sulle sue posizioni politiche e religiose. Successivamente gli viene chiesto di rispondere per iscritto alle domande, ma Illich si appella alla facoltà di non rispondere. Il suo processo non viene mai portato a termine, Illich decide di astenersi dal celebrare la messa pur mantenendo il celibato. Di fatto non viene mai scomunicato, restando un "monsignore atipico".
Nel 1977 insegnò alla Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento dove tenne lezioni e organizzò seminari, diventando presto un riferimento per il movimento studentesco.
Secondo Ivan Illich la crisi planetaria ha le sue radici nel fallimento dell'impresa moderna: cioè la sostituzione della macchina all'uomo. In La convivialità egli prova a individuare il limite critico all'interno della millenaria triade uomo, strumento, società oltre il quale non è più possibile mantenere un equilibrio globale, l'uomo diventa schiavo della macchina e la società iper-industriale diviene irrispettosa di scale e limiti naturali. Illich scrive che c'è un uso della scoperta che conduce alla specializzazione dei compiti, alla istituzionalizzazione dei valori, alla centralizzazione del potere: l'uomo diviene l'accessorio della megamacchina, un ingranaggio della burocrazia. Ma c'è un secondo modo di mettere a frutto l'invenzione, che accresce il sapere e il potere di ognuno, consentendo a ognuno di esercitare la propria creatività senza per questo negare lo stesso spazio d'iniziativa e di produttività agli altri. «Se vogliamo –continua Illich– poter dire qualcosa sul mondo futuro, disegnare i contorni di una società a venire che non sia iper-industriale, dobbiamo riconoscere l'esistenza di scale e limiti naturali. Esistono delle soglie che non si possono superare. Infatti, superato il limite, lo strumento da servitore diviene despota. Oltrepassata la soglia, la società diventa scuola, ospedale, prigione e comincia la grande reclusione.»
Illich chiamava società conviviale una società in cui lo strumento moderno sia utilizzabile dalla persona integrata con la collettività, e non riservato a un gruppo di specialisti che lo tiene sotto il proprio controllo. Conviviale per Illich è la società in cui prevale la possibilità per ciascuno di usare lo strumento per realizzare le proprie intenzioni. L'uomo a cui pensava Illich non era un uomo che vive solo di beni e servizi, ma della libertà di modellare gli oggetti che gli stanno attorno, di conformarli al proprio gusto, di servirsene con gli altri e per gli altri. Nei paesi ricchi i carcerati dispongono spesso di beni e servizi in quantità maggiore delle loro famiglie, ma non hanno voce in capitolo riguardo al come le cose sono fatte, né diritto di interloquire sull'uso che se ne fa: degradati al rango di consumatori utenti allo stato puro, sono privi di convivialità.
La critica di Illich delle scuole, delle università e delle istituzioni fu una critica del loro potere di distruggere la nostra capacità di vivere dignitosamente l'uno con l'altro. Egli contrappose la "ricerca o scienza per la gente" condotta nelle università alla "scienza della gente". Tale ricerca, condotta da soli o in piccoli gruppi, ha un'attinenza diretta con chi vi si è impegnato.

Corso di storia della filosofia: Foucault 1926

Paul Michel Foucault 1926

Paul Michel Foucault (1926 –1984) filosofo, archeologo dei saperi, saggista letterario, professore al Collège de France, tra i grandi pensatori del XX secolo, realizzò il progetto propugnato da Nietzsche che segnalava la mancanza di una storia della follia, del crimine e del sesso.Egli studiò lo sviluppo delle prigioni, degli ospedali, delle scuole e di altre grandi organizzazioni sociali, teorizzando il modello carcerario del panopticon, ideato da Jeremy Bentham come paradigma della società moderna. Importanti sono anche i suoi studi sulla sessualità, con particolare attenzione agli ultimi due secoli, epoca in cui la sfera del sesso è oggetto di volontà di sapere e di potere nonché di pratica confessionale.Foucault studia filosofia e psicologia all’École Normale Supérieure con Maurice Merleau-Ponty e Louis Althusser, ma gli anni giovanili sono ossessionati dal problema della sua omosessualità, con ripetuti tentativi di suicidio ed abuso di alcolici.

Nel 1961 pubblica Storia della follia nell'età classica.
Nel 1963 esce Nascita della Clinica: un’archeologia dello sguardo medico.

Nel 1969 pubblica L’archeologia del sapere. In queste opere analizza i processi di costituzione e di formazione del sapere nelle scienze umane, introducendo il concetto di episteme, vale a dire l'insieme delle formazioni discorsive performanti per i sistemi concettuali di una determinata epoca storica, in un determinato contesto geografico e sociale.
Nel 1970 è professore di Storia dei Sistemi di Pensiero al Collège de France. Dai suoi corsi nascerà nel 1975 Sorvegliare e punire: nascita della prigione. Il tema della microfisica del potere viene affrontato secondo un modello di funzionamento che si esercita attraverso un'organizzazione reticolare, circolare, che funziona solo a catena. Non c’è netta divisione tra coloro che lo detengono e coloro che lo subiscono. Il potere non è mai localizzato esclusivamente nelle mani di alcuni come una ricchezza o un bene. E’ qualcosa che condiziona ma che lascia margini di gioco, di distorsione, di sviluppo.
Nel 1976 esce il primo volume della Storia della sessualità, La volontà di sapere; cui seguiranno nel 1984 gli altri due volumi L’uso dei piaceri e La cura di sé. In essa si sostiene che attraverso i nostri desideri, si creano nuove forme di relazione, nuove forme d’amore, nuove forme di creazione. Il sesso non è dunque una fatalità; ma possibilità di una vita creativa.
Con la modernità la sessualità ci appare come una caratteristica intrinseca al sé, a tal punto da sentire il bisogno di dichiarare una identità sessuale e addirittura le proprie scelte sessuali.
Nel 1966 esce Le parole e le cose. E’ errato però credere che questa sia la conquista di una sessualità repressa nei secoli che solo ora, attraverso lotte di emancipazione, viene ad esprimersi. Si tratta piuttosto di una pratica confessionale che prosegue in maniera diffusa la volontà di potere e di sapere delle istituzioni religiose e secolari. Il sapere è oggi un mezzo per sorvegliare la gente e controllarla, non più in maniera brutalmente repressiva come in passato, ma con una raffinatezza più funzionale e pervasiva, un biopotere, che costruisce corpi e desideri.

sabato 24 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Bauman 1925

Zygmunt Bauman 1925


Zygmunt Bauman (1925-2017) sociologo e filosofo polacco di origini ebraico – polacche, fuggì nella zona di occupazione sovietica dopo che la Polonia fu invasa dalle truppe tedesche nel 1939 all'inizio della seconda guerra mondiale, e successivamente si mise al servizio di una unità militare sovietica. Dopo la guerra diventa allievo di Ossowsky e durante una permanenza alla London School of Economics, prepara una importante dissertazione sul socialismo britannico (1959). Nel marzo del 1968, in seguito ad una epurazione antisemita in Polonia emigrò in Israele per andare a insegnare all'Università di Tel Aviv; e successivamente dal 1971 all'Università di Leeds. Celebri i suoi scritti riguardanti la connessione tra la cultura della modernità e il totalitarismo, in particolar modo il nazionalsocialismo e l'Olocausto (Modernità e olocausto). Allontanatosi dal marxismo dopo aver focalizzato le sue ricerche sui temi della stratificazione sociale e del movimento dei lavoratori, si è elevato ad ambiti più generali come la natura della modernità e il passaggio dalla modernità alla post-modernità, paragonate rispettivamente allo stato solido e liquido della società. (Modernità liquida, Vita liquida)
Per lui l'incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. L'esclusione sociale non si basa più sull'estraneità al sistema produttivo o sul "non poter comprare l'essenziale", ma del "non poter comprare per sentirsi parte della modernità". Il "povero", nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi "come gli altri", cioè non sentirsi accettato nel ruolo di consumatore. La critica alla mercificazione delle esistenze e all'omologazione planetaria si fa spietata soprattutto in Vite di scarto, Dentro la globalizzazione e Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi
Bauman ha vinto il Premio Europeo Amalfi per la Sociologia e le Scienze Sociali nel 1992 e il Premio Theodor W. Adorno della città di Francoforte nel 1998.

Corso di storia della filosofia: Deleuze 1925

Gilles Deleuze 1925

Gilles Deleuze (1925–1995) filosofo francese tra i più influenti del XX secolo e tra i più prestigiosi esponenti della Nietzsche  renaissance. Benché definito post-strutturalista e post-moderno, il pensiero di Deleuze risulta in realtà di difficile classificazione. 
Fa i suoi studi filosofici alla Sorbona di Parigi, dov'è allievo di Jean Hyppolite e Ferdinand Alquié, e frequenta Jacques Lacan, Pierre Klossowski e Michel Foucault. Insegna filosofia nei licei parigini, quindi all'Università di Lione ed infine alla Sorbona. 
Il suo primo libro Empirismo e Soggettività si rivolge al pensiero del filosofo scozzese David Hume sostenendo che la sua non è una filosofia dei sensi ma dell'immaginazione. In esso Deleuze si chiede come sia possibile che da una serie di atti stereotipati (dovuti all'istinto o all'educazione) si giunga a formare il soggetto. 
Segue Nietzsche e la filosofia (1962), una reinterpretazione tesa alla depurazione dei testi nietzschiani dalle storture e mistificazioni operate dalla storiografia precedente in un momento storico in cui la cultura francese è dominata dall'ortodossia delle tre H (Hegel, Husserl, Heidegger).
Dopo il 1968 Deleuze comincia una collaborazione con lo psicoanalista e psichiatra Félix Guattari ed acquista notorietà anche in ambito extra - accademico con L'Anti-Edipo (1972) ed il suo seguito Mille piani (1980), sottotitolate entrambe Capitalismo e schizofrenia, in cui gettano le basi della schizoanalisi, che analizza il funzionamento delle istituzioni alla luce dei rapporti di potere che esse sviluppano con individui e società. Bersaglio critico principale è la psicoanalisi, accusata di "familiarismo", ovvero di ripiegare il desiderio, geneticamente rivoluzionario e creatore di nuovi ordini, sul cosiddetto "romanzo familiare": l'Edipo. Essi hanno depotenziato il concetto d'inconscio, finendo così con l'asservire la psicoanalisi ai dispositivi di potere dello Stato, della Chiesa e del Mercato.
Con Differenza e Ripetizione (1968) e Logica del Senso (1969), dove il tema della ripetizione viene analizzato mediante una originale re-interpretazione dell'eterno ritorno di Nietzsche, Deleuze si propone di rovesciare il platonismo e realizzare una nuova immagine del pensiero, costruire una filosofia che faccia a meno del concetto di rappresentazione, avviando in filosofia la medesima rivoluzione avviata nelle arti figurative dalle avanguardie artistiche del primo novecento, investendo sia gli aspetti contenutistici sia quelli formali. Ciò lo spingerà a sperimentare in un tipo di assemblaggio del testo mutuato dalla tecnica del collage picabiano.

mercoledì 21 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Kuhn 1922

Thomas Samuel Kuhn 1922

 

Thomas S. Kuhn
e la struttura delle rivoluzioni scientifiche:
un nuovo paradigma per la filosofia della scienza

Introduzione

Thomas Samuel Kuhn (1922–1996) è considerato una delle figure più influenti della filosofia e della storia della scienza del XX secolo. La sua opera più nota, The Structure of Scientific Revolutions (1962), ha rivoluzionato il modo stesso di intendere il progresso scientifico, mettendo in discussione l’idea tradizionale di una crescita lineare e cumulativa del sapere. Con la sua teoria dei paradigmi, Kuhn ha aperto una nuova stagione di riflessione epistemologica, collocandosi come interlocutore critico dell’empirismo logico e di Karl Popper, e stimolando dibattiti che hanno avuto risonanza non solo in filosofia della scienza, ma anche in sociologia, psicologia, economia e studi culturali.

1. Contesto storico e culturale

Il pensiero di Kuhn matura nel clima intellettuale del secondo dopoguerra, in un’epoca segnata dalla crisi delle certezze positiviste e dalla ricerca di nuovi modelli epistemologici. La filosofia analitica dominava con il programma neopositivista del Circolo di Vienna, che mirava a fondare la scienza su basi logiche e verificazioniste1. Parallelamente, Karl Popper aveva proposto il criterio di falsificabilità come linea di demarcazione tra scienza e non-scienza2. Kuhn si inserisce in questo scenario contestando entrambe le visioni: il suo approccio non si limita a un’analisi logica delle teorie, ma privilegia la ricostruzione storica dei processi scientifici.

2. Il concetto di paradigma

Al centro della teoria kuhniana vi è la nozione di paradigma, termine che assume in lui una pluralità di significati:

  • insieme di teorie, leggi e modelli condivisi da una comunità scientifica;

  • insieme di pratiche, strumenti e tecniche di laboratorio;

  • cornice concettuale e metodologica che orienta la ricerca scientifica3.

Il paradigma, quindi, non è solo un sistema teorico, ma un vero e proprio “orizzonte culturale” che definisce ciò che è scientificamente legittimo. Da qui deriva la celebre affermazione kuhniana: la scienza è paradigmatica, ovvero procede entro cornici stabili che orientano e vincolano l’attività degli scienziati.

3. Le fasi della scienza secondo Kuhn

Kuhn descrive l’evoluzione delle discipline scientifiche come un ciclo che attraversa diverse fasi:

  • Fase 0: Pre-paradigmatica. Mancanza di un quadro concettuale unificante, presenza di scuole rivali.

  • Fase 1: Accettazione del paradigma. Una teoria si afferma e diventa il riferimento comune.

  • Fase 2: Scienza normale. Gli scienziati operano come “risolutori di rompicapi”, consolidando e affinando il paradigma dominante.

  • Fase 3: Emergere delle anomalie. Alcuni fenomeni resistono alla spiegazione, mettendo in crisi il paradigma.

  • Fase 4: Crisi. Le anomalie minano la fiducia della comunità scientifica.

  • Fase 5: Rivoluzione scientifica. Avviene un cambiamento radicale, con l’adozione di un nuovo paradigma, incompatibile con il precedente4.

L’aspetto più controverso della teoria kuhniana risiede nell’idea di incommensurabilità: i paradigmi rivali non sono confrontabili secondo criteri oggettivi, poiché implicano linguaggi e presupposti differenti5.

4. Kuhn contro Popper e l’empirismo logico

Kuhn prende le distanze sia dall’empirismo logico sia dal falsificazionismo di Popper.

  • Per i neopositivisti, la scienza progredisce accumulando enunciati verificati.

  • Per Popper, la scienza avanza tramite congetture e confutazioni, ossia attraverso il continuo tentativo di falsificare le ipotesi.

  • Per Kuhn, invece, la scienza normale non si fonda sul tentativo di falsificare, bensì sul consolidamento del paradigma: gli scienziati cercano di risolvere problemi interni al quadro teorico, e non di metterlo in discussione6.

Il dissenso con Popper fu aspro: il filosofo austriaco vedeva nella scienza un atteggiamento critico permanente, mentre Kuhn sottolineava la dimensione sociale e comunitaria che porta gli scienziati a difendere i paradigmi esistenti fino alla crisi.

5. Ricezione e impatto interdisciplinare

The Structure of Scientific Revolutions ebbe un impatto straordinario, traducendosi in numerose lingue e diventando uno dei testi più citati del XX secolo7. Il concetto di paradigma fu adottato ben oltre la filosofia della scienza: in sociologia (Merton), in psicologia (Lakatos, Feyerabend), in scienze politiche ed economia. Alcuni critici hanno accusato Kuhn di relativismo epistemologico, vedendo nella sua teoria un rischio di dissoluzione della razionalità scientifica8. Altri, al contrario, hanno letto in lui un recupero del carattere umano e storico della scienza, che non può essere ridotta a un algoritmo logico.

6. Critiche e sviluppi successivi

Kuhn stesso, in scritti successivi, chiarì alcuni punti del suo pensiero. Precisò che i paradigmi, pur essendo incommensurabili, non sono incomparabili in assoluto: esistono criteri condivisi (accuratezza, semplicità, fecondità) che guidano la scelta della comunità scientifica, anche se non in modo strettamente logico9. In questo senso, la sua posizione resta a metà tra relativismo e razionalismo, aprendo un dibattito che sarà ripreso da Feyerabend, Lakatos e Habermas.

Conclusione

La teoria delle rivoluzioni scientifiche di Thomas S. Kuhn ha mutato radicalmente la filosofia della scienza, mostrando come lo sviluppo scientifico non sia lineare, ma segnato da fratture, crisi e cambiamenti di paradigma. La sua visione mette in luce il carattere storico, sociale e psicologico della scienza, restituendo alla comunità scientifica il ruolo di protagonista collettivo. Oggi, a distanza di oltre sessant’anni dalla pubblicazione di The Structure of Scientific Revolutions, il dibattito kuhniano rimane vivo, poiché solleva interrogativi fondamentali: la scienza avanza davvero verso la verità, o è un continuo processo di ristrutturazione delle nostre mappe concettuali del mondo?


Note

  1. R. Carnap, Logische Syntax der Sprache, Vienna, 1934.

  2. K. Popper, The Logic of Scientific Discovery, London, Hutchinson, 1959.

  3. T. S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, Chicago, University of Chicago Press, 1962, pp. 10-22.

  4. Ivi, pp. 66-91.

  5. Ivi, pp. 148-150.

  6. K. Popper, Conjectures and Refutations, London, Routledge, 1963.

  7. J. Barnes, Scientific Revolutions: An Introduction, Oxford, 1982.

  8. P. Feyerabend, Against Method, London, Verso, 1975.

  9. T. S. Kuhn, Reflections on My Critics, in I. Lakatos – A. Musgrave (eds.), Criticism and the Growth of Knowledge, Cambridge, Cambridge University Press, 1970.

martedì 20 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Morin 1921

Edgar Morin 1921

Edgar Morin:
il pensatore della complessità

Edgar Nahoum, nato a Parigi l’8 luglio 1921 da famiglia ebraica sefardita originaria di Salonicco, è universalmente noto con il nome che scelse durante la clandestinità: Morin^[1]. Quel nome di battaglia, adottato nella Resistenza francese, lo accompagnerà per tutta la vita, diventando il marchio sotto cui pubblicherà libri, saggi e articoli per oltre sette decenni.

Gioventù e impegno politico

La giovinezza di Morin si svolge in un’Europa scossa dalla guerra e dal fascismo. Nel 1941 aderisce al Partito Comunista Francese, convinto che la lotta antifascista sia prioritaria. Durante la Resistenza entra in contatto con figure destinate a lasciare un segno nella storia francese, come François Mitterrand, e partecipa attivamente alla liberazione di Parigi nell’agosto del 1944^[2].

Successivamente, viene inviato a Landau, in Germania, come attaché allo Stato Maggiore della Prima Armata francese e, nel 1945, come Capo dell’Ufficio Propaganda del governo militare francese. L’esperienza della Germania postbellica, devastata non solo nelle infrastrutture ma anche nella sfera morale, ispira il suo primo lavoro significativo, L’année zéro de l’Allemagne, in cui Morin documenta con lucidità e umanità il dramma di un popolo sconfitto^[3].

Verso il pensiero transdisciplinare

Al termine della guerra, Morin torna a Parigi e abbandona la carriera militare per dedicarsi all’intellettualità e alla vita politica. Tuttavia, il suo spirito critico lo porta rapidamente a scontrarsi con la linea ufficiale del Partito Comunista, culminando con la sua espulsione nel 1951 dopo un articolo pubblicato su Le Nouvel Observateur^[4].

Nel 1950 entra al Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS), con il sostegno di Maurice Merleau-Ponty, e si orienta verso l’antropologia sociale. Qui inizia a delinearsi il nucleo della sua futura opera: un pensiero transdisciplinare capace di integrare sociologia, antropologia, biologia, filosofia e comunicazione^[5].

Viaggi, ricerca e metodologie innovative

Negli anni ’60, Morin compie viaggi in America Latina, osservando le culture brasiliane, cilene, boliviane, peruviane e messicane. Queste esperienze influenzano il libro L’esprit du temps, in cui analizza il rapporto tra cultura di massa e società contemporanea^[6].

Contemporaneamente, conduce una ricerca multidisciplinare su una comunità bretone, pubblicata come La Métamorphose de Plozevet (1967), considerata pionieristica nell’uso combinato di metodi etnografici, sociologici e antropologici. L’opera gli vale l’etichetta di “eretico” negli ambienti accademici, per la sua volontà di superare i confini disciplinari tradizionali^[7].

Il pensiero della complessità

La svolta epistemologica di Morin si consolida nel 1969, durante il soggiorno al Salk Institute di La Jolla, in California, dove entra in contatto con le scoperte della genetica molecolare e della biologia sistemica. Qui intreccia biologia, cibernetica, teoria dell’informazione e teoria dei sistemi, gettando le basi del cosiddetto pensiero della complessità^[8].

Per Morin, il sapere moderno, frammentato e settoriale, è insufficiente ad affrontare le problematiche globali. Egli propone una visione integrata, in cui le discipline devono dialogare tra loro, e l’educazione deve promuovere la capacità di collegare saperi e fenomeni, navigando tra certezze e incertezze:

“La conoscenza deve essere una navigazione in un oceano di incertezze, tra arcipelaghi di certezze”^[9].

Ricezione critica e lascito

Il pensiero di Morin ha esercitato un’influenza significativa a livello internazionale. I suoi lavori hanno stimolato riflessioni su sostenibilità, comunicazione, pedagogia e governance globale. In ambito accademico, ha aperto la strada a una riflessione sistemica e transdisciplinare, contribuendo a ridefinire le metodologie della ricerca nelle scienze sociali e naturali^[10].

La sua eredità va oltre la teoria: Morin ha influenzato pratiche educative, strategie di ricerca e approcci culturali in tutto il mondo, incarnando l’ideale di intellettuale capace di unire ciò che la cultura tende a dividere. Il nome che scelse nella clandestinità è oggi sinonimo di sguardo globale, curiosità senza confini e apertura al pensiero complesso.


Note

  1. Morin, Edgar, Autobiographie, Paris, Seuil, 2001.

  2. Jackson, Julian, France: The Dark Years, 1940–1944, Oxford, Oxford University Press, 2001.

  3. Morin, Edgar, L’année zéro de l’Allemagne, Paris, Seuil, 1946.

  4. Hofstadter, Douglas, “Edgar Morin and the Critique of Stalinism,” in History and Theory, Vol. 10, No. 2, 1971.

  5. Morin, Edgar, Introduction à la pensée complexe, Paris, Seuil, 1990.

  6. Morin, Edgar, L’esprit du temps, Paris, Seuil, 1962.

  7. Morin, Edgar, La Métamorphose de Plozevet, Paris, CNRS, 1967.

  8. Morin, Edgar, Science avec conscience, Paris, Seuil, 1992.

  9. Morin, Edgar, La méthode, Vol. 1, La nature de la nature, Paris, Seuil, 1977.

  10. Nicolescu, Basarab, Transdisciplinarity: Theory and Practice, Hampton Press, 2002.

mercoledì 14 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Barthes 1915

Roland Barthes 1915

Roland Barthes e la critica del segno:
semiologia, letteratura e società

Introduzione

Roland Barthes (Cherbourg, 1915 – Parigi, 1980) è una delle figure più influenti del pensiero critico del Novecento. Saggista, critico letterario, linguista e semiologo, egli ha incarnato in maniera paradigmatica il passaggio dalla critica letteraria tradizionale alla nuova critica francese, orientata al strutturalismo e successivamente al post-strutturalismo¹. Barthes ha saputo coniugare l’analisi dei testi con un’indagine più ampia sulle strutture del linguaggio, della cultura e della società contemporanea, aprendo un dialogo fecondo tra letteratura, linguistica, filosofia e antropologia.


Formazione e carriera

Laureato in lettere classiche alla Sorbona, Barthes iniziò la sua attività come docente nei licei di Biarritz e Parigi. Successivamente divenne lettore all’Università di Alessandria d’Egitto, e ricercatore al CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique). Nel corso della sua carriera accademica, ricoprì ruoli di crescente prestigio: responsabile di ricerca, direttore degli studi presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales e, infine, titolare della cattedra di Semiologia letteraria al Collège de France dal 1977 fino alla morte². Parallelamente, collaborò con riviste culturali come Esprit e Tel Quel, divenendo un intellettuale di riferimento nel dibattito critico del dopoguerra.


La svolta del "grado zero"

Il primo testo di ampio respiro, Le degré zéro de l’écriture (Il grado zero della scrittura, 1953), segna l’avvio di una riflessione radicale sulla letteratura. Barthes sostiene che la scrittura non è mai neutra: ogni scelta stilistica implica una presa di posizione ideologica³. In particolare, individua un “grado zero” corrispondente a una scrittura vicina al linguaggio parlato, che si presenta come apparente neutralità, ma che a sua volta è storicamente determinata. Con questo testo, Barthes apre la strada a una critica che rifiuta l’idea romantica di spontaneità letteraria e riconosce la scrittura come sistema di segni carico di valori.


Semiologia e analisi dei miti

Un secondo momento fondamentale della sua produzione è rappresentato da Mythologies (Miti d’oggi, 1957). In questa raccolta di brevi saggi, Barthes indaga fenomeni della cultura di massa – dalla lotta greco-romana al volto di Greta Garbo – per mostrare come gli oggetti quotidiani vengano trasformati in miti moderni. Attraverso il linguaggio pubblicitario, mediatico e iconico, la società borghese costruisce forme di naturalizzazione ideologica, che mascherano i rapporti di potere dietro l’apparente innocenza delle immagini⁴. Qui emerge il progetto di una semiologia generale, ovvero lo studio sistematico dei segni al di là della sola dimensione linguistica.


Strutturalismo e oltre

Negli anni Sessanta, Barthes si colloca nel cuore del dibattito strutturalista. Con Éléments de sémiologie (1964) tenta di applicare al linguaggio della cultura i principi della linguistica saussuriana, definendo i concetti di “significante” e “significato” come strumenti per comprendere i fenomeni culturali⁵. Parallelamente, con Critique et vérité (1966) attacca la critica tradizionale, accusandola di essere troppo filologica e poco consapevole del carattere testuale e plurale della letteratura.

La pubblicazione de Le système de la mode (1967) porta la semiologia a confrontarsi con un ambito specifico, quello della moda, intesa come linguaggio strutturato e complesso. Qui Barthes dimostra che il sistema dell’abbigliamento funziona come un codice dotato di proprie regole di significazione, e che persino le scelte estetiche quotidiane possono essere analizzate con gli strumenti della linguistica.


L’Impero dei segni e la decostruzione dell’Occidente

Con L’Empire des signes (1970), Barthes si rivolge al Giappone, osservato come spazio simbolico alternativo all’Occidente. Più che una descrizione etnografica, il testo costruisce un “sistema segnico altro”, che mette in crisi le categorie eurocentriche di linguaggio e rappresentazione. Questa apertura all’alterità segna una transizione dal rigore strutturalista a una prospettiva più decostruttiva, che prefigura il pensiero post-strutturalista⁶.


Barthes e la “morte dell’autore”

Un altro testo fondamentale, La mort de l’auteur (1968), sancisce l’abbandono della concezione tradizionale dell’autore come fonte privilegiata di senso. Secondo Barthes, l’interpretazione non deve cercare un’intenzione autoriale, bensì riconoscere la pluralità del testo come tessuto di citazioni e rimandi. In questo modo, l’attenzione si sposta sul lettore, che diventa il luogo in cui i segni si riorganizzano e prendono vita⁷. Questa prospettiva ha avuto un impatto enorme sulla teoria letteraria contemporanea, aprendo alla ricezione critica e alla centralità del fruitore.


Ultimi scritti e il Barthes autobiografico

Negli ultimi anni, con Fragments d’un discours amoureux (1977) e La chambre claire (1980), Barthes assume una scrittura più personale e soggettiva. La fotografia, in particolare, diventa per lui occasione di meditazione sul tempo, sulla memoria e sulla morte. In queste opere, la semiologia cede il passo a un linguaggio più intimo e lirico, pur mantenendo l’attenzione al segno e alla sua capacità di veicolare emozioni e significati.


Conclusione

Roland Barthes ha attraversato diverse stagioni del pensiero critico, dal rigore strutturalista alla sensibilità post-strutturalista, fino a una scrittura più autobiografica. La sua eredità risiede nella capacità di interrogare i testi – letterari, visivi, culturali – non come oggetti chiusi ma come campi aperti di significazione. Attraverso la critica dei miti, la teoria semiologica e la riflessione sul ruolo del lettore, Barthes ha contribuito a ridefinire il rapporto tra linguaggio e potere, tra cultura e società. La sua opera resta un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia comprendere le dinamiche della comunicazione e del segno nella modernità.


Note

  1. R. Barthes, Le degré zéro de l’écriture, Paris, Seuil, 1953.

  2. A. Compagnon, Le démon de la théorie, Paris, Seuil, 1998.

  3. T. Todorov, Critique de la critique, Paris, Seuil, 1984.

  4. R. Barthes, Mythologies, Paris, Seuil, 1957.

  5. F. Dosse, Histoire du structuralisme, Paris, La Découverte, 1991.

  6. R. Barthes, L’Empire des signes, Paris, Flammarion, 1970.

  7. R. Barthes, “La mort de l’auteur”, in Le Bruissement de la langue, Paris, Seuil, 1984.


Bibliografia essenziale

  • Barthes, Roland, Éléments de sémiologie, Paris, Seuil, 1964.

  • Barthes, Roland, Le système de la mode, Paris, Seuil, 1967.

  • Barthes, Roland, La chambre claire, Paris, Seuil, 1980.

  • Compagnon, Antoine, Le démon de la théorie, Paris, Seuil, 1998.

  • Dosse, François, Histoire du structuralisme, Paris, La Découverte, 1991.

  • Todorov, Tzvetan, Critique de la critique, Paris, Seuil, 1984.


lunedì 12 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: Ricoeur 1913

Paul Ricoeur 1913

Paul Ricoeur:
fenomenologia, ermeneutica e la ricerca del senso

Introduzione

Paul Ricoeur (Valence, 25 febbraio 1913 – Châtenay-Malabry, 20 maggio 2005) è una delle figure più influenti della filosofia contemporanea, capace di intrecciare fenomenologia, esistenzialismo ed ermeneutica in una sintesi originale. La sua traiettoria intellettuale, segnata dall’esperienza della prigionia durante la Seconda guerra mondiale, testimonia un pensiero che nasce dall’esistenza concreta e dalla sofferenza, ma che si apre al problema universale del senso.

Formazione e prime opere

Dopo la laurea in filosofia (1935), Ricoeur visse la dura esperienza della prigionia in Germania dal 1940 al 1945. In quel contesto approfondì lo studio di Karl Jaspers e di Husserl, traducendo in francese le Ideen (1950). Le sue prime opere, scritte insieme a Mikel Dufrenne, furono dedicate alla filosofia dell’esistenza (1947-48), mentre già si profilava la tensione che caratterizzerà tutta la sua ricerca: il confronto tra esistenzialismo e fenomenologia, tra finitezza e apertura al trascendente.

La Philosophie de la volonté

Il primo grande progetto sistematico di Ricoeur è la Philosophie de la volonté. Le due parti pubblicate – Le volontaire et l’involontaire (1950) e Finitude et culpabilité (1960) – mostrano l’intento di elaborare una fenomenologia del cogito incarnato. Se nella prima parte l’analisi verte sul rapporto tra coscienza, corporeità e sfasatura tra volontario e involontario, nella seconda si affronta il tema della colpa e della fallibilità umana attraverso i simboli e i miti.

Il punto di svolta consiste nel riconoscere che la fenomenologia non basta: la colpa non può essere descritta in termini puramente eideticofilosofici, ma richiede un accesso ermeneutico che interpreti i simboli culturali e religiosi. Qui emerge la convinzione che l’uomo non sia soltanto un soggetto trascendentale, ma un essere finito che si comprende solo attraverso i linguaggi simbolici che lo precedono.

Ermeneutica del simbolo e conflitto delle interpretazioni

Abbandonato il progetto di una terza parte dedicata alla trascendenza, Ricoeur si rivolse decisamente all’ermeneutica. Opere come De l’interprétation. Essai sur Freud (1965) e Le conflit des interprétations (1969) segnano un passaggio decisivo: l’uomo è chiamato a decifrare il senso nascosto nei testi, nei miti, nelle tradizioni.

In particolare, il confronto con Freud aprì alla nozione di ermeneutica del sospetto, che non si limita a comprendere, ma smaschera i meccanismi di alienazione prodotti dall’inconscio, dall’ideologia o dal potere. In dialogo con Marx e Nietzsche, Ricoeur individua nella tradizione moderna tre grandi maestri del sospetto, capaci di decostruire le false coscienze.

Parallelamente, opere come La métaphore vive (1975) e Interpretation theory (1976) si concentrano sul linguaggio poetico, mostrando come la parola, attraverso la metafora, possa generare un surplus di senso che rinnova la nostra comprensione del mondo.

Sacro, linguaggio e ricerca del senso

Pur non sviluppando sistematicamente una filosofia della trascendenza, Ricoeur non abbandonò mai il problema religioso. Egli cercò sempre di identificare il “luogo linguistico” in cui il sacro si manifesta, ponendo attenzione alla dimensione simbolica come mediazione tra finito e infinito. Questo atteggiamento testimonia la sua costante tensione verso una filosofia che non riduca il senso alla sola razionalità, ma che sappia interpretare i linguaggi in cui si esprime l’esperienza umana nella sua complessità.

Conclusione

Paul Ricoeur ha segnato in profondità il pensiero del Novecento con una filosofia capace di unire rigore fenomenologico e apertura ermeneutica. Attraverso la riflessione sulla volontà, sul simbolo e sul linguaggio, ha mostrato che l’uomo è un essere che si comprende solo interpretando se stesso nel tessuto delle narrazioni, dei miti e delle tradizioni. In questo senso, Ricoeur rimane una figura imprescindibile per la filosofia contemporanea, ponte tra l’Europa continentale e il mondo anglosassone, tra fenomenologia e postmodernità.


Bibliografia essenziale

  • Ricoeur, P. (1950). Le volontaire et l’involontaire. Paris: Aubier.

  • Ricoeur, P. (1960). Finitude et culpabilité. Paris: Aubier.

  • Ricoeur, P. (1965). De l’interprétation. Essai sur Freud. Paris: Seuil.

  • Ricoeur, P. (1969). Le conflit des interprétations. Paris: Seuil.

  • Ricoeur, P. (1975). La métaphore vive. Paris: Seuil.

  • Ricoeur, P. (1976). Interpretation theory: Discourse and the surplus of meaning. Fort Worth: Texas Christian University Press.

  • Greisch, J. (1995). Paul Ricoeur. Paris: Presses Universitaires de France.

  • Kearney, R. (2004). On Paul Ricoeur: The Owl of Minerva. Aldershot: Ashgate.

  • Pellauer, D. (2007). Ricoeur: A Guide for the Perplexed. London: Continuum.

sabato 10 maggio 2025

Corso di storia della filosofia: McLuhan 1911

Herbert Marshall McLuhan 1911

Marshall McLuhan:
il profeta del villaggio globale

Herbert Marshall McLuhan (1911–1980) è una delle figure più discusse e influenti della teoria della comunicazione del Novecento. Sociologo canadese, formatosi all’Università di Cambridge e influenzato dal New Criticism, egli ha saputo trasformare l’analisi dei mass media in un terreno di sperimentazione teorica e visionaria, anticipando molte delle problematiche legate alla società dell’informazione e all’odierna rivoluzione digitale.

La sua riflessione ha una portata radicale: non sono i contenuti della comunicazione a determinare gli effetti sociali e culturali, bensì i mezzi stessi attraverso cui essa si realizza. Da qui la sua celebre e folgorante tesi: “il medium è il messaggio”.


Dal libro a Gutenberg: la nascita dell’individuo moderno

In La galassia Gutenberg (1962), McLuhan mostra come l’invenzione della stampa a caratteri mobili non sia stata soltanto un progresso tecnico, ma una vera e propria rivoluzione antropologica. Con la stampa, l’umanità abbandona definitivamente la cultura orale — fondata sulla parola come forza viva, condivisa e comunitaria — per entrare in una civiltà dominata dalla scrittura alfabetica e dalla vista come senso primario.

La conseguenza è una profonda ristrutturazione della coscienza: la parola diventa un segno mentale, astratto, legato alla memoria e al passato, mentre la stampa inaugura un’epoca di individualismo, nazionalismo, quantificazione e omogeneizzazione. In altre parole, la modernità occidentale nasce sotto il segno di Gutenberg.


Il determinismo tecnologico

Alla base del pensiero di McLuhan c’è un forte determinismo tecnologico: la tecnologia non è neutrale, ma condiziona le forme stesse del pensiero e della vita sociale. Ogni nuovo medium ridisegna il rapporto tra i sensi, riorganizza le strutture cognitive, trasforma i comportamenti collettivi.

Questa prospettiva lo porta a considerare i media come veri e propri “ambienti” che modellano l’immaginario, le relazioni e le istituzioni, indipendentemente dai contenuti che veicolano.


Gli strumenti del comunicare e la nascita dell’ecologia dei media

In Gli strumenti del comunicare (1964), McLuhan affina la sua analisi proponendo una vera e propria ecologia dei media. Studiare i media non significa valutare ciò che trasmettono, ma analizzare le forme comunicative che creano, le modalità di coinvolgimento sensoriale e cognitivo che impongono agli utenti.

Celebre è la sua distinzione tra media “caldi” e media “freddi”:

  • i media caldi (ad alta definizione, come la radio o la stampa) offrono un flusso ricco di informazioni e richiedono una partecipazione passiva;

  • i media freddi (a bassa definizione, come la televisione o il telefono) sollecitano invece una forte partecipazione dell’utente, chiamato a completare ciò che il medium non fornisce in modo pieno.

La televisione, ad esempio, secondo McLuhan svolge una funzione rassicurante e conservativa: più che stimolare novità, tende a confermare e a congelare lo spettatore in una condizione di stasi fisica e mentale.


Dal medium al villaggio globale

Con l’avvento delle comunicazioni satellitari e dei media elettronici, McLuhan elabora una delle sue intuizioni più celebri: il mondo, ormai connesso in tempo reale, diventa un “villaggio globale”. L’umanità ritorna paradossalmente a una condizione simile a quella delle società orali, in cui tutto è immediatamente condiviso, ma su scala planetaria.

In questo senso, McLuhan anticipa l’avvento di Internet e dei social network: un mondo in cui le distanze si annullano e gli individui sono immersi in un ambiente comunicativo totalizzante.


Critiche e attualità

Il pensiero di McLuhan è stato accusato di eccessivo determinismo e di semplificazione: non sempre i media producono effetti univoci, né si può ridurre la complessità sociale al solo impatto delle tecnologie. Tuttavia, la sua forza non sta nella sistematicità, quanto nella capacità di intuire tendenze che sarebbero diventate evidenti solo decenni più tardi.

Oggi, nell’epoca di Internet, della realtà aumentata e delle intelligenze artificiali, le sue riflessioni sulla pervasività dei media e sulla loro influenza sulla percezione, sulla politica e sulla cultura, si rivelano straordinariamente attuali.


Conclusione

Marshall McLuhan resta un pensatore difficile da classificare: visionario più che accademico, capace di fondere sociologia, filosofia e critica letteraria in un discorso provocatorio e immaginifico. La sua celebre frase, “il medium è il messaggio”, continua a risuonare come un monito: ogni nuova tecnologia non si limita a trasmettere contenuti, ma ridefinisce i confini stessi della nostra esperienza umana.


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